Tutto il teatro
Albert Camus
introduzione di Guido Davico Bonino
Milano, Bompiani, 2018, pp. 511
Il titolo del volume in questione può depistare il lettore perché non contiene Tutto il teatro di Albert Camus ma accorpa i quattro drammi scritti a Parigi tra il 1944 e il 1949. Lo scrittore, reduce dalle esperienze giovanili vissute ad Algeri dove aveva fondato la compagnia Théâtre du Travail, si era trasferito nella capitale francese nel 1940. Lavora per il quotidiano “Paris Soir” e poi entra nella Resistenza per il gruppo Combat. Si afferma nel mondo della cultura letteraria con il romanzo Lo straniero (1941) e con il saggio Il mito di Sisifo (1943). Il passaggio al linguaggio teatrale muove in Camus un’azione sperimentale sostenuta da un pensiero costante: la rivolta provocata dal furore della passione in un turbinio esistenziale di difficoltà e tormento.
Il testo d’esordio è Il malinteso, rappresentato al Théâtre des Mathurins nel giugno 1944. Come nell’antica tragedia greca, agiscono quattro personaggi e un coro muto. Una madre e una figlia, Marta, uccidono a ripetizione gli avventori ricchi e soli della pensioncina da loro gestita in un paese boemo. Sono mosse da un impulso ossessivo e irresistibile verso la ricerca di un Altrove. La pratica omicida non risparmia l’ennesimo ospite perché la madre deve uccidere la sua “inesorabile dolcezza”. A delitto compiuto le due donne scoprono che si tratta di Jan, il figlio e fratello ritornato in anonimo dopo vent’anni di assenza. La loro via d’uscita diventa il suicidio.
Il successivo Caligola, allestito al Théâtre Hébertot nel settembre 1945, ha come protagonista l’omonimo imperatore romano definito da Camus “ossessionato dall’impossibile, avvelenato di disprezzo e d’orrore”. L’opera è il “dramma filosofico” del delirio e della solitudine del potere in cui echeggia il Macbeth shakespeariano. In seguito alla morte della sorella e amante Drosilla, scintilla scatenante della turpe vicenda, Caligola raggiunge la consapevolezza che “gli uomini muoiono e non sono felici”. Perciò abbatte la distinzione tra il bene e il male a tal punto da sconvolgere l’assetto statale.
Pur condizionato da una carica affabulatoria e da una dilatazione eccessiva del tempo e dello spazio narrativo, Lo stato d’assedio, che debutta nell’ottobre 1948 al Théâtre Marigny, è una allegorica denuncia della dittatura, nello specifico quella di Francisco Franco senza dimenticare quella hitleriana. Non solo: nel dramma ambientato a Cadice domina il tema della paura e della sua strumentalizzazione sulla quale si fonda il regime totalitario.
Il quarto e ultimo testo antologizzato è il dramma I giusti, proposto nel dicembre 1949 sul palcoscenico del Théâtre Hebertot. Si tratta dell’opera teatrale più matura e riuscita di Camus. Affronta un problema cruciale legato al terrorismo rivoluzionario esplicato in questa sua limpida affermazione: “Impossibile uccidere un uomo in carne e ossa […], si uccide l’autocrate”. La cornice storica è costruita intorno agli eventi rivoluzionari russi del 1905, culminati nell’assassinio del granduca da parte dei socialisti. In un impianto drammaturgico vicino al teatro-documento, Camus intreccia la dimensione pubblica e privata dei suoi protagonisti avvolti di delicata sostanza affettiva e sentimentale che anima una tensione di incontro-scontro con le ragioni della politica.
di Massimo Bertoldi
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