La Commedia è il poema dell’esilio 1
Dante ha portato il dramma dell’esilio ad un altissimo livello di sublimazione.
Tuttavia, questo trauma ha colpito e colpisce ancora molti altri poeti, scrittori, intellettuali, scienziati e attori della politica e protagonisti critici della società.
Per semplicità, questo capitolo è dedicato solo ad alcuni poeti che si sono distinti su questo tema, o per essere essi stessi colpiti dall’esilio oppure per aver sublimato il sentimento di esilio “esistenziale” nel quale il poeta vero, libero e critico verso la società si percepisce come un estraneo. Pertanto cerchiamo di trovare nella dignità, nella fede, nella sublimazione poetica o esistenziale di altri grandi poeti la traccia di quel lungo percorso di sofferenza e di speranza che accomuna tutti quelli che in un mondo fondato sul maligno, come dice Giovanni nella sua prima lettera apostolica 2 , sono sul fronte opposto: il maligno (malum) è considerato e articolato come un mondo fondato sulla cattiveria, sull’invidia, sulla volontà di potenza, in una parola sulla “cultura della ostilità” come già sottolineato nel capitolo secondo.
Essendo il numero dei “colleghi” di Dante innumerevoli e molti di essi del tutto sconosciuti, come sono sconosciute le masse enormi di dispatriati, deportati, profughi e immigrati che ci sono stati e tuttora ci sono nel mondo, sceglieremo solo alcuni di loro, soprattutto se hanno potuto dare un contributo al senso o al non-senso dell’esilio, volontario o non volontario, con le loro opere, come ha fatto Dante nella Divina Commedia, nel Convivio, nel De Monarchia, e in misura minore, perfino nelle Rime (Rime giovanili e Rime dell’esilio), nel De vulgari eloquentia e nelle Epistole.
William Shakespeare
Il tema dell’esilio è molto presente anche nelle opere teatrali di Shakespeare e un cenno anche nei Sonetti: nell’Enrico IV, Come vi piace, Re Lear, Riccardo II, La tempesta, I due gentiluomini di Verona.
Lo scrittore Lamberto Tassinari, nella sua opera “John Florio: The Man Who Was Shakespeare” sostiene la tesi che Shakespeare in realtà era figlio di un “dispatriato” italiano, Michel Angelo Florio. Il giovane Shakespeare/John Florio trascorse parte della adolescenza proprio in Italia, di cui, nelle sue opere, dimostra di avere una conoscenza molto profonda e vissuta. Infatti, le locations di molte commedie e tragedie di Shakespeare sono in Italia, più di ogni altra nazione:
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I due gentiluomini di Verona (Verona, Milano, Mantova)
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Molto rumore per nulla (Messina)
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La bisbetica domata (Padova)
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Romeo e Giulietta (Verona)
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Il mercante di Venezia (Venezia e Belmonte)
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Otello (Venezia e Cipro)
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Cimbelino (Britannia e Roma)
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Coriolano (Roma e Anzio)
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Tito Andronico (Roma)
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Giulio Cesare (Roma e Filippi)
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Il racconto d’inverno (Sicilia e Boemia)
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Tutto bene quel che finisce bene (in parte Firenze)
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Antonio e Cleopatra (Roma e altre parti dell’Impero)
Ben cinque sono entro il territorio e il mondo sociale e culturale della Serenissima, che godeva, presso il Regno d’Inghilterra, di una reputazione di grande eccellenza, al punto di percepirsi, nel periodo di massimo splendore del regno con la regina Elisabetta, l’erede nell’Atlantico di quello che Venezia era nel Mediterraneo e adottando, come emblema di questa ammirazione, il leone come stemma della sua grandezza emergente.
Anche se non vi fosse un solido fondamento storico sull’origine italiana di Shakespeare, è interessante l’annotazione che qualcuno fa sul fatto che “i grandi innovatori e creatori della lingua letteraria, da Dante a Joyce, spesso sono uomini che sono dispatriati o uomini con più di una sola patria, anche solo con il cuore o l’intelligenza”.
La migliore (e più drammatica) citazione sul tema dell’esilio, sia quella tratta dall’opera Romeo e Giulietta, nella quale l’esilio è drammaticamente vissuto da Romeo come equivalente alla morte:
ROMEO E GIULIETTA, ATTO III, SCENA III
Frate Lorenzo: Le sue labbra hanno pronunciato una sentenza più mite: non la morte ma l’esilio
Romeo: L’esilio? Siate misericordioso, parlate di morte, l’esilio è tanto più terribile della morte. Non parlate di esilio.
Frate Lorenzo: Sei esiliato da Verona. Abbi pazienza, il mondo è grande e ampio.
Romeo: Esiliato? Questa parola, o padre, la pronunziano i dannati nell’inferno, e un urlo di dolore l’accompagna…Non c’è vita fuori delle mura di Verona, V’è solo il purgatorio, la tortura, l’inferno. L’esilio da Verona è l’esilio dal mondo, e l’esilio dal mondo è la morte: invece di esiliato è meglio dire morto.
(William Shakespeare, Giulietta e Romeo)
Nelly Sachs 3
Scrittrice e poetessa tedesca, Premio Nobel del 1966, ebrea, fuggì dalla Germania nazista e si rifugiò in Svezia. Nella sua formazione letteraria hanno influito altri due grandi scrittori: Stefan Zweig e Paul Celan, ambedue ebrei come Nelly Sachs e esiliati, uno negli Stati Uniti e in Brasile, il secondo in Germania e in Francia, dove si è suicidato gettandosi nella Senna. Nelle sue poesie, oltre al tema dell’esilio, narra anche le angosce dell’olocausto nella sua opera In den Wohnungen des Todes (Nelle dimore della morte) del 1947, dalla quale è tratta la poesia “Wer aber leerte den Sand aus euren Schuhen” (Chi vi tolse la sabbia dalle scarpe) 4:
MA CHI VI TOLSE LA SABBIA DALLE SCARPE
Ma chi vi tolse la sabbia dalle scarpe,
quando doveste alzarvi per morire?
La sabbia che Israele ha riportato,
la sabbia del suo esilio?
Sabbia rovente del Sinai,
mischiata a gole di usignoli,
mischiata ad ali di farfalla,
mischiata alla polvere inquieta dei serpenti,
mischiata a grani di salomonica sapienza,
mischiata all'amaro segreto dell'assenzio.
O dita,
che toglieste ai morti la sabbia dalle scarpe,
domani già sarete polvere
nelle scarpe di quelli che verranno!
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WER ABER LEERTE DEN SAND AUS EUREN SCHUHEN
Wer aber leerte den Sand aus euren Schuhen,
Als ihr zum Sterben aufstehen mußtet?
Den Sand, den Israel heimholte,
Seinen Wandersand?
Brennenden Sinaisand,
Mit den Kehlen von Nachtigallen vermischt,
Mit den Flügeln des Schmetterlings vermischt,
Mit dem Sehnsuchtsstaub der Schlangen vermischt,
Mit allem was abfiel von der Weisheit Salomos vermischt,
Mit dem Bitteren aus des Wermuts Geheimnis vermischt.
O ihr Finger,
Die ihr den Sand aus Totenschuhen leertet,
Morgen schon werdet ihr Staub sein
In den Schuhen Kommender!
A completamento delle sofferenze di dispatriata, Nelly Sachs ha anche un’altra profonda poesia, dovuta anche alle difficoltà in cui si trovava davanti alla lingua nuova dei paesi nei quali si era rifugiata dopo la sua fuga dalla Germania nazista: sentimento che è sentito molto da tutti coloro che patiscono l’esilio e il dispatrio, volontario o involontario:
Davanti ai muri di parole - silenzio -
Dietro le pareti delle parole - silenzio -
Le rivelazioni del cuore pesante crescono attraverso la pelle
Gli occhi guardano sulle acque glaciali della sofferenza
Nel buio le mani brancolano
per i merli bianchi del nulla
Al di fuori
La danza irrompe nello spazio divino dell'amore
la stella sostiene la ferita della vita -
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Vor den Wänden der Worte – Schweigen –
Hinter den Wänden der Worte – Schweigen –
Offenbarungen der Schwermut wachsen durch die Haut
Augen gehen über die Gletscherwasser des Leidens
Im Dunkeln tasten die Hände
nach den weißen Zinnen des Nichtseins
Außerhalb
bricht Tanz ein in den Gottesraum der Liebe
der Stern erhält die Wunde des Lebens.
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Before the walls of words – silence –
Behind the walls of words – silence –
Revelations of the heavy heart grow through the skin
Eyes gaze over the glacial waters of suffering
In the dark the hands grope
for the white battlements of nothingness
Outside
Dance breaks into the Godspace of love
the star sustains the wound of life. 5
Pablo Neruda 6
Grande poeta cileno, molto impegnato anche nella politica del suo paese, aderendo al comunismo e subendo per questo censure e persecuzioni. Dovette espatriare per la sua opposizione al governo autoritario del Presidente cileno Gabriel González Videla e fece un lungo soggiorno d’esilio in Italia. Appoggiò Salvador Allende, ma con l’avvento di Pinochet era sul punto di partire di nuovo in esilio, quando morì in circostanze sospette proprio nello stesso anno del golpe.
L’ESILIO
Perché, beneamata, è l’uomo che canta quello che muore morendo senza morte
quando già non toccarono le sue braccia le originarie tormente,
quando già non bruciarono i suoi occhi gli intermittenti conflitti natali
o quando la patria sfuggente negò all’esiliato la sua coppa di amore e di asprezza
non muore e se muore quello che canta, e patisce morendo e vivendo quello che canta.
(da: Amori: Matilde)
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ADDII
Oh addii a una terra e ad altra terra,
a ogni bocca e a ogni tristezza,
alla luna insolente, alle settimane
che arrotolarono i giorni e scomparvero,
addio a questa e a quella voce tinta
d'amaranto, e addio
al letto e al piatto abituale,
al luogo vesperale degli addii,
alla sedia sposata con lo stesso crepuscolo,
alla strada che han fatto le mie scarpe
…
Si sa che chi torna non è partito,
così percorsi e ripercorsi la vita
mutando di vestito e di pianeta.
abituandomi alla compagnia,
alla gran moltitudine dell'esilio
sotto la solitudine delle campane.
(da “Plenos Poderes”)
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ESILIO 7
Tra castelli di pietra stanca,
strade di Praga bella,
sorrisi e betulle siberiane,
Capri, fuoco sul mare, aroma
di rosmarino amaro
e l'ultimo, l'amore,
l'essenziale amore che s'uni alla mia vita
nella pace generosa,
frattanto,
tra una mano amica e un'altra
s'andava scavando un buco oscuro
nella pietra della mia anima
e lì ardeva la mia patria
chiamandomi, attendendomi, incitandomi
ad essere, a preservare, a soffrire.
…
L'esilio è rotondo:
un cerchio, un anello:
i tuoi piedi lo girano, attraversi la terra,
non è la tua terra,
ti sveglia la luce, e non è la tua luce,
la notte giunge: mancano le tue stelle,
trovi fratelli: ma non è il tuo sangue.
…
Esili! La distanza
si fa densa,
respiriamo l'aria dalla ferita:
vivere è un precetto obbligatorio.
Tanto è ingiusta l'anima senza radici!
Rifiuta la bellezza che le offrono:
cerca il suo sventurato territorio:
e solo lì il martirio o la calma.
In omaggio agli esiliati della Spagna franchista e di tutte le dittature fasciste della storia, Neruda scrisse la poesia “Amori: Delia”, nella quale accenna al grande lavoro che fece a favore dei profughi che fuggivano dalla Spagna: in circa 50.000 furono accolti in sud America: in Messico, Cile e altri Paesi. Pablo Neruda fu il protagonista centrale delle intense attività che furono necessarie per l’organizzazione del viaggio della nave Winnipeg che portava i profughi verso il Cile.
TRISTISSIMO SECOLO 8
Il secolo degli esiliati,
il libro degli esiliati,
il secolo grigio, il libro nero.
E’ ciò che devo lasciare
scritto e aperto nel libro,
dissotterrandolo dal secolo
e dissanguandolo nel libro.
Perché io vissi la fratta
dei perduti nella selva:
nella selva dei castighi.
Ho contato le mani tagliate
e le montagne di cenere,
i singhiozzi separati,
gli occhiali senza occhi
e i capelli senza testa.
Poi ho cercato per il mondo
quelli che han perso la patria,
portando dove le portai
le loro bandierine sconfitte,
le loro stelle di Giacobbe,
le povere fotografie.
Ho conosciuto anch’io l’esilio.
Ma, essendo nato camminante,
sono tornato a mani vuote
a questo mare che mi riconosce;
sono altri, però, gli ancora,
gli ancora tormentati,
quelli che ancora lasciano indietro
i loro amori e i loro errori,
pensando che forse, forse,
e sapendo che mai, mai:
così mi toccò singhiozzare
questo singhiozzo polveroso,
di quelli che persero la terra,
e celebrare coi miei fratelli
(quelli che rimasero là)
le costruzioni vittoriose,
i raccolti di pani nuovi.
Mahmud Darwish
Mahmoud Darwish è un poeta e scrittore palestinese, esiliato e dispatriato, fin da bambino visse a lungo nella condizione di “alieno” e di ospite illegale.
Divennero famose alcune poesie che raccontano la condizione dolorosa e folle dell'esilio. “Mi manca il pane di mia madre” è una delle più belle, densa di suggestione e di tenerezza:
MI MANCA IL PANE DI MIA MADRE.
Mi manca il pane di mia madre
Il suo caffè
La sua carezza
Che cresce con la mia infanzia
Giorno dopo giorno
Amo la vita
Perché se morissi
Non sopporterei il pianto di mia madre!
Accoglimi se un giorno diventerò
Mascara per le tue ciglia
E coprimi le ossa di erbe
Portate dal tuo candido seno¨
E stringimi forte
Con una ciocca dei tuoi capelli
Sperando di diventare un dio
Diventerò un dio …
Quando toccherò’ il fondo del tuo cuore
E quando tornerò’, usami come combustibile
Per rinvigorire il fuoco
Come filo da bucato sul terrazzo di casa
Perché non posso resistere senza le tue preghiere
Sono invecchiato
Ridammi le stelle dell’infanzia
Perché possa condividere coi giovani uccelli
La strada del ritorno
Verso il nido della tua attesa!
E dà del suo sentimento di esule una definizione ricca di immagini e di memorie:
Ma io sono l'esule.
Sigillami con i tuoi occhi.
Prendimi ovunque tu sia.
Prendimi ovunque tu sia.
Restituiscimi il colore del viso
E il calore del corpo
La luce del cuore e dell'occhio.
Il sale del pane e il ritmo,
Il sapore della terra... la Patria.
Fammi scudo coni tuoi occhi.
Prendimi come una reliquia dalla tenuta del rimpianto.
Prendimi come un verso dalla mia tragedia;
Prendimi con un giocattolo, un mattone dalla casa
Così che i nostri figli ricordino di tornare.
Giuseppe Ungaretti
Ripensando all’abbandono di Alessandria d’Egitto, nella poesia intitolata 1914-1915 raccolta in Sentimento del tempo, condensa il suo senso di sradicamento in due versi: «La delusione che tu sia, straniera, la mia città natale» o gli altri versetti: «In nessuna/ parte/ di terra/ mi posso/ accasare»).
Infatti, nasce in esilio e questa ferita ritorna anche in numerosi passaggi della sua opera: in una sua lettera confida: «io, generato nell’esilio, nell’esilio nacqui” e nella poesia IL GIROVAGO (1918), ritorna amaro su questo sentimento:
A ogni
Nuovo
Clima
Che incontro
Mi trovo
Languente
Che
Una volta
Già gli ero stato
Assuefatto
E me ne stacco sempre
Straniero
Nascendo
Tornato da epoche troppo
Vissute
Godere un solo
Minuto di vita
Iniziale
Cerco un paese
Innocente
Anche Ungaretti, come Dante, sublima il suo esilio come forma di estraneità non tanto dalla patria, quanto dall’umanità: sensazione che caratterizza tutte le personalità libere e autonome, che non seguono l’onda delle masse (molto gregarie e manipolate) e alludendo alla condizione del poeta che non riesce a trovare punti di riferimento nel mondo così com’è:
“E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena”
Questo dramma dello “sradicamento” Ungaretti lo rivela anche nei confronti di un tema che oggi è diventato drammatico: il tema degli immigrati. E dedica una poesia struggente e dolorosa a un suo amico arabo, Mohammed Sceab, che era dispatriato con lui in Francia: qui il giovane arabo cambia nome in Marcel, ma non riesce a integrarsi, perché gli manca il silenzio del deserto nel rumore e nel caos della città e decide di togliersi la vita. A questo giovane amico Ungaretti dedica la poesia “In memoria”:
Eugenio Montale
Anche per Montale possiamo parlare, come in Vera Linhartova, di “ontologia dell’esilio”, come esprime con chiarezza nella poesia “La farandola dei fanciulli sul greto”:
La farandola dei fanciulli sul greto
era la vita che scoppia dall'arsura.
Cresceva tra rare canne e uno sterpeto
il cespo umano nell'aria pura.
il passante sentiva come un supplizio
il suo distacco dalle antiche radici.
Nell'età d'oro florida sulle sponde felici
anche un nome, una veste, erano un vizio
Anche in Ossi di seppia, la sua opera più famosa, il poeta parla di esclusione e di emarginazione e usa parole chiave tipiche dell’esilio, come appunto nel caso di Dante.
OSSI DI SEPPIA
Ho sostato talvolta nelle grotte
che t’assecondano, vaste
o anguste, ombrose e amare.
Guardati dal fondo gli sbocchi
Segnavano architetture
Possenti campite nel cielo.
Sorgevano dal tuo petto
Rombante aerei templi,
guglie scoccanti luci:
una città di vetro dentro l’azzurro netto
via via si discopriva da ogni caduco velo
e il suo rombo non era che un sussurro.
Nasceva dal fiotto la patria sognata.
Dal subbuglio emergeva l’evidenza.
Salvatore Quasimodo
Anche Quasimodo traccia un percorso poetico che richiama le sofferenze dell’esilio, come nella poesia Vento a Tìndari:
VENTO A TÌNDARI
Tìndari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull’acque
delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
ove ogni giorno affondo
e segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tìndari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato
Nazim Hikmet
Nâzım Hikmet Ran è uno dei più grandi poeti turchi del novecento ed è stato una delle rare voci di contestazione del potere e della dittatura del suo paese, oltre che del nazismo e del franchismo. Per questa sua anima di “rivoluzionario romantico” fu a lungo imprigionato e torturato fino al suo esilio, prima in Polonia, di cui divenne cittadino nel 1959, in seguito a Mosca (dove morì) e in molti altri luoghi, compresa Roma, alla quale ha dedicato una sua brevissima poesia, suggestiva e colma di sentimento di gioia e di vita, ma anche di morte, che avverrà l’anno seguente:
ROMA 1960
Quante donne belle ci sono al mondo
quante belle ragazze
s'affacciano sulle terrazze della città
contemplale vecchio
contemplale e mentre da un canto i tuoi versi
si fanno più tersi e lucenti
dall'altro
devi contrattare cercando di tirarla in lungo
con la morte che ti sta accanto.
In “Arrivederci fratello mare” si immedesima nella nostalgia simile ai versi di Dante nell’ VIII Canto del Purgatorio (dove c’è l’incontro con Sordello e con Corrado Malaspina, che gli profetizza l’esilio presso la sua famiglia in Lunigiana:
“Era già l'ora che volge il disio,
ai navicanti e 'ntenerisce il core,
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore punge,
se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more”
(Purgatorio VIII 1-6)
ARRIVEDERCI FRATELLO MARE
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità...
Varna, 1951
E sempre sulla nostalgia della patria e della sua gente, c’è un’altra bella poesia.
DURANTE TUTTO IL VIAGGIO LA NOSTALGIA NON SI È SEPARATA DA ME
Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse come la mia ombra
mi stava accanto anche nel buio
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
Nella poesia “Autobiografia” la sua elaborazione del lutto dell’esilio e della sua condizione di dispatriato e perseguitato a causa della giustizia, appare nel modo più accurato e sublime:
AUTOBIOGRAFIA
Sono nato nel 1902
non sono più tornato
nella città natale
non amo i ritorni indietro
quando avevo tre anni
abitavo Alep
con mio nonno pascià
….
e dall'età di 14 anni
faccio il poeta
alcuni conoscono bene le varie specie
delle piante altri quelle dei pesci
io conosco le separazioni
alcuni enumerano a memoria i nomi
delle stelle io delle nostalgie
ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
e non c'è quasi pietanza
che non abbia assaggiata
quando avevo trent'anni hanno chiesto
la mia impiccagione
…
ho sempre guadagnato il mio pane
col sudore della mia fronte
che felicità
…
le mie poesie sono pubblicate
in trenta o quaranta lingue
ma nella mia Turchia
nella mia lingua turca
sono proibite
…
anche se oggi a Berlino sono sul punto
di crepare di tristezza
posso dire di aver vissuto
da uomo
e quanto vivrò ancora
e quanto vedrò ancora
chi sa
Edmond Haracourt
Poeta francese, vissuto a cavallo tra ottocento e novecento, ha una brevissima poesia sul senso di smarrimento di chi parte, che può illuminare il sentimento dell’esiliato:
PARTIRE È UN PO' MORIRE
Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po' di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
È un dolore sottile e definitivo
come l'ultimo verso di un poema...
Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po' della nostra anima.
Gabriel Aresti
Gabriel Aresti (1933-1975) è uno scrittore e poeta basco. Fu emarginato a causa del suo antifranchismo. La Spagna di Franco non poteva tollerare chi si poneva contro l’unità della sua lingua e contro la nuova costituzione politica.
SEMPRE DIREI A VERDADE 9
Sempre direi
a verdade.
Da miña boca non sairá palabra
que non sexa verdade.
Rompéranme os beizos,
caéranme os dentes,
Cortáranme a língoa
mais eu nunca mentirei.
#
Dirò sempre la verità
Nessuna parola verrà fuori dalla mia bocca
che non sia la verità.
Mi romperanno le mie labbra,
mi cadranno i denti
Mi taglieranno la lingua
ma non mentirò mai.
Il suo amore per la sua identità è elaborato sulla figura del padre e della casa del padre, che rivela, nella stessa etimologia, anche l’amore profondo per la “patria”, come casa del padre. Dante, nel suo incontro con l’avo Cacciaguida, rivela lo stesso sentimento tenace, che l’esilio non per nulla scalfito.
DIFENDERÒ LA CASA DI MIO PADRE
Difenderò
la casa di mio padre.
Contro i lupi,
contro la siccità,
contro l’usura,
contro la giustizia,
difenderò
la casa
di mio padre.
Perderò
il bestiame,
l’orto,
la pineta;
perderò
gli interessi,
le rendite
i dividendi,
ma difenderò la casa di mio padre.
Mi toglieranno le armi
e con le mani difenderò
la casa di mio padre;
mi taglieranno le mani
e con le braccia difenderò
la casa di mio padre;
mi lasceranno
senza braccia,
senza spalle,
e senza petto,
e con l’anima difenderò
la casa di mio padre. Morirò,
si perderà la mia anima,
si perderà la mia prole,
ma la casa di mio padre
continuerà a restare
in piedi.
I SHALL DEFEND MY FATHER'S HOUSE
I shall defend
The house of my father.
Against wolves,
Against drought,
Against usury,
Against the Justice,
I shall defend
The house of my father.
I shall lose cattle, orchards, and pinewoods;
I shall lose Interests, Income,
And dividends,
But I shall defend the house of my father.
They will take away my weapons
And with my hands I shall defend
The house of my father;
They will cut off my hands
And with my arms I shall defend
The house of my father;
They will leave me
Without arms,
Without shoulders,
And without breasts,
And with my soul I shall defend
The house of my father. I shall die,
My soul will be lost,
My descendence will be lost,
But the house of my father
Will remain
All’interno dei suoi versi, la poesia acquista forza e diventa arma di lotta, come le invettive di Dante contro gli ipocriti, i falsari, i corrotti, come il martello che Aresti celebra nella famosa poesia:
Esan dute
hau poesia
eztela,
baina nik
esanen diet
poesia
mailu badela.
(Diranno/ che questa/ non è poesia, / ma io/ gli dirò/ che la poesia/ è/ un martello.)
Rigoberta Menchu
Rigoberta Menchú Tum ha ottenuto il Premio Nobel per la pace nel 1992, in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene". Ha iniziato a lavorare come bracciante agricola migrante all'età di 5 anni, in condizioni che causarono la morte dei suoi fratelli e dei suoi amici. La violenza la costrinse all'esilio nel 1981, durante il quale ha espresso il sentimento di amarezza con una breve poesia
CI SARÀ CURA PER TUTTI 10
Ho attraversato la frontiera
carica di dignità
porto al fianco la bisaccia piena
di tante cose
di questa terra piovosa.
Porto i ricordi millenari di Patrocinio,
i sandali che sono nati con me
l’odore della primavera
l’odore dei muschi
le carezze dei campi di mais
e i gloriosi calli dell’infanzia.
Ho attraversato la frontiera amore
tornerò domani quando
la mamma torturata
tesserà un altro guipil multicolore
quando il papà bruciato vivo
si alzerà di nuovo presto
per salutare il sole
dai quattro cantoni della nostra casa.
Allora ci sarà cura per tutti,
ci sarà incenso
le risate dei piccoli Indios,
ci saranno allegre marimbas.
Accenderanno lumi in ogni casa,
in ogni fiume
per lavare la grande pentola
al mattino.
Si accenderanno le torce,
illumineranno le strade,
i dirupi, le rocce e i campi.
Edmond Jabès
Figlio di ebrei italiani fu cresciuto in Egitto. Quando l'Egitto decise di espellere dai suoi territori la popolazione di origine ebraica, Jabès si rifugiò a Parigi, dove morì nel 1991.
HO LASCIATO UNA TERRA CHE NON ERA MIA
Ho lasciato una terra, che non era la mia,
per un’altra che più non è
mi sono rifugiato in un vocabolo d’inchiostro,
avendo il libro per spazio,
parola di nessun luogo, quella oscura del deserto
non mi sono coperto la notte
non mi sono coperto dal sole.
Ho marciato nudo
Da dove venivo non aveva senso
Dove andavo non inquietava nessuno
Dal vento vi dico, dal vento
E un po’ di sabbia nel vento
Luís de Camões
La tristezza dell’esilio degli ebrei a Babilonio interpretata da Luis de Camões
CÁ NESTA BABILÓNIA
Cá nesta Babilónia, donde mana
matéria a quanto mal o mundo cria;
cá onde o puro Amor não tem valia,
que a Mãe, que manda mais, tudo profana;
cá, onde o mal se aï¬na e o bem se dana,
e pode mais que a honra a tirania;
cá, onde a errada e cega Monarquia
cuida que um nome vão a desengana;
cá, neste labirinto, onde a nobreza
com esforço e saber pedindo vão
às portas da cobiça e da vileza;
cá neste escuro caos de confusão,
cumprindo o curso estou da natureza.
Vê se me esquecerei de ti, Sião!
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1Giovanni Capecchi, Le forme dell’esilio, tra Dante e Montale, in “Studi di letteratura italiana in onore di Gino Tellini”, Società Editrice Fiorentina, 2018. Uno dei saggi che ho maggiormente apprezzato sul tema dell’esilio nella letteratura.
2 Giovanni Prima Lettera 5, 19l
3Nelly Sachs, Poesie, Einaudi 2006.
4Nella bella traduzione di Ida Porena.
5Traduzione di Catherine Sommer.
6Le citazioni delle poesie sono tratte da: Tutte le opere di Neruda. I, Stravagario, Milano, Nuova Accademia, 1963.II, Poesia d'amore, Milano, Nuova Accademia, 1963.III, Memoriale di Isla Negra, Milano, Nuova Accademia, 1965.
7In questa poesia è citata anche Capri, che fu uno dei luoghi dell’esilio di Pablo Neruda, celebrato anche dal bellissimo film “Il postino” di Massimo Troisi (1994),
8Pablo Neruda, tratto da “Fine del mondo”, Passigli, 2000
9Traduzione dal basco in galiziano.
10Tratto da Gianni Minà, “Un continente desaparecido”, Sperling Paperback, 2000.