|
Condannato alla fama:
la vita di Samuel Beckett
di James Knowlson
a cura di Gabriele Frasca
Imola (Bo), Cue Press, 2024, pp. 662
Nel catalogo dell’imolese Cue Press il nome di Samuel Beckett è una sorta di fiore all’occhiello tanti sono i libri inediti per l’Italia pubblicati in questi anni, dai fondamentali Un canone di Ruby Cohn a Capire Samuel Beckett di Alan Astro cui si affianca la serie “Quaderni di regia e testi riveduti” curata da Luca Scarlini finora rivolti ad Aspettando Godot, Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp e ai cosiddetti Testi brevi.
A questo ambizioso progetto divulgativo di grande spessore scientifico appartiene anche Condannato alla fama: la vita di Samuel Beckett di James Knowlson per la cura di Gabriele Franca e la traduzione di Giancarlo Alfano. Si tratta di un libro imponente, sontuoso, necessario per conoscere la vita dell’uomo e dello scrittore-drammaturgo in tutte le sue sfaccettature pubbliche e private che l’autore conosce molto bene essendo stato amico e suo eccellente studioso.
Contenuta in ventisei capitoli ordinati in senso cronologico e basati su molteplici e preziose fonti – lettere e taccuini, appunti e manoscritti dello stesso Beckett, nonché testimonianze di collegi e amici – la biografia filtra la miriade di notizie in un tessuto prosaico ordinato e fluido, più vicino alla narrativa che alla saggistica, sempre lontano da effetti agiografici. Emerge una relazione strettissima tra letteratura e vita, soprattutto nelle opere giovanili in cui lo scrittore irlandese attinge «dalle proprie esperienze personali». Il timido e riservato giovane Beckett ama l’alcool, il rugby, il tennis; a Parigi frequenta i teatri, frequenta Joyce e conosce Breton, si innamora. Non pochi sono i dissapori con gli editori soprattutto londinesi.
Se Beckett è stato talvolta criticato per mancanza di impegno civile e politico, il libro di Knowlson offre un’indiscutibile smentita: durante un soggiorno nella Germania nazista (1936-1937) annota nei suoi diari che i tedeschi «devono combattere presto (o scoppiano)», dopo aver ascoltato per radio gli «apoplettici» discorsi di Hitler e Goebbels. Affiora l’antinazismo che si materializza nel 1941 quando il drammaturgo partecipa alla Resistenza aderendo alla cellula Gloria SMH attiva nella regione parigina, presto colpita da arresti che lo costringono a rifugiarsi a Roussillon (1942-1945).
Sono esperienze destinate a incidere nella «tempesta creativa» del dopoguerra perché – sottolinea Knowlson – «una cosa era provare intellettualmente la paura, il pericolo, l’angoscia e la privazione, un’altra viverle nella propria persona, come gli era successo quando era stato accoltellato, oppure quando si era dovuto nascondere».
«Frenesia di scrivere» ovvero il periodo 1946-1953, durante il quale nascono, tra l’altro, la trilogia romanzesca con Molly, Malore muore e L’innominabile, e soprattutto Aspettando Godot allestito da Roger Blin con effetti da circo e music hall, per poi emigrare da Parigi ai teatri tedeschi. Il successo europeo è in parte annebbiato dai consensi altalenanti ottenuti negli Stati Uniti e dalle difficoltà incontrate nella stesura di Finale di partita. Beckett entra in depressione creativa in merito alla comunicazione teatrale. Si illumina con i successi radiofonici segnatamente ottenuti con L’ultimo nastro di Krapp.
Altro momento cruciale è lo scontro con la censura irlandese e inglese, ben evidenziata dalla stampa, a proposito di alcune scene di Finale di partita. E difficoltà non trascurabili emergono anche nella messinscena di Giorni felici curata dallo stesso Beckett che «non fu mai un regista di attori».
Samuel invecchia, ha problemi di salute, non si ferma fino alla fine: aveva capito sulla propria pelle che a monte del successo c’è l’esperienza cruciale dell’insuccesso come molti personaggi disegnati da questo indiscusso signore della scena del Novecento, segretamente ci rivelano.
di Massimo Bertoldi
|