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Simona Vinci
PARLA, MIA PAURA
Torino, Einaudi, 2017, pp. 126
Un libro intimo e coraggioso che racconta una malattia e allo stesso tempo una condizione mentale ed emotiva, una malattia di cui si parla poco perché, lo sappiamo tutti, in questa società la prima vergogna è mostrarsi fragili, inetti, vulnerabili.
Parla, mia paura è una storia vera, quella dell’autrice, Simona Vinci, che per anni ha sofferto di attacchi di panico e depressione. Così ripercorre alcune tappe della sua vita, le paure che le hanno attraversate, le riflessioni nate intorno a queste paure, e tutte le parole (lette, ascoltate e scritte) che hanno aiutato a dar loro il giusto spazio. Quasi un saggio di “anatomia” della paura, analizzata nelle forme psichiche e fisiche che può assumere, come se fosse un vero e proprio corpo, od organo estraneo che cresce lentamente e inesorabilmente e per la quale la parola scritta agisce come il bisturi che consente di estirparla.
“Molti di quelli che hanno sofferto e soffrono di attacchi di ansia e di panico – si legge – ricordano perfettamente le circostanze nelle quali si è verificato il primo. Lo squarcio. Il taglio. La cesura. Il momento a partire dal quale tutto cambia e comincia lo stato più spaventoso: la paura della paura”. Ed è questo il sunto del libro, il flagello che regna nei sui dieci capitoli. Dieci istantanee che l’autrice ha deciso, con coraggio, di raccontare al mondo, forse per superare proprio quella paura di cui tanto parla. Con sguardo clinico, mai autoindulgente, la scrittrice seziona gli anni, i giorni, gli attimi che l’hanno portata giù, negli abissi della depressione, e poi i passi che ha percorso per risalire. Scava nell’intimità del suo corpo, in un percorso di ricerca dell’identità, ma anche nel suo passato e in memorie dolorose.
Non creda il lettore di trovare un atteggiamento consolatorio, niente affatto: quello della Vinci è uno sguardo severo, incapace di ogni ipocrisia e senza pretese assolutorie. Ci rivela per esempio quanto inutili siano i consigli ragionevoli, finché l’orizzonte di chi è depresso o ha un attacco d’ansia non torni ad aprirsi, ma anche quanto possa essere utile la semplice presenza di chi è capace di ascoltare senza giudicare, senza pretendere di minimizzare un malessere che, per chi lo prova, è realmente insormontabile.
Anche la maternità non viene edulcorata e Simona Vinci, con rara lucidità e sincerità, riesce a narrare quel groviglio di ansia e tenerezza, sensi di inadeguatezza e di colpa, cieco furioso attaccamento e altrettanto furioso desiderio di indipendenza, che diventare madri inesorabilmente comporta: “Intravidi il mio sguardo in uno specchio e notai quanto fosse diverso da prima. Era lo sguardo delle donne che hanno bambini ancora piccoli, uno sguardo differente da tutti gli altri. C’erano dentro stanchezza, orgoglio, pietà, calore, rabbia, distanza. Tutto mischiato. Era uno sguardo intoccabile, impermeabile, lo sguardo di colei che sa cosa significa essere mangiati vivi … Chi non ha figli conosce soltanto il peso della propria esistenza, non sa cosa voglia dire caricarsi addosso il peso intero della vita di qualcun altro. Non importa se si hanno sorelle e fratelli, madri o padri anziani a carico. È diverso. Perché loro non sono passati attraverso di te per nascere, possono essere tua responsabilità, certo, ma non li hai partoriti tu. Con un figlio, non cambia se ti sottrai, se ti distrai, nemmeno se abbandoni, quel fardello non potrai posarlo da nessuna parte. Non è una valigia. Non è un pacco. È un organo interno. Fa parte di te. Anche se non siete la stessa cosa.”
Sopraffina indagatrice della natura umana, con un linguaggio fatto di termini sapientemente scelti, duri e taglienti e per questo così intensi e coinvolgenti, Vinci racconta il suo male di vivere e, qualunque sia la nostra storia, possiamo ritrovare nelle sue pagine quella mattina in cui siamo rimasti a letto e credevamo non ci saremmo più alzati; quella sera che abbiamo bevuto fino a dimenticare perché avevamo iniziato; quella volta che abbiamo lanciato il telecomando, un bicchiere, una ciabatta.
"Ogni giorno usciamo di casa e qualcosa di terribile potrebbe accaderci. Ogni giorno ci alziamo dal letto e sappiamo che potremmo morire. L'unico potere che abbiamo è tentare di vivere al meglio il presente senza farci annientare dal terrore del futuro. L'unico potere che abbiamo è continuare a cercare lo sguardo degli sconosciuti senza vedere in loro dei nemici, ma sperando di trovare degli amici. L'unico potere che abbiamo è fidarci della nostra immaginazione e cercare di guidarla verso pensieri positivi, anche quando stiamo attraversando una selva oscura: il buio può parlare e non è detto che le sue siano soltanto parole dolorose."
Parla, mia paura è un libro utile, che racconta la paura senza giudicarla, definendola non come un male da combattere, ma come una parte di noi da accogliere e accudire. Una lettera ai lettori, di una franchezza disarmante, una finestra aperta su un mondo interiore ricchissimo e complesso, tanto da lasciare senza fiato e che merita senz’altro di essere letta.
di Alessandra Sorsoli
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