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I NATIVI AMERICANI
I primi abitanti del nuovo Continente
di Francesco Tono
Città di Castello, Emil Editrore, 2019, pp. 234
Parlare del libro postumo di un amico scomparso (e avevo appreso casualmente la notizia della sua improvvisa scomparsa da una comunicazione “gettatami” - è il caso di dirlo - da Internet) porta a riflettere sulla fragilità dell'esistenza (“L'uomo è un canna che pensa”, Blaise Pascal) ma anche sulla freddezza glaciale dei nuovi media (Marshall McLuhan, ai suoi tempi, si lamentava della freddezza della TV, senza poter conoscere Internet o gli SMS inviati dai cellulari, non ancora esistenti nel 1980, anno della sua morte).
Francesco Tono (1948-2018) è stato un attore (anche per il Teatro Stabile di Bolzano in alcune note pièces teatrali, come Qualcuno volò sul nido del cuculo di Dale Wassermann, ma soprattutto in alcuni recitals completamente suoi, dedicati ad alcune figure di poeti emblematici oppure ad alcune tematiche specifiche, alternando musica e recitazione), un cantante e cantautore, ma anche un grande esperto dei Nativi americani (altri dicono Amerindi, ma non è questione terminologica). A questi è dedicato questo libro, che è un vero manuale (come accenna lo stesso autore nella sua prefazione, ma lo fa anche Gianfranco Manfredi, intellettuale e cantautore, nella sua introduzione), per sua stessa intrinseca natura inter-e transdisciplinare, che unisce storia, geografia, archeologia, storia delle religioni e della spiritualità (i due ambiti sono separati e comunque separabili, come dimostra la “religione” o meglio “spiritualità” di coloro che un tempo si chiamavano, dopo la “scoperta” di Colombo “Indiani d'America”), linguistica e in parte anche scienza e tecnologia.
Il libro, che si inserisce di diritto tra i principali saggi in lingua italiana sul tema (che per ora non sono molti) si impone anche in modo direi imprescindibile per chi voglia scrivere tesi di laurea, tesine universitarie o anche a livello liceale sul tema, a chi voglia scrivere ulteriori saggi, a chi si appresti a svolgere anche semplicemente ricerche scolastiche in merito, ma naturalmente anche i futuri biografi di un personaggio comunque significativo e a suo modo “complesso e sfaccettato” come Tono non potranno in alcun modo prescinderne.
Francesco (questo lo sapevo, anche prima della gradita e al tempo stesso triste - per l'ovvio motivo riportato sopra - scoperta del libro) trascorreva le sue vacanze tra gli States e il Canada, studiando non solo nei libri ma sul campo gli “Indiani”, parlando con loro, frequentandoli nelle riserve etc., e questo per anni. Ne era un cultore e ricordo che già a inizio anni degli anni Novanta, in una conferenza-spettacolo sulla beat generation (Kerouac, Burroughs, Ginsberg, Corso, Ferlinghetti etc., come noto), mi indusse ad includere anche testi (di notevole spessore poetico) di autori nativi americani appunto...
Questo suo studio attento e rigoroso, oltre a ribaltare definitivamente (aggiungerei: finalmente) il vuoto cliché dell’“artista maledetto”, del “poète maudit” (e Francesco, oltre che attore-cantante e giornalista, poeta lo era davvero e di notevole spessore - chi scrive spera che ci si occupi prossimamente della pubblicazione dei suoi versi...), definisce meglio la struttura mentale di questo perfezionista dello spettacolo (curava ogni minimo dettaglio di ogni evento) ma anche della ricerca, come questo I nativi americani attesta senza alcun dubbio possibile. Ancora un'osservazione che risulta da quella che Althusser chiama opportunamente “lettura sintomatica” dei testi: spesso nel libro troviamo il lemma “cattolico” anche dove, tra l'altro anche da un punto di vista cattolico diremmo quasi meglio, ecumenicamente, “cristiano”: sintomo della formazione cattolica dell'autore ma anche della volontà di rivolgersi a un pubblico di lettori, quello italiano, anch'esso, di formazione prevalentemente cattolica...
di Eugen Galasso
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