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LIBRI

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1968. Südtirol in Bewegung

di Birgit Eschgfäller

 

Bolzano, Raetia Verlag, 2018, pp. 408

Ogni tanto si verifica una interessante biforcazione, oppositiva, una forbice insomma, fra periodo politico-culturale in cui si è immersi, e produzione culturale in senso proprio: con improvvisi picchi di qualità, sullo sfondo di un orizzonte immobile, stagnante, senza profilo. Se vi siete riconosciuti nella descrizione di contesto, ecco allora la qualità: un libro davvero intrigante e fresco, che tratta un tema del tutto inattuale: la rivolta giovanile del 1968. E per crescere in inattualità, con una avvertenza: stiamo parlando del 1968 in provincia di Bolzano, perlopiù nel mondo di lingua tedesca.

Il bel 1968.Südtirol in Bewegung di Birgit Eschgfäller è un testo controcorrente, sia per contenuto che per stile: solo apparentemente utilizza l’espediente del libro d’occasione, legato alla ricorrenza fatale (ahinoi, i 50 anni tondi tondi!) di un anniversario di un evento/periodo che ha trasformato il mondo, ci piaccia o no. Ma lo stile è invece analitico, descrittivo, anche pedantesco in senso positivo se con tale attributo si intende una acribia nei riferimenti di date, luoghi, temi, protagonisti. Il corredo fotografico è pertinente e, soprattutto per il lettore di lingua italiana, davvero ricco di sorprese: manca sul versante della pubblicistica italofona un esito analogo, e l’assenza pesa. Anche perché – e questo è forse il limite della bella e ricca ricerca della giovane autrice (nata nel 1986) – sarebbe interessante comparare la rappresentazione, e la documentazione, che proviene dall’altra parte della luna sudtirolese, con quella che qui si scopre.

Cosa emerge, dunque, di interessante? In primis, che alcuni nomi e protagonisti, per un certo periodo, hanno provato (non è detto vi siano riusciti) a muoversi su due mondi, linguistici, tradizionali, culturali. Anche la sinistra, nelle sue sfumature – come disse con brillante battuta il geniale Silvius Magnago – dal Dunkel Lagrein al Rosè, era infatti partecipe di una separazione socio-culturale che forse oggi è più sfumata, ma che nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso pesava assai di più. I gruppi di giovani dissidenti – forse l’aggettivo più calzante, per rappresentarli – del mondo di lingua tedesca che raccolsero gli stimoli che giravano qui e là dall’Europa o dagli Stati Uniti, rimanevano pur sempre confinati dentro un sistema di riferimenti di una parte di questa società, e l’altra o non la conoscevano abbastanza, oppure – per converso – la mitizzavano, ancora senza averne piena coscienza. Al più, i due mondi appaiono a volte vicini, più nelle foto che nei testi, guardandosi con curiosità, e rispetto: ma erano forse giovani che si incontravano guardando entrambi da un'altra parte, seguendo modelli diversi, “alternativi” – termine abusatissimo, ai temi. In effetti, mai guardandosi davvero in faccia.

Ed ecco quindi alcuni aspetti che tornano: il peso nel mondo giovanile di lingua tedesca della Südtiroler Hochschulerschaft, autentica fucina di formazione della futura classe dirigente, cui si permette, a fatica, di assumere anche il ruolo del ragazzo/a ribelle, nel passaggio dall’adolescenza alla maggiore età. E dove un Alois Durnwalder, in versione capelluta (ma non troppo) appare ridanciano a quasi timido di fronte all’obiettivo, insieme a giovani dal ciuffo più ribelle, ma appartenenti alla stessa Koinè, con lo stesso background: Vizentinum o Franziskaner, poi università – Innsbruck, o Vienna, o Padova; qualcuno Firenze, Napoli, Roma.

Di classe operaia sudtirolese, appena un ombra: e spesso legata a realtà associative di solidarismo cattolico (KVW) o sindacale; una minoranza, con scelta di campo nel mondo operaio di lingua italiana, sindacalizzato e/o comunista; pertanto, straniata, espulsa. La cronistoria si concentra sulle sorti poi del Südtiroler Kulturzentrum (SKZ), con la carismatica guida di Irmtraud Mair, generosissima e instancabile rpotagonista di una ribellione femminile, poi femminista, politica, con una rarissima capacità di fuggire le trappole del facile estremismo degli anni.

Ma la ricerca non varca quella soglia, leggendo la bella storia del SKZ quasi in forma paradigmatica, cosa forse non verosimile: la messa a disposizione di archivi privati ha virato soprattutto su Merano la sigla di una esperienza politico-culturale “approdata” poi nei tentativi generosi e forse non molto riusciti della Neue Linke, e poi degli ipotetici eredi. Rimane fuori tutto il resto, e lo si legge anche nella carenza dei profili biografici di tanti protagonisti, presenti solo di sfuggita. Il libro non sfugge neppure esso ad allinearsi a quella variegata produzione agiografica “ai danni” di Alexander Langer, un po’ ossessivamente riprodotto quasi fosse un primum immobile della storia della policromica vicenda delle sinistre locali: senza nulla togliere all’intelligenza o alla validità del progetto langeriano – che ebbe passaggi e appartenenze ideologiche quanto mai complesse, all’epoca, almeno fino al 1977 – la ricostruzione poteva forse dedicare una parte ad un elenco biografico ragionato di tanti altri protagonisti: Silvano Bassetti appare solo di sfuggita, della complessa vicenda di Josef Perkmann, intellettuale e poi quadro politico-sindacale comunista in dissenso critico, solo un accenno; di altri, quali l’intensa e tragica storia dell’intelligentissimo e sfortunato Peter Lusa, nemmeno un passaggio; anche del Norbert C.Kaser, che abbiamo tanto amato nel suo rivelarci un volto struggente e sofferto di questa nostra meravigliosa terra sudtirolese, come solo i veri poeti sanno fare, molto sfugge; di Mur, di Pörnbacher, di tanti altri che si schierarono fuori da questo schema, manca praticamente tutto.

Anche delle storie dei tanti ragazzi e ragazze che negli anni Settanta si incontravano fra politica e sentimento, fra manifestazioni e feste (il Foro Boario, le attività a Silandro, aperte e accoglienti). Non è esistita solo Lotta Continua, anche se andava forse meglio seguita la sua utopia quasi paradossale, che portava canzonieri e volantini certo a Sarentino, ma anche in Pusteria, Venosta; a Ortisei. Un po’ debole anche lo spazio dedicato all’intreccio, qui da noi ricchissimo e fecondo, fra arte, impegno civile e rivolta giovanile: e giovava avvicinarsi proprio alla vicenda ladina, con la sua macchina festosa del collettivo di pittori-scultori che fino al 1979/80 partivano a dare man forte – pittorica – alle manifestazioni giovanili, Monopolio compreso. Interessante è invece ritrovare, a firma di personaggi poi molto noti in contesti del tutto diversi, articoli molto impegnati, nel caldo dei vent’anni: chi non è stato socialista o comunista, diceva Billy Wilder, a quell’età…Altri tempi, altri volti. Nel 1970, a Bolzano, la SH aveva come ospite Max Horkheimer, ohibò…

 

                                  di Andrea Felis

 

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