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Il formaggio e i vermi.
Il cosmo di un mugnaio del '500
di Carlo Ginzburg
Milano, Adelphi, 2019, pp. 231
L'occasione è stata data dalla nuova elegante edizione del famoso Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del '500 del 1976, che Adelphi ha mandato pochi mesi fa in libreria con una postfazione dello stesso autore, a distanza di 43 anni dalla prima apparizione del saggio con Einaudi. Carlo Ginzburg è cosi stato festeggiato alla grande, il 6 febbraio 2020, nella sede della fondazione Bruno Kessler – Istituto storico italo-germanico di Trento, insolitamente affollata e presidiata dallo staff dell'Isig col suo presidente in testa, il prof. Korneließen, e G. Rospocher a coordinare l'incontro.
Il libro di Menocchio, che fu subito un colpo di fulmine nei lontani anni Settanta, per quanti in Italia da insegnanti, studiosi, ricercatori cercavano un nuovo approccio alla storia e al suo insegnamento, ha nel frattempo conosciuto quasi 30 traduzioni e ristampe in vari paesi e continenti e il suo autore, l'ottantenne Carlo, figlio di Natalia e di Leone, è diventato uno storico di fama mondiale, docente in varie università, e per venti anni in California. Ora vive a Bologna, è cordiale e facondo di ricordi e di aneddoti e si è generosamente prestato alla celebrazione che di lui stesso, in forma di conversazione, gli addetti ai lavori hanno voluto fare.
Diverse tappe della genesi di Menocchio sono state ripercorse: gli archivi di Modena e quelli di Udine, dove nei primi anni sessanta il giovane Ginzburg riuscì a metter mano, i brividi della scoperta che indussero in lui, normalista a Pisa, la vocazione a fare della storia il mestiere della vita, gli anni di apprendistato col grande Delio Cantimori a Firenze. Proprio da lì, dalla torsione verso la microstoria di uno stesso oggetto di indagine (le eresie del Cinquecento) è partita la svolta del nuovo metodo di indagine, appunto la microstoria, che non è “storia piccola”, semmai storia di piccoli, ma forse più influente sulla vita di quella dei grandi... L'opera in questione ricostruisce la vicenda del mugnaio friulano Domenico Scandella, detto anche Menocchio, che nel 1599 fu messo a morte dall'Inquisizione. Ginzburg, attraverso i documenti scandagliati nella diocesi di Udine e fino ad allora rimasti inaccessibili, ha ricostruito le vicende processuali e il personale sistema di pensiero del mugnaio condannato al rogo per eresia. Un caso esemplare di tanti altri processi in cui donne e uomini accusati di stregoneria, eretici o presunti tali, furono condannati al rogo dall'Inquisizione.
La scoperta affascinante di Ginzburg, che aveva letto Gramsci, Bloch, Cantimori, De Martino sta tutta nella riconsiderazione del cosmo mentale delle “classi subalterne”: attraverso la storia della mentalità e della cultura popolare, lo storico può dare voce a chi voce non aveva avuto. E allo stesso tempo mettere in luce la circolarità, la combinazione e la intersecazione tra il filtro culturale “alto” delle classi dominanti e quello “basso” delle classi subalterne; e mostrare anche la forza sovversiva, la sfida all'autorità e alle gerarchie costituite che viene dalla cultura popolare. In questo libro Ginzburg arriva a superare (storiograficamente) la dicotomia tra cultura dotta e cultura popolare e riesce ad afferrare elementi di quest'ultima attraverso i processi dell'Inquisizione. Egli scrive oggi, nella postfazione del 2019: “I perseguitati e i vinti, che la storiografia liquidava come marginali ma più spesso ignorava del tutto, venivano messi al centro della ricerca: una scelta che traeva nuova forza, e nuove giustificazioni, dal clima di radicalismo politico degli anni '70. Io mi ero messo a studiare un mugnaio che aveva un nome, che aveva idee strane, che aveva fatto certe letture...”. Non più quindi una massa anonima, ma un soggetto reale, portatore di una precisa visione del mondo; quasi una anomalia, anche rispetto ad un tema (la stregoneria) già decisamente anomalo rispetto alle consuetudini storiografiche allora prevalenti.
di Carlo Bertorelle
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