Paolo Crazy Carnevale
Anni Sessanta, musica e impegno – Oltrisarco e Bolzano
Ennio Dalpiaz: dal beat in cantina ai diorami, passando per Radio Popolare, l’ex monopolio occupato e molto altro
Ennio Dalpiaz se n’è andato, portato via malamente da un brutto male incurabile, di quelli cattivissimi; per di più nel bel mezzo dell’emergenza virale che ha sconvolto il pianeta, rendendo impossibile ai suoi cari e ai suoi amici dargli l’estremo saluto come si deve. È stato un pezzo di storia di Bolzano e del quartiere di Oltrisarco, Ennio, anche se lui non era il tipo da mettersi in mostra: era un uomo di fatti (molti) più che di parole (solo quelle necessarie), piuttosto lasciava che a parlare fossero la sua inseparabile chitarra e le canzoni che amava cantare, su tutte quelle dei Beatles, ma anche molte altre.
L’amore per la musica lo aveva portato a fondare il primo complesso nel 1964, con gli amici Renzo Soppelsa e Max Sparer, a cui si era poi aggiunto Lino Pastori: “Il Rock and Roll è stata la bomba generazionale – ricordava Ennio a proposito di quei tempi nel volume «Alta fedeltà» (alphabeta 2015), la scossa elettrica, il brivido, il salto delle linee di frontiera: quello che non sapevamo dell’America e dell’Inghilterra lo abbiamo imparato in fretta: Rock, Blues, Beat, Gospel, Soul, R&B, Country sono diventati il linguaggio universale per i ragazzi degli anni ‘60, si comunicava con ritmi e melodie, con la lingua inglese era un po’ più complicato, ma si imparavano i suoni delle parole ad orecchio e poi ci si inventava un farfuglio improvvisato ed inesistente”. Col nome di 36-24-36 (tratto da una canzone degli Shadows con riferimento alle misure in pollici di fianchi-vita-petto di Marilyn Monroe, ma i quattro ragazzi di Oltrisarco per anni pensarono si trattasse di un numero di telefono) Ennio e i suoi compari diventarono uno dei numerosi complessi beat che impazzavano in città e fuori: dal debutto al cinema Costellazione nel 1964, con ospite Klaus Dibiasi reduce dalla medaglia d’argento alle Olimpiadi di Tokyo, alle esibizioni al Festival studentesco, alle serate alla Taverna San Quirino, nelle varie sale parrocchiali del capoluogo, e fuori città soprattutto nella vicina val di Fiemme. Erano anni eroici per i ragazzi che facevano musica, le sale prove erano spesso presso le parrocchie o in qualche retrobottega, ma a casa di Ennio, in via Damiano Chiesa, c’era una spaziosa cantina, di quelle di una volta, e da subito fu attrezzata a mo’ di tana dai 36-24-36, il luogo di ritrovo per le prove, così come il cortile di casa sarebbe stato il set delle foto ufficiali del gruppo, scattate imitando le pose di quegli artisti internazionali che occhieggiavano sulle copertine delle riviste lette dai teenager di allora.
La musica beat e rock erano qualcosa che andava al di là del fenomeno di costume, in quegli anni i ragazzi si immedesimavano anche nei testi delle canzoni, nei messaggi di riscatto, amore, pace in esse contenuti. Quanto alla strumentazione ci si arrangiava come si poteva, per l’amplificazione c’era il Factotum Meazzi, gli strumenti erano quelli che passava il convento perché quelli dei loro beniamini i ragazzi non potevano certo permetterseli. Ennio ricordava di aver visto sul settimanale Ciao Amici la foto di una Stratocaster e di aver chiesto al commesso di Plashke quanto costasse, la risposta fu 250.000 lire, decisamente una cifra improponibile per lui che al primo impiego da perito meccanico ne guadagnava 40.000 al mese.
Paolo Crazy Carnevale
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