Eugen Galasso
Recensioni
Nella foga da"Coronavirus", da un soggetto ad alto rischio, vi mando due recensioni frutto di mie recenti letture e approfondimenti...
Peter Oberdorfer
Die Temperaturen der Wahrheit
Ein Lesebuch
herausgegeben von Christine Kofler, Hans Perkmann, Sonja Steger, Meran, Alpha Beta , 549 pp., 2018
Lo scrittore e autore(nell'accezione complessiva del termine)è nato a Silandro nel 1961 e scomparso nel 2017 a Merano, a causa di una malattia fulminante. Originario della Val Venosta, che vanta personalità diverse e meno conformiste rispetto alla parallela Val Passiria, "schiacciata"sul mito di Andreas Hofer e sul suo clericalismo; in Val Venosta si è conservata, tra l'altro più a lungo, l'originaria popolazione retoromanica (lo si evince anche dalla fisionomia delle persone) rispetto alla successiva germanizzazione. Personaggi talora"estremi" , i venostani, come Alphons Benedikter, esponente pantirolese ma anche co-fondatore del sindacato SGB-CISL, ma anche , appunto, l'"impolitico" Oberdorfer, anticonformista nello stile di vita, nelle passioni letterarie, nella scrittura.
Lascia clamorosamente la scuola a ridosso dell'esame di maturità, consegue una formazione teatrale a Bologna, è attore ma anche autore teatrale (il titolo del libro è quello di una sua piéce sul “Divino Marchese"e entourage). La silloge, ben curata e preceduta da studi di critici e studiosi di letterature comparate, ma anche seguita da testimonianze di amici e colleghi (tra i quali per accidens, anche chi scrive questa nota, che lo ha conosciuto negli anni 1990, assistendo ad alcune sue performances teatrali), comprende praticamente l'opera omnia, con eccezione dei due romanzi pubblicati in vita, "Gischt"e"Mauss", che non erano riproducibili per questioni (ovvie, tra l'altro, essendo testi usciti rispettivamente nel 2005 e 2008) legate al copyright. Vi si trovano racconti, pièces teatrali, il corpus poetico, ricco (salvo testi manoscritti quasi illeggibili e non databili) di poesie in lingua tedesca e italiana, abbozzi di racconti previsti e non completati. Difficile estrapolare, anche considerando il fatto che si tratta di testi diversi e composti in un arco temporale lungo , alcune caratteristiche determinanti.
Per il teatro, pur se Piet (come in genere veniva chiamato) era molto vicino al teatro gestuale e mimico, sulla linea di Artaud e di Stanislawskij non tralasciando la dimensione del grido e dell'immedesimazione (parziale)tra attore e personaggio, si tratta comunque di un teatro "colto", ben radicato nella conoscenza dell'autore di cui si parla. Ciò si vede chiaramente, per es., nella pièce del titolo, che riflette una conoscenza ben chiara del personaggio Donatien-Alphonse Marquis de Sade, che Adorno e Horkheimer in"Dialektik der Aufklaerung "contrappongono alle"illusioni"illuministe e che vedono come specchio delle contraddizioni dello stesso, ma che al Sudtirolese di media cultura, timorato forse più del vescovo che di Dio, generalmente sfugge...In ogni caso va tenuto conto cheo che leggere testi teatrali ("copioni", come si dice tecnicamente, anche se il lemma forse suona male) è diverso dalla possibilità di vederli in scena, rappresentati, che la vera condizione del teatro è la seconda, quasi un"atto"rispetto alla mera"potenza", per dirla non casualmente con espressione aristotelica, vista l'importanza accordata al teatro nella"Poetica".
I racconti invece ci parlano di déracinés, di personaggi volutamente marginali senza rientrare in una precisa categoria (né hippies, né punks, possiamo dire tranquillamente: Oberdorfer è stato un grande lettore di Kerouac e di Ginsberg forse più che di William Burroughs, ma non definirei neppure "beatniks"i personaggi dei racconti; sono eventualmente dei solitari alla ricerca della propria identità e che, appunto, non hanno mai messo "radici"in nessun luogo natio). Come rilevano vari interventi critici, è difficile ritrovare qualche riferimento locale o"localistico", per cui Piet sfugge anche decisamente alla categoria della "letteratura sudtirolese alternativa", che peraltro non ha esponenti che possano raggrupparsi in una corrente o in un gruppo coeso (Kaser non è Gatterer, per fare solo due nomi di autori tra loro molto diversi).
La produzione poetica, senz'altro meno nota in assoluto, con spezzature lemmatiche, versi composti anche solo da una sillaba, con riprese anaforiche, come in (le poesie non hanno titolo): "Rucksack/Sackruck/ruckzuck/wech Zeck"(op.cit., S.453), dove lo humor contribuisce a una proposta antifrastica quanto antiretorica. Idem, con qualche accentuazione lirico- soggettiva maggiore in "Io/ non voglio/ possederti/ vorrei/suonare con/ te/ sul pianoforte/di costa d'avorio/a tre mani/Jean Jacques Baudelaire"(cit., p.433).
Questo clericus vagans che negli anni 1980 / inizio anni'90 proponeva il suo"teatro di strada"in Italia centrale e in Spagna, con qualche "coda"meranese, merita di essere riscoperto e ridiscusso, certo più ampiamente di quanto sia riuscito a fare io in questa breve nota.
Roberto Marino,
Bolzano Laltra
edizioni Scarabocchio, 2019
L'autore, che ha al suo attivo varie opere prima di questa, che a Laives (provincia di Bolzano) coordina e cura il "Café letterario 7", in quest'opera fa parlare più che altro il libro stesso, che fin dall'inizio, in effetti, parla in prima persona. Il libro, tra l'altro, sempre parlando in prima persona, non fa mistero di voler un po' sconcertare i critici, volerli imbarazzare, per cui queste note sono solo amichevoli appunti...Sintesi o congerie di stili (appunti, note quasi diaristiche, frammenti di prosa poetica e ancora altro), in questo libro, che guarda prioritariamente a Bolzano, ma non a una città solipsistica, chiusa nella propria monade, bensì a Bolzano ideale, invero fin troppo ideale, quasi utopica, aperta al mondo, non più convinta di essere l'"ombelico del mondo). Ci sono parti autobiografiche, nelle quali Giuliano, ghost-persone che "sostituisce"l'autore, racconta in parte e con alcuni accenni significativi la la sua vita e citazioni"appropriate"(ossia fatte proprie, letteralmente e rielaborate) di testi di altri autori, ormai classici della letteratura contemporane come, per citare solo due nomi, certo notissimi a tutti, Alda Merini e Antonio Tabucchi. Ve ne sono altre nelle quali Marino "fa parlare" altri personaggi, altre"persone" spesso femminili (senza essere, però, poesia"en travesti"), che compongono sinfonicamente diverse maniere di guardare alla realtà, locale ma certamente mai solo. Anche le "tirades"che l'autore rivolge a critici ed editori (con un'eccezione, invero) sono sempre fondamentalmente bonarie, prive di quell'acrimonia, che popola invece una cultura-gran parte di quella attuale-che è essenzialmente e sostanzialmente, anche quando tende a dissimulare tale sua natura, anzi a fortiori quando dissimula-"polemologica". Emerge l'autoritratto letterario di una persona buona, proba, che ha subito varie angherie e vari disconoscimenti, che rimane un pacifista, un cattolico scarsamente legato alla "lettera"del dogma ma attento piuttosto allo spirito, al "bando cristiano"(Ernesto Bonaiuti), che considera il Bene come un balsamo fecondo, certo non dimenticando i pericoli insiti nelle varie tappe della peregrinatio vitae, nelle trappole ordite dai "demoni" spesso nascosti e troppo bene camuffati... Un libro che è certo narrazione, nell'accezione piena del termine, ma che non è né vuole mai essere"romanzo", senza peraltro proporre un'alternativa quale quella dell'anti-romanzo, che peraltro ormai non sapremmo neppure più definire... L'"umanista"(non tanto chi consulta commenti e crestomazie, ma chi, senza mai essere o voler essere un"nozionista", leggendo e scrivendo, vuol ricercare l'essenza dell'"umanità-humanitas) Marino parla anche di questo conciliabolo-esperienza dialogica e di scambio culturale che è certamente il citato caffè letterario da lui fondato e coordinato, senza alcun impulso autoritario, anzi decisamente"en souplesse".
Eugen Galasso
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