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DANTE E I DISPATRIATI
Sublimazione di un destino

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       Introduzione   

Romano Toppan

La tua magnificenza in me custodi,
sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi.
Paradiso XXXI ,88-90

La Divina Commedia è un capolavoro universale, perché racchiude in una sola opera grandiosa tutti i temi essenziali dell’umanità: il mistero del male e del peccato, con la Cantica dell’Inferno, ma anche la gioia della purificazione e del pentimento, con la Cantica del Purgatorio, e infine la felicità e l’estasi della presenza di Dio nella Cantica del Paradiso.

Tuttavia, vi è un filo rosso che segna come una ferita aperta l’evolversi del poema e consiste nella condizione di esiliato e di dispatriato di Dante stesso: senza questa esperienza amara e dolorosa, è difficile immaginare che Dante avrebbe raggiunto la profondità della sua opera e i codici più intimi della sua rappresentazione del mondo, degli uomini e della fede.

Il tema dell’esilio e della condizione esistenziale che lo contrassegna è elaborato in tre modi diversi e complementari, tutti caratteristici di aspetti specifici del poeta fiorentino, che era allo stesso tempo un uomo di fede, un uomo politico, uno scrittore e poeta.

In modo parallelo, il tema dell’esilio è affrontato in chiave teologica, politica e poetica.

In chiave teologica, Dante sublima la sua stessa esperienza di esiliato con la concezione del cristiano come “pellegrino” e in una condizione di esilio in attesa della “patria celeste”: condizione che trova il riscontro nella “similarità assunta” che Dante elabora con l’idea di un “cammino” di fede iniziato proprio nei giorni della Pasqua, ossia del “passaggio” e della transizione tra il già e il non ancora dell’uomo di fede, che si identifica con Gesù, Deus Viator e, prima di Gesù, con Abramo, con Mosè e con molti profeti, tutti colpiti da una vita nomadica tipica di uomini senza patria, senza sicurezza, senza terra.

In chiave politica Dante elabora anche una sorte di “ontologia dell’esilio”, con la quale si immedesima con una condizione esistenziale che identifica la vita stessa dell’uomo con un cammino senza meta alla ricerca della propria identità, perché l’essere in esilio fa perdere appartenenza e riferimenti sociali e comunitari. In altre parole, gli sottrae i diritti di persona che fa parte a pieno titolo di cittadinanza e, pertanto, diventa una lettura politica oltre che esistenziale.

In chiave poetica, l’opera di sublimazione raggiunge, come ci indica la stessa psicanalisi, l’effetto più elevato e positivo: l’assertività della visione poetica riesce a sovrastare altri meccanismi di difesa più letali, come la rimozione, la dissociazione, la negazione, la vendetta, il ricatto, la razionalizzazione, la repressione, la remissività, l’aggressività sadica, l’angoscia. Tutto questo scompare, nel momento in cui tutte queste forme di deviazione del trauma acquistano l’armonia propria dell’arte, della bellezza, della creatività, che in Dante raggiunge vette ineguagliate.

Con la chiave di lettura teologica, il libro afferma, con dovizia di riferimenti anche inediti, che il tema dell’esilio è all’origine stessa della fede, attraverso le figure di Abramo, il primo auto-esiliato della storia, che lascia la vita comoda di sceicco benestante di Ur dei Sumeri, per preferire di diventare nomade e apolide; di Mosè, principe di casa reale che preferisce fuggire dal suo status di privilegiato e rifugiarsi fuori dalla sua patria, per riflettere e maturare, anche nella solitudine del deserto, la sua vocazione di liberatore degli oppressi; e infine dei profeti, la maggior parte dei quali era formata da persone perseguitate con accanimento dai governi del loro tempo e, come nel caso di Elia, di Geremia, di Ezechiele, di Daniele e di altri profeti minori, furono oggetto di ostracismo, o costringendoli a scappare continuamente e a rifugiarsi in luoghi remoti e solitari come Elia, o a condividere con il loro popolo la condizione di esiliati come Ezechiele e Daniele.

Teologicamente lo stesso Gesù conobbe l’esperienza amara del profugo poco tempo dopo la sua nascita, con la fuga in Egitto, insieme alla sua famiglia, per sottrarsi alla crudeltà di un tiranno come Erode, allo stesso modo in cui tutti gli esiliati, i profughi, i dispatriati sono vissuti fuori dalla loro patria o perseguitati in patria come fossero dei reietti e degli emarginati sul piano sociale e politico oppure degli scomunicati o degli eretici, frequentemente oggetto di torture o di morte sul rogo.

Sulla seconda chiave di lettura del tema dell’esilio, ossia la lettura politica, sappiamo che Dante è stato esiliato dalla sua patria, Firenze, per motivi essenzialmente politici e l’autore ripercorre alla luce di questo grande “dispatriato” l’enorme quantità di uomini, anche di grande valore, che hanno subito la stessa sorte per motivi di dissenso e di contestazione politica, assegnando a Dante un primato di dignità e di nobiltà nel vivere lo status di esule e di ramingo, al punto di lasciarci una elaborazione del lutto piena di visioni straordinarie, potenti e sublimi, come nessun altro sia riuscito a fare.

Si tratta di un percorso simbolico tra alcune principali figure emblematiche e di raro spessore, attraverso le quali si cerca di costruire un omaggio implicito a Dante, come forme di similarità assunta, come se fosse un passaggio di consegna o di testimone in una strenua lotta intellettuale e morale contro tutte le forme di tirannia, di intolleranza, di fondamentalismo, di autoritarismo e di esclusione, per favorire, al contrario, un’opera risanatrice contro i pregiudizi (razziali, morali, sessuali, religiosi e ideologici), e contro le discriminazioni dei “diversi”, la xenofobia verso gli stranieri e altre forme di repressione e annichilimento della identità personale degli esseri umani.

Un ebreo illustre, come Albert Einstein, mentre cercava asilo negli Stati Uniti, alla domanda della polizia di frontiera americana sulla sua “razza”, rispose: “Alla razza umana”.

Personalità che, come Dante, hanno sognato e sognano una forma politica che persegua il bene comune, l’eguaglianza di tutti gli uomini e il rispetto dei diritti universali dell’uomo, e, quando occorre, ricorrono a un tagliente linguaggio che assume, di volta in volta, un sarcasmo e una ironia ben meritati di fronte a uomini prepotenti, pomposi, paranoici, che pullulano in ogni epoca tra gli uomini della classe politica e della burocrazia al suo servizio, che ritroviamo ben raffigurati nei gironi dell’inferno dantesco così come nelle opere di teologia critica come il “De captivitate Babilonica” di Lutero (che evoca proprio la condizione miserevole dell’esilio babilonese degli ebrei), o l’altra sua opera “La libertà del cristiano”, con la quale si contrappone ai nuovi faraoni di Roma, come Leone dei Medici, papa corrotto e interessato solo al successo finanziario nelle vendite di “obbligazioni” fasulle come le indulgenze o le tasse sui peccati con la famigerata Taxa Camarae.

Dante non è meno critico sotto questo profilo con i papi del suo tempo e la corruzione delle gerarchie della chiesa romana.

Altri grandi hanno proseguito questa critica politica e morale: eccelle su tutti Montaigne, con i suoi eccezionali Essais, ma ritroviamo rappresentazioni feroci del potere in Shakespeare, critiche sarcastiche in Voltaire, Balzac, Flaubert, Gogol, Zola, Dostoevskij, Céline, Solženicyn e altri. Molti di questi grandi hanno subito la stessa sorte di Dante.

E qui l’autore apre una terza chiave di lettura del tema dell’esilio attraverso gli scritti, le poesie e le riflessioni di personalità spiccate della letteratura, con brevi accenni anche alle personalità della filosofia, dell’arte e della scienza. Il numero di scrittori, di poeti (e pensatori di altre discipline) che hanno subito la stessa sorte di Dante e sono stati esiliati o sono dovuti fuggire dalla loro patria è innumerevole, e la loro testimonianza è preziosa se posta in sintonia con quella del poeta fiorentino, per attualizzare il suo sdegno e la sua opposizione coraggiosa e senza patteggiamenti con le società, sia laiche che religiose, che minacciano l’integrità fisica dei dissidenti e dei contestatori, con attentati, torture, lager, gulag, o l’integrità morale, con la macchina del fango, o l’ insicurezza sociale e del lavoro. E meritano di essere accostati a Dante altri grandi poeti e scrittori come Ovidio, Machiavelli, Victor Hugo, Neruda, Brecht, Kundera, Sepúlveda, Hertha Müller e molti altri.

La narrazione del tema dell’esilio da parte di Dante è tratteggiata in tutti i punti essenziali dell’opera dantesca, dagli inizi dell’opera, quando Dante incontra i suoi cittadini e con essi si confronta sul regime della sua città e sulle cause del suo esilio, fino alla conclusione amara che egli fa dire a Cacciaguida nel Canto XVII del Paradiso in forma di profezia:

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale

 

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