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Il nostro debutto nella vita

di Patrick Modiano

 

Torino, Einaudi, 2020, pp. 55

«Dopo tutto questo tempo mi riconosceresti? Spesso ci illudiamo di rimanere identici… […]. Ogni giorno lotto contro la solitudine». La battuta è di Jean, personaggio centrale de Il nostro debutto nella vita di Patrick Modiano, Premio Nobel per la Letteratura edizione 2014.

Le sue parole, che chiudono la commedia, stabiliscono il punto di arrivo di un percorso di vita giocato sul binario di contrapposizione tra passato e presente, tra sogno e realtà.

Il testo, datato 2017, inizia con Jean ventenne: ambisce a diventare scrittore, ha un atteggiamento morboso con il proprio manoscritto tanto da custodirlo in una valigetta che, per ossessiva timore di furto tiene ammanettata al polso. Dominique è la sua ragazza, coetanea, vuole fare l’attrice, perciò è impegnata nelle prove de Il gabbiano di Cechov, ovvero il dramma-manifesto dei giovani vittime del loro dolore esistenziale e degli adulti che faticano ad accettare l’inesorabile trascorrere degli anni. La scelta non è casuale perché la malinconia cechoviana si sostanzia come segno indelebile nel flusso delle parole e della catena delle azioni che si consumano principalmente di un anonimo teatro parigino, ossia nel metaforico spazio di anticamera alla vita stessa, alla ricerca di poterla interpretare sul palcoscenico del teatro-mondo.

Vicino ai due protagonisti agiscono altri personaggi: la madre di Jean, attrice anche lei (tra l’altro come nella biografia dello stesso Modriano) frustrata e dal fare assillante; il suo compagno, lo stolido scrittore Caveaux. Sono soggetti contemporaneamente tragici e minacciosi.

Il tempo narrativo risulta sospeso, è popolato di sogni, ricordi smarriti nel nulla, frammenti di giovinezza, girandole di figure femminili incorporee. Il continuo girovagare nella memoria si trasforma in sottile piacere di smarrirsi e di ritrovarsi. Dove, come e con chi, poco importa.

«Ho l’impressione – sussurra Jean a Dominique – che la data delle prove generali segnerà il nostro debutto nella vita». La data è il 19 settembre 1966. Trascorrono gli anni e Jean è diventato scrittore. La madre e il suo compagno non esistono più. Non si sa da quanto tempo e perché. Le due figure ritornano di notte, nella fine alternanza di buio e di luce che si anima sul palcoscenico, come se fossero vivi e capaci di muovere antichi e irrisolti risentimenti.

A questo punto non si capisce chi sia vivo e chi sia morto. Forse Dominique si è affermata come acclamata attrice, forse è morta anche lei; magari è uno spettro che cerca di risentire le voci del suo passato probabilmente appartenenti agli attori del repertorio cechoviano.

La magia de Il nostro debutto nella vita, oltre al misterioso fascino della trana dal sapore a tratti beckettiano, sta nell’adozione di una scrittura morbida e delicata che rimbalza come una pallina da ping pong dal dialogo realistico a quello rarefatto, per diventare specchio dell’identità fluttuante dei personaggi pennellati con maestria da Modiano.

 

                                di Massimo Bertoldi

 

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