Amleto take away
di e con
Gianfranco Berardi
e Gabriella Casolari
musiche di Davide Berardi e Bruno Galeone
luci di Luca Diani
produzione Compagnia Berardi Casolari, Teatro dell’Elfo
“Soffro ma sogno, per questo io vivo”: è questa la battuta di apertura di Amleto take away di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari. Il richiamo è all’omonimo protagonista dell’Amleto shakespeariano, il malinconico e pensieroso principe di Danimarca che ora ridisegna la sua essenza in chiave squisitamente contemporanea. Il personaggio si mantiene sempre dubbioso ma il suo atteggiamento da passivo e rinunciatario diventa dinamico e combattivo, lucido, folle e nichilista.
Sulla base di questo assunto Berardi, bravo e incisivo attore pugliese non vedente affiancato in scena dalla Casolari costruisce uno spettacolo essenziale e coinvolgente, tutto impostato sulla destrutturazione del racconto, sugli effetti delle parole modulate da un calibrato gioco di alternanza tra linguaggio comico e tragico, reale e assurdo.
I dilemmi di questo Amleto d’oggi sono tanti, ma tutti sottostanno ad un’unica questione che diventa la sua urgenza di vita: l’incontro-scontro tra finzione e realtà, ossia il perno del mestiere dell’attore. Ecco perché Amleto take away dispone di un impianto drammaturgico metateatrale (o del teatro nel teatro) al fine di beffeggiare, per effetto di frequenti e luminose allusioni irreverenti, i maestri artistici di Casolari quali Danio Manfredini, César Brie, Pippo Delbono, dai quali ha assimilato la sintassi simbolica della messinscena e il flusso della parola verso morbide visioni poetiche.
Casolari entra in scena legato come un Cristo inchiodato ad un fondale mobile chiuso da un piccolo sipario aperto. Quando racconta se stesso esibisce una maglietta con scritto Amleto e il numero 9 da centravanti dell’Inter, la squadra “amletica” per le grandi imprese e le clamorose débâcles. Come nel capolavoro del Bardo anche in questa rivisitazione c’è la figura/fantasma del padre, operaio dell’Ilva di Taranto che, mentre pranzava leggendo con trasporto il fumetto di Tex Willer, dubitava fortemente sul desiderio del figlio di fare l’attore. Non manca Ofelia interpretata da Casolari in sottana bianca, derisa e ridicolizzata da un atteggiamento di drastico rifiuto dell’amata che perciò è invitata a recludersi in convento.
Poi l’attore-performer rimane a petto nudo, assume le sembianze di un angelo maledetto simile ad un front-man rocker alla Mick Jagger o Iggy Pop. Alla parola ora feroce e ora delicata corrisponde un registro corporeo tanto carnale e distruttivo quanto dolce e introspettivo. Questo movimento di vere acrobazie espressive costituisce la grande forza creativa di questo spettacolo che raggiunge il suo vertice quando Casolari trasforma il fatidico dilemma “Essere o non essere” in “esserci o non esserci” sui social network, nello spazio per antonomasia della menzogna dove le parole precipitano nel nulla. Dalla figura di Amleto che recita con il teschio del buffone in mano si passa alla nostra mano davanti alla tastiera dello smartphone connesso a Facebook e indecisa se taggare o non taggare.
Questo appassionante Amleto take away – visto al Teatro Cristallo di Bolzano nell’ambito della rassegna "Corpi Eretici. Arte della diversità" di Teatro la Ribalta – vuole fare piazza pulita di tutto ciò, con vigore e con provocatoria saggezza, quella che serve, forse, per recuperare i sentimenti e una dimensione umana libera da false intromissioni tecnologiche nelle dinamiche relazionali.
di Massimo Bertoldi
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