“Scripta manent 2019”
Sfogliando l'ultima bella edizione di “Scripta manent”, la rivista della ripartizione culturale in lingua italiana (purtroppo solo on line, anche se porta quel nome), apparsa in aprile e dedicata all'ambizioso tema di “Quale pubblico per la cultura in Alto Adige?”, curata da Massimiliano Boschi, si può rimanere colpiti da due aspetti: una presenza ed una assenza.
La presenza è data dall'ampia gamma di interventi – interviste di molti rappresentanti di istituzioni ed associazioni che arricchiscono il panorama della vita culturale italiana della provincia. Compaiono anche le voci di alcuni spettatori particolarmente affezionati, in qualità di “rappresentanti” di quella che potrebbe essere la voce del “pubblico”. Oltre ai più noti e sempre gettonati direttori di istituzioni che sono pilastri classici (Teatro Stabile Bolzano, orchestra Haydn, concorso Busoni, Museion ecc.) sono intervistati gli esponenti di realtà più giovani ma non per questo meno avvertite di cosa significhi fare cultura in un territorio difficile e privo di un passato dalle solide radici intellettuali ed artistiche. E colpisce anche il resoconto di successi crescenti in termini quantitativi e qualitativi, la sprovincializzazione delle prospettive e dei contatti, la acquisizione di nuove fette di partecipazione e di pubblico, ad esempio nel mondo dello spettacolo e dei corsi linguistici che diventano occasioni interculturali. Ovvio che ciascuno presenti, parlando di sé, la faccia migliore del proprio operato e che il quadro che ne esce abbia un tono ottimistico e rassicurante, talvolta quasi compiaciuto. Ma è cosa scontata, trattandosi di una vetrina allestita per e dagli stessi operatori culturali che vogliono ben presentare il proprio prodotto.
Forse sarebbe stata opportuna una distinzione tra arte, intrattenimento, spettacolo e formazione: si tratta di campi distinti, anche se concorrono alla dimensione della offerta culturale, almeno di una cultura intesa come apprendimento continuo lungo l'arco della vita. Interessanti anche due altri aspetti che emergono in qualche intervista, oltre alle ripetute osservazioni, già note, su un pubblico in provincia che sarebbe troppo viziato, un po' pigro e poco caloroso: la critica al sistema mediatico (soprattutto la stampa) che vizia la vita culturale e artistica, avendo in pratica rinunciato ad una reale funzione critica e privilegiando la promozione e la pubblicità anticipata di ogni evento culturale e soprattutto di ogni spettacolo. E, collegata alla mancanza di vere recensioni, anche la assenza di un “dibattito pubblico culturale”: la gente per lo più si gode uno spettacolo o un concerto, applaude più o meno, non commenta, esce e se ne va; critici, recensori e intellettuali in genere per lo più non interagiscono coi vari pubblici.
Quello che manca in questo “Scripta manent” è forse un punto di vista d'insieme e la attenzione rivolta alle carenze delle politiche culturali, alle criticità o ad alcuni deficit di fondo, purtroppo ben evidenti se si guarda al quadro nell'insieme e non solo nel particolare.
E' sintomatico tra l'altro che le diverse voci sembrino non accorgersi che la politica culturale provinciale è passata da due anni dalle mani di un esponente del Pd ad uno della Lega. Ciò potrebbe anche testimoniare di una libertà di movimento, di vera autonomia nel campo culturale. Ma potrebbe anche essere letto come indifferenza rispetto a scelte di politica culturale che, a questo punto, sembrano diventare intercambiabili. Credo che non sia un bene, né per la cultura, né per la democrazia, il venir meno di un confronto pubblico (ed eventualmente uno scontro) con le linee della politica culturale, se ci sono; e che tutto sia delegato ai “tecnocrati”, agli esperti, ai manager, agli addetti ai lavori delle istituzioni culturali.
Mi limito a qualche esempio di questo piccolo panorama “in negativo”, lasciando da parte la questione del budget della cultura, delle sue riduzioni in ambito provinciale, delle disuguaglianze nelle scelte fatte in questo periodo sulla ripartizione dei contributi e sui reali o temuti tagli ad importanti attività e servizi culturali. E senza insistere troppo nemmeno sulla cronica questione degli spazi di agibilità, in parole povere delle sedi di varie associazioni tra le quali si nota una bella disparità di trattamento. La nostra associazione da molti anni, e ad esempio di recente la Biblioteca della donna lo stanno a testimoniare.
Non si può dimenticare allora che da quasi venti anni langue nella immobilità il “polo bibliotecario”, forse quella che doveva essere la più grande istituzione culturale pubblica in provincia, e con una connotazione plurilingue e interculturale. Non si tratta di un vago progetto, ma di un'opera decisa e finanziata con tutti i crismi a suo tempo. La sua mancata realizzazione è la più grande vergogna politica, burocratica, giuridica ed amministrativa di tutta la politica culturale locale. Il ponte Morandi a Genova è stato ricostruito, progetto compreso, in poco più di un anno, tanto per dire
Il Centro culturale “Trevi”, la più grande istituzione culturale pubblica italiana, fermento di molte meritevoli iniziative, va avanti da sempre senza un vero direttore, in grado di imprimere liberamente e in autonomia da lacci burocratici ed amministrativi un vero programma .
Limiti gravissimi perdurano nella comunicazione tra università e società, per cui tante potenzialità sono disperse. Le due parti non riescono a parlarsi, ne soffrono la scienza, l'economia, il lavoro. Il centro di ricerca storica o facoltà che doveva da anni essere istituito per favorire la conoscenza e la rielaborazione della storia locale non è mai stato istituito.
Non si può dimenticare nemmeno che 5 anni fa quasi tutta la stampa in lingua italiana è stata comprata da un potente imprenditore sudtirolese, già proprietario di un impero mediatico, che ha con ciò portato un colpo al pluralismo nella informazione. Qui non si tratta direttamente di programmi culturali, ma si capisce facilmente che gli organi di informazione hanno molto a che fare con l'assetto e la crescita culturale di una popolazione.
Insomma, mi riferisco a “fondamentali” che sono di sfondo alla attività dei tanti gruppi culturali che costituiscono l'offerta della provincia. Non li possiamo ignorare se vogliamo misurare lo stato di salute della cultura e i sentimenti e atteggiamenti del pubblico in Alto Adige.
Il riferimento al libro di Fofi appare alla fine piuttosto contraddittorio. Infatti il critico napoletano nel suo “L'oppio del popolo” (elèuthera, 2019) denuncia proprio una cultura tutta dedita agli eventi e all'intrattenimento, una cultura di marketing che sorvola sugli interrogativi politici e sociali, che diverte e distrae ma non chiede mai un cambiamento, insomma una offerta culturale sganciata dall'impegno politico e dalla lotta per cambiare le cose. E' la stessa dimenticanza, la stessa disattenzione alla cornice, alla struttura e allo sfondo in cui si muovono le singole figure che abbiamo visto nella edizione di “Scripta manent”.
Carlo Bertorelle