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... E adesso parlo!
di Maria Teresa Liuzzo
Reggio Calabria, A.G.A. R. Editrice, 2019
Narrazione o romanzo, quest'opera in prosa di Maria Teresa Liuzzo si definisce e viene definita “romanzo”. Se lo è nella partizione di genere tradizionalmente invalsa quanto accettata, allora si pone il problema: la narrazione c’è, ma non tanto nel suo sviluppo cronologico quanto in uno sviluppo interno che è corda sospesa, continuamente, tra “realtà” e sogno, tra la dura vita (con il motivo ritornante, in forma di domanda retorica, se la “vita” coincida o mena con l’“esistenza”, anzi il “vivere” con l’“esistere”, da “ex-sistere”) e l'amore sognato tra la protagonista Mary e Alf, pittore quanto invece Mary è poetessa. Un Leitmotiv che percorre il libro e rappresenta in forma fantasmatica (Lacan) il ritorno e il riscatto, che la capacità di sublimazione rappresenta rispetto alla vita grama e grigia di umiliazioni cui Mary fin dalla più tenera età è stata sottoposta fin dalla più tenera età. C'è anche la quaestio, così ben posta da György Lukáks del “narrare o descrivere”, dove anche le “descrizioni” sono presenti, a tratti, con grandi pennellate che intervallano la suddetta enarratio ad intra. Di certo la descrizione non è mai naturalisticamente puntuale, bensì “sintomatica”.
Coglie assolutamente nel segno Mauro Decastelli nella sua ricca quanto dotta prefazione Il momento
della parola che chiama in causa precedenti letterari e scritturali - dalla biblica Susanna detta “casta Susanna” (Daniele, 13) a Silvia Plath e a Carl Gustav Jung che, parlando di “sincronicità”, richiama la critica al mero concetto di causalità già presente in Locke e Berkeley ma soprattutto Hume, contrapponendole la casualità in forma “evenemenziale”, passando per gli Sefiroth della Cabala (Kabbalah), Goethe e tante altre fonti che nella scrittrice-poetessa sono filtrate in maniera estremamente originale.
Mi permetto di aggiungere, sit venia verbo, il “Divino Marchese”, quello scandalo per la cultura dominante cristiana ma anche per l'Illuminismo quietamente razionalista e demolitore dell’“Occidente cristiano” (lo hanno rilevato genialmente Theodor Wiesegrund Adorno e Max Horkeimer in Dialektik der Aufklaerung) che fu Donatien Alphonse François Marquis De Sade (1740-1814), nobiluomo provenzale, erede in linea diretta di Madonna Laura amata dal Petrarca. Ora, nelle opere pluricondannate di De Sade, il Male viene contrapposto come vittorioso ma anche come significativamente superiore all’“ipocrisia” del Bene, mentre in ... E adesso parlo, nonostante tutte le sevizie e le umiliazioni (violenza sessuale compresa) cui era stata sottoposta da sempre, anche da parte del padre e dello zio, la protagonista Mary rimane teorica del Bene e praticante lo stesso, legata com'è non tanto alla “traditio”, ma proprio al Bene in sé, dove converrebbe richiamare la dimensione filosofica (l'Idea del Bene platonica, dunque, ma anche l'unità tra estetica ed etica come viene teorizzata da Friedrich Schiller) e quella teologica (quando Hans-Urs von Balthasar parla dell'unità tra Unum, Bonum et Pulchrum in Dio).
Insomma la prospettiva sadiana e sadica (ma è noto che, nonostante tutto, ossia le teorizzazione e le inclinazioni arcinote che hanno dato luogo alla tassonomia delle perversioni in Krafft-Ebing, poi ripresa da Freud, in cui il “sadismo” occupa un posto d'onore, il citoyen De Sade era contrario alla pena di morte...), nell'opera della Liuzzo viene rovesciata, in una forma tipicamente femminile, in modo tale chel'acquiescente Mary (che non a caso ha un'antenata di nome Maria) diventa paladina di una dolcezza fortemente positiva e affermativa dei valori opposti a quelli “malvagi” purtroppo dominanti...
Stilisticamente insituabile, pur se con indubbi richiami al simbolismo e a certo espressionismo, il romanzo ha parti decisamente liriche, nelle quali le allegorie e i simbolismi rimandano certamente alla condizione esistenziale della protagonista. Eccone un esempio: “In quel cielo di cemento, Mary vedeva l'orizzonte plumbeo d'astri lunari nel silenzio degli abissi, non escludendo che la mente umana, eco delle metropoli e del caos, è costretta al mimetismo di una realtà duplice e spartana, a differenze individuali, ai continui appelli della paura, al vandalismo che è disperazione dei soli e abbandonati, ai ripetuti filtri di elaborazione in attesa che il lievito dell'urlo possa deambulare verso un corso d'acqua come scelta autonoma e la coscienza possa finalmente liberarsi dalle tante strettoie e sostare nella sua culla di luce, come arte e parola, spirito e carne sia nella vita di relazione sia nella profonda armonia artistica”.
di Eugen Galasso
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