|
Il fiore di Anne, sboccia ancora?
Una riflessione (in)attuale
La sorte di alcuni libri appare qualche volta segnata: che si tratti del tempo trascorso, o dell’inclemente succedersi delle stagioni storiche e culturali, fatto sta che alcuni titoli paiono irrimediabilmente compromessi. Fuori i nomi, si diceva una volta: eccoli.
Con buona pace di maestri e devoti, la lettura de I promessi sposi rimane confinata nel limbo, ad uso di élite volenterose o di pensionati in cerca di una madeleine, di una rêverie; Verga, I Malavoglia: un esame di coscienza per chi ne afferma l’immortale attualità, insieme magari a Mastro don Gesualdo… E non si tratta tanto, o soprattutto, di un uso eccessivo, di uno sfruttamento fino all’osso dell’opera in questione. Ma di un uso improprio, di cui, nei tempi passati, uno dei principali artefici – o carnefice involontaria – era l’istituzione scolastica.
Come si sa, il pensiero è strutturalmente anarchico: se lo si costringe entro una gabbia, anche la più dorata, inevitabilmente cerca la via di fuga. Quello delle ragazze e dei ragazzi “in età scolare”, come si dice in pedagoghese burocratico, lo è cento volte di più, oscillante tra furia di cambiamento caotico e desiderante, e desiderio opposto e complementare di ordine, come insegnava il dottor Freud in Berggasse 19 a Vienna, un secolo fa. Che la scuola abbia mantenuto questo ascendente, nell’epoca della distrazione annichilente di massa, è dubbio, quasi una speranza: vorrebbe dire che un residuo di resistenza culturale, anche come corpo calloso e ostinato, permane. Ma la liquidità evanescente dei saperi, il tourbillon perlopiù irritante e inutile della disinformazione a cascata, rendono difficile credere a tale pervicacia di un nucleo solido di culture, come sostrato collettivo. Eppure qualche segnale, come perle dagli abissi, ogni tanto riluce.
Tutti probabilmente ricordiamo la recente soglia della pornografia web rappresentata dalla diffusione della fotografia di una patetica matrona romagnola in maglietta nera, in visita pellegrina a Predappio sulla tomba di un tiranno che distrusse una nazione, con la scritta “Auschwitzland”, nei caratteri inequivocabili disneyani: e ancora prima la riproduzione del viso che più di ogni altro ha incarnato la triste, immane e meccanica ferocia del campo di annientamento polacco, quello della eternamente giovanissima Anne Frank, usata in uno stadio a celebrare l’idiozia umana volontaria, assoluta, totale, accompagnata da una intento penosamente “divertente” in forma di adesivo, allo scopo di insultare (sic!) la tifoseria avversa. Il viso di una ragazzina intelligente, inquieta, semplice nella sua naturale – ed ora eterna – immaturità di adolescente, torna ora potentemente nei disegni e nelle parole di un libro travolgente, Anne Frank, Diario, che un uso ingenuo ma corrosivo di tipo scolastico aveva relegato nelle cantine delle antiche e consunte memorie scolastiche, quelle non sempre gradevoli condite di richiami, verifiche destrutturanti, disarticolazioni di senso (i test!).."
Ari Folman e David Polonsky – il primo scrittore e regista, il secondo illustratore, già complici nel 2008 nel lungometraggio Valzer con Bashir coronato dall’Oscar – riconsegnano un testo straordinario, fresco, spiazzante per limpidezza e ferocia analitica, tenero e terribile come sa essere un adolescente, restituito in toto alla sua originalità, alla sua inclassificabilità. Andrebbero poste delle avvertenze: non vi è nulla di “infantile”, e va usato con precauzione, nella sua implacabile, terribile, ilare verità.
di Andrea Felis
|