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Quello strano rumore
di Manuel Raise
Romagnano al Monte (SA), BookSprint, 2020
Quello strano rumore di Manuel Raise è un romanzo che assembla esperienze e fatti di vita, ricordi, pensieri, sogni, prospezioni verso il futuro, possibilità lasciate cadere ma almeno inconsciamente esplorate/vagliate, da parte di un musicista (autore dei testi di canzoni, cantante suonatore di tromba) che fa anche altro, che si avvicina al mezzo secolo di vita, che ha un rapporto interrotto con la moglie e due figli, ormai maggiorenni, nato e cresciuto in Alto Adige, tra Bolzano e Laives, cittadina che ingiustamente molti considerano ancora "quartiere dormitorio" di Bolzano/Bozen (la definizione non è "antica" ed è di un operatore culturale).
Si tratta di un monologo interiore, insomma, che però a differenza dei classici del genere (la Recherche proustiana, l'Ulysses di Joyce, le opere teatrali ma anche i romanzi di Samuel Beckett, in parte L'uomo senza qualità di Robet Musil, i romanzi italiani di Italo Svevo, Ottiero Ottieri, Giuseppe Berto) è estremamente leggibile. Non comporta né difficoltà lessicali, dato che il linguaggio è molto vicino a quello parlato e gergale-consueto, evitando nel modo possibile termini delle microlingue (scientifiche, psicoanalitiche, filosofiche e altre) né di tipo sintattico, essendo nettamente prevalente in esso la struttura paratattica (proposizioni principali, discorso diretto) e invece quasi assente quella ipotattica (proposizioni subordinate, anche solo di primo grado), né lunghe riflessioni di tipo esistenziale, tipo quelle di autori e autrici che, come si suol dire, "riflettono considerando solo il proprio ombelico".
Forte la problematica personale, quella familiare, pochi ma certo non assenti gli accenni alla socialità (da parte di un autore sempre attento) agli "ultimi", assente la "politica" come la intendiamo in genere (e la intende anche Cenerentola, sempre impegnato in iniziative di solidarietà come durante il terremoto in Emilia nel 2012), in un'opera nella quale la quotidianità non esclude la riflessione sull'esistenza o meno (propendendo, tra l'altro con una certa per la seconda opzione) di Dio, riproponendo in forma "popolare" l'antica questione/querelle di Agostino d'Ippona e poi di Leibniz (ma non solo loro) "Si Deus, unde malum" (Se Dio c'è, da dove proviene il male), dove il "male" in questo caso non è tanto la colpa (peccato, per i cristiani) ma anche proprio la concreta sofferenza fisica, la malattia.
Stile che non allontana, anzi risulta accattivante, dove l'inserzione peraltro molto "limitata" di lemmi popolari, assurdamente considerati "volgari" (almeno da Pasolini in poi in Italia, dove invece l'Ulysses joyciano di "gros mots-parolacce" aveva già fornito un vasto campionario in inglese o meglio nel plurilinguismo del grande autore irlandese e poi nelle traduzioni, ma non solo e comunque non esiste un terminus a quo, la letteratura ha saputo includerli nella scrittura, ad onta di assurdi moralismi) problematiche certo specifiche (ogni persona ne ha di proprie, necessariamente, dato che nessuna persona è uguale alle altre, quanto al "vissuto") ma in gran parte condivise e condivisibili da parte di molti/e.
Quello strano rumore di Manuel Raise è in altri termini un "romanzo", leggibile anche staccando i vari "racconti", ossia inframezzando delle pause, anche alternando questa lettura ad altre. Dove "quello strano rumore", ma è quasi inutile ribadirlo, in quanto il lettore (la lettrice) lo capisce da sé, è il "perturbante" (das Unheimliche, Sigmund Freud dixit), quanto sfugge alla razionalità e alla logica corrente dell'Io, ossia della coscienza.
di Eugen Galasso
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