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Eleonora Duse.
Storia e immagini di una rivoluzione teatrale
di Mirella Schino
Roma, Carocci Editore, 2023, pp. 345
Per lo spettatore l’esibizione di Eleonora Duse si trasformava in un’esperienza unica e particolare, che colpiva l’interiorità: ancor prima di accomodarci in sala «ci assaliva un’inquietudine crescente, si susseguivano stati d’animo dai nuovi colori», racconta Hugo von Hofmannsthal nel 1902; «così scarna, così spoglia, senza alcuna mascheratura sul volto» – annota Rainer Marie Rilke – provoca negli spettatori una sorta di applauso liberatorio, «nella loro paura dell’estremo: come per allontanare da sé all’ultimo momento qualcosa che li avrebbe costretti a mutare la loro vita». All’inizio degli anni Venti il giovane Piero Gobetti riconosce in questo atteggiamento del pubblico il «secondo dramma», parallelo a quello dello spettacolo che diventa «esperienza mistica».
Queste testimonianze rivelano nell’attrice una sostanza espressiva anomala, lontana dal verismo e dal naturalismo, originale, misteriosa, fautrice di una maniera del tutto inedita di fare e trasmettere il linguaggio teatrale a livello performativo. Non più piacere, arte in sé, intrattenimento, evasione, ma continuo e raffinato gioco di scosse telluriche, turbamenti capaci di attivare negli spettatori profondi sconvolgimenti emotivi prossimi a colpire la sfera esistenziale.
È quanto argomenta Mirella Schino nel prezioso e fondamentale volume Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale. Attraverso lettere, documenti, testimonianze, racconti e un appropriato apparato iconografico (caricature, foto di scena, ritratti in studio) opportunamente accompagnato da luminose schede analitiche, si ripercorre la luminosa carriera della grande attrice nata per caso a Vigevano nel 1858 in una famiglia di guitti itineranti, «di scavalcamontagne», che recita a quattro anni Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo, si rivela in coppia con Flavio Andò ne La signora delle camelie di Alexandre Dumas fils.
Dal 1887 la Duse si cimenta con il capocomicato. Lotta per l’autonomia artistica in un sistema teatrale privo di sussidi pubblici proponendo Sardou e Goldoni, si fa applaudire in Frou-Frou di Meilhac e Halèvy. Si lancia in progetti assai rischiosi. Nel 1888 assieme a Arrigo Boito, con il quale vive il suo più importante e coinvolgente legame sentimentale, realizza l’allestimento dello shakespeariano Antonio e Cleopatra, uno spettacolo potenze e capace di turbare e incantare tantoché Anton Cechov, presente ad una recita a Mosca nel 1891, commenta: «Non conosco l’italiano, ma ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola. Che attrice meravigliosa! Mai per innanzi ho visto qualcosa di simile».
Segue il fallimentare tentativo, tra il 1897 e i 1904, di animare un teatro di poesia dalle tinte tragiche con Gabriele D’Annunzio con il quale condivide una tormentata storia d’amore e per il quale recita, tra l’altro, La città morta, Francesca da Rimini, La figlia di Iorio.
Si arriva ad un anno fatidico: nel 1909 la Duse, dopo l’applaudita tournée a Berlino e Vienna, abbandona il teatro, senza aver mai spiegato la drastica decisione. Ha cinquant’anni. In merito la Schino ipotizza «la volontà di lasciare le scene prima che il pubblico cominci a raffreddarsi, prima che ci sia anche solo il più piccolo accenno a una parabola discendente». Intanto la Duse fa progetti, come la realizzazione di una casa-biblioteca per attrici. Soprattutto si confronta, ottenendo risultati assai modesti, con il cinema (Cenere).
Improvvisamente nel 19121, carica di entusiasmo e di energie, la Duse ritorna sulla scena. Con i capelli completamente bianchi interpreta, affiancata da Ermete Zacconi, una donna giovane e bella, Ellida protagonista della ibseniana La donna di mare. Si tratta di un autentico trionfo, che la Schino iscrive al periodo de “L’età d’oro”, anche se compromesso da periodi di malattie e gravi problemi economici affrontati organizzando tournées all’estero. L’attrice conquista le platee di Londra e Vienna, si reca negli Stati Uniti. A Pittsburgh si complicano le condizioni di salute e muore il 21 aprile 1924.
Inizia un altro e diverso spettacolo: la bara attraversa molte città americane accompagnata da manifestazioni di pubblico dolore. Pur sempre ignorata, si mobilita Mussolini organizzando imponenti manifestazioni di Stato che interessano Napoli, dove sbarca il feretro, Roma con il sontuoso corteo e la messa solenne a Santa Maria degli Angeli, successivamente a Padova. Racconta la Schino che «il carro funebre era stato agganciato a un trenino per Montebelluno, e da lì c’era stato un lungo corteo di automobili fino ad Asolo», borgo in cui l’attrice aveva fissato la sua ultima dimora. Tra i tanti presenti – oltre agli amici e ai rappresentanti del teatro come D’Annunzio, Dario Niccodemi, Memo Benassi – si notano Arnoldo Mussolini, fratello del Duce, e Giacomo Matteotti che qualche giorno dopo sarà ucciso dai fascisti.
Di Massimo Bertoldi
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