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Bel posto, cattiva gente
“Visitate l’Alto Adige”.
Turismo e letteratura negli anni Venti e Trenta
Conferenza-spettacolo di Nicola Benussi e Carlo Romeo
a cura della compagnia teatroBlu
La conferenza-spettacolo è, ormai da tempo, un nuovo (almeno relativamente) mezzo di comunicazione e una nuova chance di comunicazione teatrale. Intendiamoci, il teatro (dai tempi di Aristofane, di Eschilo, Sofocle, Euripide, culminando poi in Shakespeare, Marlowe, Molière, Goldoni, in modo più debole nel teatro contemporaneo, più attento alla problematica esistenziale), è sempre stato anche “storico”, ma la “conferenza-spettacolo”, oltre a prevedere la possibilità di domande, ossia di dialogo tra conferenziere-attore e spettatori, dà realmente documenti storici, letti dall'attore e (magari) commentati dallo storico.
Tale circostanza si è realizzata al Teatro Cristallo di Bolzano in due occasioni, in marzo e in maggio, con Bel posto, cattiva gente, ricavato da Schöne Welt, böse Leute (1969) dello storico e giornalista Claus Gatterer e dedicato al periodo delle opzioni che dal 1939 fino alla fine della guerra divise l'Alto-Adige/Suedtirol tra gli “Optanten”, ossia chi sceglieva di trasferirsi in Germania e chi rimanere in l'Italia negli anni in cui avveniva l’italianizzazione forzata imposta dal fascismo. Quella di Gatterer, resa benissimo da Nicola Benussi, attore e regista, non è prosa storica attenta alla “macrostoria” politica, diplomatica, militare, ma è “microstoria” fatta di testimonianze, lettere, ricordi, delle voci vive della gente che subiva queste decisioni senza poter decidere mai.
Il commento di altri testi curato dal Prof. Carlo Romeo ha assicurato la riflessione e la valutazione storiografico-critica, ma molto era già emerso dalla lettura interpretativa, molto vivace ed efficace, offerta da Benussi. L’attore racconta il dolore di chi doveva lasciare tutto, la terra e la “roba”, con promesse quasi “paradisiache” in Germania (in realtà si finiva nella gelida Polonia, meglio nelle terre conquistate con la violenza dai nazisti) oppure in Sicilia se si sceglieva l'Italia. Nei testi di Gatterer, ben contestualizzati da Romeo con la sua competenza storica e dalla phoné intensa e empatica di Benussi, trasuda il dolore della scelta, che dilaniava intere famiglie.
Più “leggero” il secondo appuntamento “Visitate l’Alto Adige”. Turismo e letteratura negli anni Venti e Trenta. Con la forzata italianizzazione fascista era l'unica dizione accettata, espungendo “Tirolo del Sud” e altro. È negli anni 1930 che prende forma la pubblicità a visitare questo nuovo acquisto del Regno d'Italia, alimentando una sorta di principio di necessità come quella della ripresa dopo la crisi del 1929, che in Italia e in Germania era naturalmente drogata dai rispettivi regimi e che penalizzava duramente e sempre le classi popolari, anche molto prima del disastro bellico.
In questa rassegna, dove la voce e la gestualità di Benussi, conformemente a una poetica teatrale ricercata e approfondita negli anni che lo aveva portato ad attraversare anche la Commediadantesca, troviamo testi come quello dell'allora soldato paracadutista - poi partigiano - Gianni Brera, giornalista sportivo (l'unico, forse, coerentemente di sinistra e comunque attento alla dialettica economico-politica che attraversa calcio e sport in genere), valido scrittore, allora impegnato a far innamorare la giovane Elsa. C’è anche il grande crepuscolare Sergio Corazzini (1886-1907), di molto precedente all'occupazione italiana dell'Alto Adige, che scrive nella poesia Toblack (corruzione di Toblach, Dobbiaco, nome che forse aveva ricavato da qualche volantino pubblicitario, non essendosi mai mosso da Roma se non per curare la tisi): “...un cimitero immenso, un'immensa messe di croci e di corone, /un lento angoscioso rintocco di campana a morto, sempre tutti giorni, tutte le notti”. Poesia vera, segnata dalla disforia legata a una malattia il cui esito era sempre fatale, all'epoca. Poesia, come ha rilevato giustamente lo storico Romeo, che nessun ufficio turistico farebbe sua quale réclame, ma anche, aggiungerei, quanto di più estraneo all'imperialismo fascistico (all'epoca di là a venire...) ma anche al superomismo dannunziano allora già in voga.
Altri testi, tra gli altri, di Gino Cornali che in Un fante lassù ritrova in un albergo altoatesino un ex-nemico austriaco, ora diventato amico (alleanza tra Italiani e Austriaci annessi al Reich), Luigi Bartolini, significativo poeta, scrittore e pittore (1892-1963), antifascista “strano” (come ha scritto qualcuno), che a Merano, da confinato, s'era innamorato, ricambiato, di Anna Stickler, all'epoca ancora minorenne (aveva 19 anni, l'intellettuale anconetano era già ultraquarantenne) e ancora Mario Ferrandi, giornalista e scrittore (da non confondere con il terrorista di “Prima Linea”) che descriveva il carattere complessivamente “barbarico”, ma ancora più ancestrale di molti costumi delle popolazioni sudtirolesi, dove miti, leggende e superstizioni prendevano in genere il posto che già all'epoca molti (ma non certo molti Italiani...) assegnavano al Lògos, alla ragione.
Il resto è retorica fascista, declinata in vari modi, dai più prudenti ai più sfacciati. La conferenza-spettacolo, a differenza della classica conferenza dove uno parla e gli/le astanti ascoltano o fingono di farlo, è un'esperienza ben più partecipata, perché; A) ci dà i testi; B) ce li dà in maniera non solo letta, ma anche interpretata (molto bene, in questo caso); C) crea dunque una sinergia empatica tra autori-interpreti (dove l'interprete è sempre anche, a pieno titolo, autore) e spettatori. Rispetto al teatro più tradizionalmente inteso, è dedicata a un tema, a un autore, guarda dunque all'approfondimento.
Ma vorrei concludere citando le ricerche di Kurt Lewin (1890-1947), grande pensatore (epistemologo) di origini ebraico-tedesche, psicologo tout court e segnatamente psicologo sociale che, presso l'Università USA dell'Iowa nel 1942 e poi ancora nell'anno successivo e fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale anche, in altre realtà statunitensi condusse ricerche sul campo a proposito del consumo più razionale di pane e di carni. Ebbene, da tutti i rilievi empirici si evince che la discussione è da preferire alla conferenza-lectio ex cathedra (cfr. a tal proposito anche Cristina Mosso, Kurt Lewin dalla teoria del campo alle ricerche sulla leadership di gruppo e sui processi decisionali, nel volume Ricerche e protagonisti della psicologia sociale, a cura di Augusto Palmonari e Nicoletta Cavazza, Bologna, Il Mulino, 2003, pp.55-81). Chiaro che in campo storico una mera discussione è difficile, dato che non in tutti si ha una competenza tale da svolgere una discussione propriamente detta, senza perdere troppo tempo, ma è altrettanto chiaro che l'interazione spiegazione-viva voce dei testi integra conoscenze che altrimenti, se non per pochi, rimarrebbero o elitarie oppure sporadiche.
di Eugen Galasso
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