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L’esperienza del tempo.
Uno sguardo multidisciplinare

di Fabio Ricardi

 

Milano, Mimesis Edizioni, 2018, pp. 102.

 

L’esperienza del tempo. Uno sguardo multidisciplinare, il breve ma denso lavoro di Fabio Ricardi, filosofo e psicoterapeuta analitico transazionale, nasce dalla convinzione dell’autore che “la rielaborazione del passato ha come senso finale la capacità di vivere il presente” (p. 82), anche se a volte l’essere umano si trova a vagheggiare la possibilità di un tempo infinito o di un tempo che possa ritornare e ripetersi. Perché – come argomenta Ricardi in chiusura del suo lavoro – “l’esperienza umana del tempo si costruisce in questo viaggio, vissuto in entrambe le direzioni, tra ripetizione di ciò che è stato e l’avventura del nuovo” (p. 99).

L’indagine sul momento presente, è stata nel tempo oggetto sia della ricerca psicologica sia della speculazione filosofica. Perché il tempo, che forma ed informa la nostra realtà quotidiana, è un costrutto universale che, con declinazioni diverse, traduce in modalità differenti il modo di concepire noi stessi, il nostro vivere, il nostro stesso “essere nel mondo”.

Partendo dalla letteratura, attraverso una panoramica dei personaggi descritti da Kierkegaard, Proust e Thomas Mann, Ricardi affronta il tema di come l’uomo viva il tempo e come esso venga declinato nelle pagine di questi autori in termini di ricordo, nostalgia, senso del “non ritorno”, o ritorno allucinatorio; o anche attraverso la scoperta fatta dal personaggio di Kierkegaard che arriva a comprendere che il valore del tempo sta solo nel presente, in “quell’adesso” “vissuto come attimo senza durata” (p. 18).

Passando dalla letteratura alla filosofia, l’autore ripropone con rigore le dissertazioni di S. Agostino sulla realtà del tempo, tempo che trova la sua pensabilità, il suo esistere solo nel “qui e ora”, cioè in quel Dio che è il “punto” senza dimensione in cui confluiscono un passato non più esistente in quanto “passato” e un futuro non ancora “realtà” ma solo pensabile. Le considerazioni di Henri Bergson espresse in Essai sur les données immediates de la conscience (1888) ci inducono d’altro canto a riflettere sulla distinzione tra il concetto astratto di tempo e l’esperienza del tempo che è invece “durata”. Il riferimento alla letteratura e alla filosofia serve all’autore come aggancio per approfondire come l’analisi dell’animo umano anche per la psicologia – e, conseguentemente nella pratica terapeutica – si trovi a fare immancabilmente a fare i conti con la dimensione temporale della vita.

Ricardi parte dall’ esaminare la prospettiva di Freud aperta con L’interpretazione dei sogni (1899) con le teorie della coazione a ripetere e del transfert come ripetizione di un passato rimosso. “L’analisi freudiana – ricorda l’autore – è tutta un lavoro sul tempo: parte dal momento in cui il paziente decide di inserire una parentesi nel fluire del tempo attuale, per dedicarsi al ricordo, al recupero del passato”, passato che si riattualizza nel presente del transfert, con una modalità analogica. Nell’analisi freudiana “il dialogo tra passato e presente è […] continuo” (p. 52) ed è volto a superare le resistenze inconsce del paziente per permettergli di recuperare le tracce delle vicende passate, ciò che è stato rimosso, trovandovi il significato dei vissuti attuali. Ma è relativamente al “come” la tematica temporale viene interpretata e “utilizzata” nella pratica terapeutica dell’Analisi Transazionale che si sofferma più diffusamente l’autore, sia per ritornare a quel passato che ha visto l’insorgere della sofferenza portata dal paziente nel tempo presente della terapia, sia per costruire con lui una nuova visione prospettica che, partendo da questo passato, si apra ad una dimensione progettuale verso un cambiamento futuro.

Ricardi apre la panoramica sulla nascita e l’evoluzione dell’AT esaminando in primo luogo la teoria del fondatore, Eric Berne, soprattutto per quanto riguarda sia la necessità imprescindibile dell’essere umano di “strutturare” il tempo per non cadere in un vuoto esistenziale terrifico, sia per utilizzare terapeuticamente l’alternanza passato/presente. Questa alternanza consente infatti di attualizzare il passato e rivivere analogicamente gli eventi traumatici che hanno causato il trauma.

Già Franz Perls aveva sostenuto la necessità di rivivere nel “qui e ora” della stanza di terapia l’esperienza antica per trovare, nella riedizione guidata dal terapeuta, un esito nuovo (solo nel presente avviene infatti il cambiamento). Berne riprende questo concetto, ma, per ottenere il superamento della sintomatologia disfunzionale, insiste soprattutto sull’utilizzo di alcune tecniche di colloquio che permettono al terapeuta di contattare la parte “sana” del paziente e instaurare con lui un dialogo tra la propria parte Adulta e la parte Adulta del soggetto stesso. Attraverso l’utilizzo di tali tecniche e passando attraverso tutte le possibili esperienze della terapia il paziente avrà allora la possibilità di cambiare il proprio Copione, l’impostazione data dal soggetto alla sua vita nel corso del tempo.

Proprio perché costruito nei primi anni di vita il Copione è però in un certo qual modo rassicurante, e perciò difficile da modificare, in quanto corrisponde a quegli schemi emotivi/cognitivi per lo più inconsci, che si sono formati nelle relazioni primarie e che “filtrano” l’esperienza del soggetto. Sarà solo attraverso l’attento lavoro di analisi e grazie ad una alleanza terapeutica “forte” che il paziente potrà riconoscere l’esistenza di aspetti disfunzionali nel suo Copione e trasformarli.

Questo cambiamento che, partendo dal passato, si apre al futuro restituisce al tempo una dimensionalità lineare e consente al paziente di uscire dalla ripetitività del sintomo. Nella stanza di terapia i racconti del paziente diventano “storia”, storia vissuta e soprattutto “trascorsa”. Attraverso un nuovo modo di guardare all’insorgenza dei comportamenti e dei vissuti disfunzionali con la loro ripetitività, con l’aiuto del terapeuta, il paziente può attuare il cambiamento; e il tempo a venire si riveste di una nuova progettualità, a volte minimale, a volte risolutiva.

L’analisi di Ricardi sul concetto di tempo, soprattutto in relazione al recupero del passato in terapia, si chiude con un riferimento al lavoro innovativo di Richard. Erskine che ha riformulato i concetti di Berne, sviluppando quella che viene definita “AT integrata”, in quanto postula, per uno sviluppo sano del soggetto, che questi sia stato in grado di integrare i diversi aspetti della propria personalità.

Ricardi, filosofo “convertito” alla psicoterapia, porta nella sua pluriennale pratica clinica tutto un bagaglio di “sapere” filosofico e quella naturale inclinazione alla speculazione che regala ai suoi interventi un respiro più ampio, basato su una visione dell’uomo più globale, non solo un soggetto da curare, ma un “qualcuno” cui restituire un senso, un “perché”.

 

                                           di Clotilde Bellani

 

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