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LIBRI

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         Il teatro
ai tempi della peste
 Modelli di rinascita

di Alberto Oliva

 

Milano, Jaka Book, 2020, pp. 196

Concepito durante il lockdown primaverile, questo libro nasce «in risposta all’urlo disperato di moltissimi lavoratori dello spettacolo che si sono trovati all’improvviso senza lavoro e si sono sentiti i primi della Storia millenaria del Teatro a vivere un simile destino». Ma Oliva – regista teatrale, scrittore e giornalista – dimostra di fatto che sono gli ultimi di una lunga serie in corrispondenza delle tante e drammatiche epidemie esplose in passato e ricostruite con grande finezza storica nel primo capitolo del libro.

Dalla grande peste di Atene del 430 a.C. a quella di Roma del II secolo, dalla Peste nera del ‘300 a quella del 1630, fino al colera nella Russia ottocentesca che vede il medico Anton Cechov in prima linea e all’influenza spagnola del 1918, emerge una costante declinata in varie forme: alla morte segue il rifiorire delle creatività artistiche nel quadro di una feconda resilienza teatrale.

Intorno al nesso inscindibile di morte-rinascita si sviluppa il secondo capitolo del libro in cui primeggiano gli attori «sempre capaci di sopravvivere anche alle epoche del disprezzo e della censura», spiega l’autore. La sua ricognizione storica, lucida e rigorosa, ne segue il destino oscillante tra gloria e infamia, riconoscimento e censura, lungo un intrigante percorso storico che si enuclea dall’antichità greca e romana, prosegue con le condanne ambigue della Chiesa in età medievale, incontra il dilettantismo rinascimentale e la nascita del professionismo con la Commedia dell’Arte fino ai grandi mattatori dell’Ottocento, preceduti dai protagonisti del melodramma settecentesco, in primis castrati e dive.

«La tecnologia salverà il mondo?». Intorno a questa domanda, che dà il titolo al terzo capitolo del libro, Oliva prende in considerazione le piattaforme, i canali youtube, streaming, che hanno supplito in questi mesi lo spettacolo dal vivo e ricorda, sempre sostenuto da inequivocabile documentazione storica, che il teatro «fin dalla sua nascita, si è sempre avvalso di tecnologia». Soccorrono, a titolo esemplificativo, i sofisticati meccanismi inventati dai greci, le fantasmagorie barocche, la rivoluzione apportata dall’avvento dell’illuminazione elettrica, le sperimentazioni delle avanguardie di inizio Novecento per arrivare all’avvento del digitale.

«Non è mai successo nella storia – dichiara Oliva – che un nuovo sistema artistico potesse innestarsi nella società senza che ci fosse un sostegno istituzionale e finanziario direttamente proporzionale al suo successo». La constatazione contiene in sé idee e proposte per la rinascita del teatro del futuro post-pandemico. Il discorso passa attraverso la considerazione dei progetti di Milo Rau e le riflessioni di direttori artistici di area milanese, Marco Maria Linzi e Antonio Syxty.

Quando Oliva chiama in causa la politica, soggetto da lui considerato fondamentale per azioni di rilancio in sinergia, si aprono scenari complicati e prospettive che, lette in una dimensione europea, tradiscono unità di intenti. Se il premier Conte dichiarava a maggio di non voler dimenticare «neppure» la cultura e «i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare», la cancelliera Merkel spiegava che «gli eventi culturali hanno importanza massima nella vita […] perché nell’intenzione degli artisti con il loro pubblico ci aprono prospettive completamente nuove»; non diversamente il francese Macron ribadiva il «bisogno di un’Europa della cultura ancora più forte».

Quindi: assistenzialismo a pioggia oppure rifondazione della funzionale della cultura. Sembrano essere queste le risposte di oggi, rispetto alle quali Oliva propende per l’interazione costruttiva tra il politico che sostiene con intelligenza e visioni lungimiranti lo spettacolo, l’impresario capace di organizzare con efficienza e la forza innovativa e creativa dell’artista. Non si tratta, a ben vedere, di una novità come si legge tra le pagine di questo Teatro ai tempi della peste. Tra gli esempi spiccano il sostegno dato allo spettacolo pubblico da parte di Pericle, il finanziamento della regina Elisabetta I a favore, tra i tanti, di Shakespeare, e in tempi più recenti la triade formata dal sindaco Antonio Greppi, il sovrintendente Antonio Ghiringhelli e il maestro Arturo Toscanini, artefici nel 1943 della riapertura de La Scala e, di riflesso, della rinascita dello spettacolo milanese, poi proseguita da Paolo Grassi e Giorgio Strehler con la fondazione del Piccolo Teatro.

 

                         di Massimo Bertoldi

 

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