Un terribile male, oscuro ed invisibile e sempre più presente in tutti i paesi, sta rendendo difficili e tristi i nostri giorni.
Migliaia di scienziati sono impegnati nella ricerca di un farmaco e di un vaccino che possano consentire di porre fine alla sua implacabile diffusione.
Anche i governanti cercano sul piano politico ed organizzativo di creare ostacoli e di cercare rimedi alla propagazione di questa pericolosa e grave malattia. L’imperativo è rappresentato dal contrasto al contagio in attesa della scoperta di un idoneo medicamento.
Tra i doveri di maggiore importanza vi è quello di restare nelle proprie abitazioni con pesanti e necessarie limitazioni della libertà di movimento.
Nella mia biblioteca si trova da molti decenni un libro che stava muto e dimenticato negli scaffali e che in questi giorni ho ripreso in mano e consultato perché divenuto di grande attualità. Si tratta di un volume del 1714 dal titolo “ Del Governo della Peste e delle maniere di guardarsene”. L’autore di questo trattato è un autorevole pensatore del passato, LODOVICO ANTONIO MURATORI, che nel frontespizio si definisce “Bibliotecario del Serenissimo Signor DUCA DI MODENA”. Questo grandissimo storico ed erudito deceduto a Modena nel 1750 è autore di opere fondamentali nella storia nella letteratura italiana.
Il trattato sulla Peste è uno scritto minore rispetto alle sue famose opere principali.
Va detto però che il tema viene affrontato con impegno e competenza e certamente non in modo riduttivo e superficiale per ben 437 pagine e con l’aggiunta di un’appendice di 44 pagine dal titolo “ DETTAGLIO DELLA PESTE DI MARSIGLIA dell’anno 1721”.
Nei due volumi il Muratori elabora una serie di osservazioni su quello che definisce il terribile contagio.
Il trattato è molto ampio e dettagliato e risulta diviso in tre settori: POLITICO – MEDICO – ECCLESIASTICO.
Non è certamente mia intenzione svolgere un’indagine letteraria, non è nelle mie intenzioni, non è nelle mie competenze. Desidero solo esporre alcune riflessioni su questo lavoro che mi ha particolarmente impressionato per le analogie e i riferimenti rispetto alla tragica epidemia che sta duramente colpendo i paesi del mondo. Ho definito nel titolo antichi i rimedi descritti dall’autore perché risalgono a 300 anni fa . Sono indubbiamente antichi, ma non sono superati o abbandonati in quanto corrispondono, quantomeno in parte, alla strategia e alle decisioni dei nostri governanti e delle istituzioni sanitarie.
L’autore nel parlarci della peste che ha causato nella storia dell’uomo milioni di morti, ricorda che Omero nell’Iliade racconta come avesse colpito i Troiani a seguito della freccia scagliata da Apollo; ricorda anche gli scritti sulla peste del romano Tito Livio; menziona infine gli accenni sulla peste nelle Metamorfosi di Ovidio. Si tratta quindi di un male che ha già ferocemente colpito l’umanità in un passato molto lontano.
Il Corona Virus non è la peste, ma fa male, molto male ed è certamente singolare verificare che alcuni dei rimedi di oggi sono molto simili, per non dire uguali a quelli suggeriti nel trattato tre secoli fa.
L’obiettivo fondamentale, secondo l’autore, nella lotta contro il male va individuato nella difesa dal contagio. Egli scrive infatti testualmente che “ la vera peste non nasce come i funghi, né ha le ali per volar lontano se non gliele prestano gli uomini stessi.”
Bisogna bloccare i confini, tagliare le strade che abbiano comunicazione con i luoghi in cui il male si è già sviluppato. Se riesce, comunque, a penetrare si deve realizzare il maggiore isolamento possibile.
Le indicazioni del Muratori, che era un sacerdote profondamente credente, sono di particolare durezza. Scrive infatti testualmente che si devono “ assolutamente rinserrare nelle proprie lor case il volgo e i poveri tutti sotto pena della vita” aggiungendo poi che vanno rinchiusi in una
“medicinal prigionia”. Continua ancora con l’affermare che si può ricavare un gran bene “ da tal rinserramento perché vien tolta l’occasion di conversare e vicendevolmente imbrattarsi “
Più oltre l’autore torna all’isolamento per sostenere che per vedere la fine della malattia occorre “ mettere in quarantena, cioè rinserrare nelle sue case per quaranta dì tutto il popolo si Nobile come ignobile.” Queste prescrizioni non possono non riportarci alle disposizioni estremamente cogenti emanate nel nostro paese. Dobbiamo stare a casa come i nostri cittadini in un tempo assai lontano. Però c’è una profonda differenza rispetto ad oggi che nasce da un’altra singolare prescrizione. Per combattere la peste bisogna “alleggerire le città.”
Chi possiede case, terre fuori dalla città può andarsene, può trasferirsi nei suoi castelli, nelle sue ville, nelle sue case di campagna. Meno gente resta e vive nelle città più difficile è il contagio.
Non tutti però possono lasciare la città. Devono rimanere le persone importanti e indispensabili e, tra queste, i magistrati, i “ parrochi “, i medici, i cerusici, i notai, le levatrici.
Viene detto ancora che i magistrati quando passano a cavallo “ devono parlare alle guardie e alle altre persone solamente da lontano “ ( C’era già forse la distanza di sicurezza? ).
C’è ancora un’altra essenziale indicazione terapeutica che è una vera e propria anticipazione delle prescrizioni odierne: proteggere le porte della umana respirazione, il naso e la bocca.
Il Muratori riferisce inoltre una affermazione di un famoso medico siciliano e scrive “ Filippo Ingrascia indica nel suo utile Trattato della peste come principalissimi rimedi espugnatori di questo male i tre seguenti: l’ORO, il FUOCO, la FORCA. Il primo per il mantenimento dei poveri e per le altre spese, il secondo per l’espurgazione delle case e il terzo per l’osservanza delle leggi e regole. “
Nella seconda parte del trattato dedicata al GOVERNO MEDICO sono riportate moltissime ed elaborate indicazioni sul lavoro dei medici, sulle cure e terapie con molte e dettagliate specifiche precisazioni sui farmaci e sui cibi per i malati.
Vi sono parole elogiative nei confronti dei medici e degli operatori sanitari e viene detto che è giusto “ costringerli a non partir di città, ma che non sarebbe conforme a giustizia il forzargli a medicar gli Appestati. Dicono, che le Leggi il vogliono, e in Sicilia fu fatto così; e lo stesso venne una volta preteso in Padova perché nel prender ivi la Laurea Dottorale si fussero obbligati i Medici a servire anche in tempo di Peste. Ma grida la ragione che non son tenuti ad esporsi e non si debbono esporre per forza all’evidente rischio della vita Persone la conservazion delle quali è troppo necessaria alla Repubblica. Non ci vuol poco a formare un buon Medico: e formato che sia è un grande interesse del Pubblico ch’egli non perisca. “
Ho voluto riportare le considerazioni dello storico anche per rendere un omaggio al lavoro profondamente umano e solidale dei medici e degli operatori sanitari in Italia in questo tragico momento. Stanno facendo tutto il possibile e con tutte le loro forze, rischiando e a volte, purtroppo, perdendo la vita.
Credo che forse non è mai emerso con tanta efficacia il profilo etico di questa essenziale professione .
In quella che il Muratori definisce GUERRA DIVINA contro il male desidero ricordare una sua importante considerazione. Compiendo una sorprendente indagine psicologica egli ci dice che bisogna guardarsi dalla paura e dalla tristezza; occorre armarsi di fiducia e di coraggio anche perchè se il nostro animo è depresso e abbattuto possiamo aprire il varco ad un micidiale abbattimento del corpo. Così ci viene detto da questo grande pensatore del settecento.
Fanno quindi una cosa buona i bambini che scrivono sulle finestre ANDRA’ TUTTO BENE.
Arnaldo Loner