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I due “gemelli” veneziani
Francesco & Francesco Santurini uomini di teatro al servizio della Serenissima Repubblica

di Gianluca Stefani

Firenze, Edizioni Polistampa, 2023, pp. 144


I due “gemelli” veneziani sono Francesco Santurini quondam Stefano e Francesco Santurini quondam Antonio, «probabilmente consanguinei, forse zio e nipote», precisa Gianluca Stefani specificando che, da un lato, entrambi lavoravano nell’Arsenale di Venezia, l’uno come “calafà” e l’altro come “marangone”, dall’altro lato, praticarono un doppio mestiere e trasferirono le competenze acquisite nel cantiere navale alle arti sceniche. Le loro vicende artistiche permettono di «ripercorre la storia – una delle tante possibili – del mondo dell’opera e dello spettacolo veneziano ed europeo nella seconda metà del Seicento e nel primo scampolo del secolo successivo».

La prima parte del libro è dedicata a Francesco Santurini quondam Stefano: nato a Venezia nel 1627, si distinse al Teatro Sant’Apolan come “scenografo” nell’opera Le fortune di Rodope e Damina di Aurelio Aureli (poesia) e Pietro Andrea Zani (musica). Seguì la collaborazione con il prestigioso San Cassiano avviata da L’incostanza trionfante overo il Theseo di Francesco Piccoli e conclusa nel 1659 con Antroco su libretto di Nicolò Minato e musica di Francesco Cavalli.
Fu assunto dalla corte dei Wittelsbach di Monaco dove lo spettacolo operistico, anche con il contributo di apparatori italiani, costituiva il fiore all’occhiello degli intrattenimenti. L’attività artistica di Santurini, il “Welscher Ingenir”, inizia nel 1662 con la realizzazione della macchina scenografica per Applausi festivi in occasione delle manifestazioni per il battesimo dell’erede al trono Massimiliano Emanuele; il 24 settembre all’Opernhaus am Salvatorplatz fu la volta della messinscena del dramma in musica Fedra incoronata di Pietro Paolo Bissari impreziosita da effetti speciali inediti, come la divisione dello spazioso palco nella zona sott’acqua – dove si anima il mondo sottomarino – e in quella sopra l’acqua occupata da una barchetta in movimento in cui stanno Alico e Ferebea.

Il vertice della creatività coincise con la realizzazione di un bucintoro varato sul lago di Stranberg nell’agosto 1664 dopo oltre un anno e mezzo di lavoro. Dipinti e incisioni, unitamente alle corrispondenze, attestano la magnificenza di questa bireme a tre ponti, adornata di pitture e statue, di colore bianco e blu come i colori del casato Wittelsbach.
Prima di lasciare Monaco, Santurini predispose le scenografie per L’amor della patria superiore ad ogni altro di Francesco Sbarra e per il balletto I trionfi di Baviera. Complici i rigori del clima bavarese e scaduto il mandato, rientrò a Venezia nel 1669 e trovò impiego al teatro di San Luca. Di lui si perdono le tracce fino al biennio 1679-80 quando risulta responsabile degli allestimenti d’opera al Teatro Grande. Soprannominato “il Bavaria”, morì nel 1682.

Quella di Francesco Santurini quondam Antonio è una storia tutta veneziana a partire dalle esperienze al San Moisè come scenografo e poi nei panni dell’impresario capace di provocare scosse telluriche nel sistema teatrale della Serenissima per via  dalla reintroduzione, nel 1674, della riduzione dei prezzi in occasione del dramma La schiava fortunata (musica di Antonio Cesti e Marc’Antonio Ziani, libretto di Giovanni Andrea Moniglia).

Tramontata la speranza di ottenere il San Moisè, l’ambizioso e intraprendente Santurini cullò l’idea di costruirsi un teatro proprio, in una posizione molto strategica: nel 1676 firmò un contratto con i comproprietari del fondo edificabile secondo il quale dopo sette anni sarebbe decaduto l’usufrutto. Il teatro di Sant’Angelo, probabilmente progettato dallo stesso Santurini, fu inaugurato nel 1677 con il melodramma Helena rapita da Paride di Domenico Freschi in cui spiccò la voce della giovane Margherita Salicola, futura star europea.
Tuttavia il nuovo teatro faticava a decollare, complici sia problemi con i palchettisti morosi e l’ingaggio di professionisti famosi e costosi come Antonio Sartorio e Aurelio Aureli, che l’apertura del concorrente San Giovanni Crisostomo.
Nel carnevale 1681, per esempio, le limitate risorse economiche resero scarno l’allestimento di Pompeo Magno in Cilicia mentre per Giulio Cesare trionfante (carnevale 1682) l’impresario investì molti soldi. Sta di fatto che il Sant’Angelo sembrava.

Anche se nella stagione 1684-85 Santorini, per sconfiggere l’agguerrita concorrenza, anticipò l’esibizione dell’opera musicale L’amante fortunato per forza (libretto di Pietro d’Averara, musica di Giovanni Varischino), gli incassi furono assai modesti e si pensò con una certa preoccupazione all’allestimento di Teseo tra le rivali di Aureli e Freschi in cui era presente la giovane e debuttante Vittoria Tarquini, che creerà non pochi problemi con la rivendicazione di pagamenti mancanti.
Nel 1706 l’anziano impresario, anche inguaribile giocatore d’azzardo, «decise di calarsi – come evidenzia Stefani – per l’ultima volta da vecchio leone nell’arena dei teatro veneziani». Al successo ottenuto con Paride in Ida favorito dall’ingaggio del celebre cantante Nicola Grimaldi detto Nicolino (libretto di Francesco Mazzari, musica di Agostino Bonaventura Coletti), corrispose il fallimento di Ifigenia di Coletti che occasionò il duro attacco di Andrea Capello, proprietario di una delle quote del teatro e fortemente intenzionato ad assumere la gestione del Sant’ Angelo.

La crisi diventò irreversibile nel carnevale 1707: si acuirono le tensioni con Capello in merito alla scelta del repertorio e all’ingaggio degli artisti alcuni dei quali, come Terenzia Partini, contestarono la parte assegnata mentre altri, come il compositore e violinista Tomaso Albinoni, sollevarono questioni economiche. «Così il coro dei creditori accompagnò l’ingloriosa uscita di scena di Santurini, ormai invecchiato e prossimo alla morte. Al teatro non avrebbe più fatto ritorno. Di lui si perdono le tracce, né è stato possibile finora rinvenire il suo certificato di morte».
Con queste parole incisive e lapidarie si conclude lo studio di Stefani completato dalla ricca sezione dedicata ai “Documenti” d’archivio, e da una corposa e aggiornata bibliografia che concorre alla restituzione della memoria di due personaggi in parte dimenticati eppure importanti per la storia artistica dello spettacolo e del suo consumo.


                                   di Massimo Bertoldi