Realismo globale
di Milo Rau
traduzione e cura di Silvia Gussoni e Francesco Alberici
contributi di Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Rolf Bossart
Imola, Cue Press, 2019, pp. 107.
Milo Rau, scrittore e regista svizzero di origine rumene formatosi con il sociologo Pierre Bourdieu e il filosofo Tzvetan Todorv, è un artista di punta della scena internazionale. In questi anni con il suo International Institute of Political Murder (fondato nel 2007) ha realizzato una serie di allestimenti di marcata valenza politica che si basano su uno scrupoloso lavoro di documentazione storica per denunciare il lato oscuro e la criminalità del potere. Tra i progetti più significativi spiccano The Last Days of the CeauÅŸescus (2009) dedicato al processo farsa che ha decretato la condanna a morte del dittatore rumeno e della moglie; Hate Radio (2011-2012) in cui si denunciano i massacri del Ruanda; la strage di Utoya rivisitata attraverso la folle difesa dell’assassino come emerge in Breivik’s Statement (2012); i processi contro l’avanguardia artistica imposti dal Putin e trattati in The Moscov Trial (2013).
L’impianto teorico di questo teatro di impegno civile emerge con chiarezza dal copioso materiale raccolto nel volume Realismo globale. Si tratta di interviste, discorsi, brevi saggi e manifesti che ruotano intorno alla poetica di Rau contenuta nel titolo del libro in questione: «“Realismo globale”: ovvero la descrizione dello “spazio del capitalismo mondiale”, con i suoi incubi e le sue speranze, i suoi risvolti e le sue pieghe nascoste» (p. 29).
Il teatro dialoga con il mondo globalizzato, assorbe le sue contraddizioni, denuncia le violenze e le conflittualità, soprattutto quelle trascurate dall’informazione. Ma non si ferma qui. Dalle fonti storiche contemporanee su cui fa leva, sprigiona emozione forti e estreme che alimentano una continua tensione dialettica tra la sfera del reale e l’immaginario. «Credo che l’artista realista – sostiene Rau – crei dei momenti di vita utopici, che tenti di vedere il futuro. A volte ne esce fuori qualcosa, altre volte nulla» (p. 31). Il pensiero e l’azione teatrale del regista seguono i percorsi, aggiornandoli, già tracciati da quei maestri di regia del Novecento che concepivano il teatro come strumento per cambiare il mondo in quanto contenitore magnetico dell’utopia.
Il Manifesto di Gent – programma della stagione 2018-2019 di NT Gent Stadttheater di cui Rau è attuale direttore artistico – costituisce la sintesi del percorso creativo di questo importante regista, salito alla ribalta in Italia per la presentazione di Orestes in Mosul al Romaeuropa Festival, che cita spessa Pasolini e Fassbinder, che ama il rock aggressivo degli anni Novanta (Nirvana e Sonic Youth). Tra i dieci punti (che si leggono nella sezione Testi e discorsi del libro edito da Cue Press), colpisce quello esposto al punto nove: «Almeno una produzione per stagione deve essere provata o replicata in una zona di crisi o di guerra, senza infrastrutture culturali» (p. 105).
La dichiarazione non è un capriccio teorico. Contiene in sé esperienze realmente vissute da Rau a contatto con i disperati del mondo, coinvolti in progetti teatrali come attori di questo intelligente e profondo ma anche drammatico Realismo globale.
di Massimo Bertoldi
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