|
Libussa
di Franz Grillparzer
traduzione e cura di Fabrizio Cambi
Sesto San Giovanni (MI), Mimesis edizioni, 2022, pp. 128
«Non volete essere più un tutto / ma solo parti che chiamate città, / lo stato che inghiotte i singoli, /soppesando, invece del male e del bene, l’utile e il vantaggio / e stima il vostro valore secondo il prezzo»: sono parole, amare e visionarie, estratte da Libussa, tragedia di Franz Grillparzer composta tra il 1822 e il 1848, allestita e pubblicata postuma, e ora per la prima volta tradotta in italiano da parte di Fabrizio Cambi, germanista e docente di letteratura tedesca presso l’Università di Trento prematuramente scomparso nel 2021.
Libussa, principessa boema, una delle tre figlie del mitico principe Krokus, è legata al mito della fondazione di Praga nel 730; soprattutto è espressione di un matriarcato agricolo autosufficiente e restio al progresso. La svolta destabilizzante avviene quando si sposa con Primislaus, giovane e orgoglioso contadino al quale progressivamente si sottomette fino a concedergli il potere regale, prontamente tradotto nella distruzione della sacra foresta dove sorgerà Praga, con le sue industrie e le attività commerciali. Si tratta dello stravolgimento dell’ordine matriarcale a favore di quello patriarcale necessario per il trionfo della modernità propria della civiltà urbana.
Ravvedutasi del proprio errore, Libussa fugge nel bosco sacro e si purificata spiritualmente nel grembo della natura, ritorna al castello e, prima di lasciarsi morire, pronuncia parole apocalittiche e disperate, che contengono in sé una vaga speranza di una messianica rigenerazione del mondo: «Allora verrà il tempo che ora sta finendo, / il tempo dei reggenti e di chi è capace. / Il sapere e l’utile si separeranno / e includeranno il sentimento».
La profezia in chiave antimoderna di questa fratellanza universale, in armonia con il sapere e la logica del profitto, anima una proiezione visionaria inquietante: «Ma se non sarà così, la notte graverà pesante sulla terra / e prima del mattino passerà ancora molto tempo». Di fatto questi versi declinano il pensiero di Grillparzer in merito all’età metternichiana in cui vive e opera, tiene in considerazione «la situazione dell’Impero Austro-Ungarico rivendicandone – come acutamente spiega Cambi nell’Introduzione al volume in questione – l’antimodernità e la negazione del progresso di una società tumultuosamente industrializzata».
Il principio della conservazione contro il cambiamento inteso como sviluppo nefasto e incontrollato della modernità tecnologica costituisce, pertanto, il perno tematico di questa Libussa firmata dal più grande scrittore austriaco dell’Ottocento e definito da Joseph Roth «rivoluzionario conservatore». Trapela la dolorosa percezione della dissoluzione di un mondo, ossia della cosiddetta finis Austriae, avviata dal declino di Metternich.
Particolare è, infine, la storia della fortuna scenica di questa tragedia. Il primo atto fu presentato a Vienna nel 1840 pare su sollecitazione imperiale, ottenendo i favori di pubblico e di critica, mentre la rappresentazione completa dell’opera nel 1874 al prestigioso Burgtheater, due anni dopo la morte di Grillparzer, ottenne consensi assai modesti malgrado la presenza in scena di due interpreti di grido quali Adolf Sonnenthal nel ruolo di Primislaus e Charlotte Wolter nella parte di Libussa.
Seguirono, soprattutto a partire dagli anni Quaranta del Novecento, importanti riprese nei maggiori teatri austriaci, da Vienna a Graz e da Innsbruck a Salisburgo, per iniziativa di autorevoli registi, tra i quali spicca il nome di Peter Stein.
di Massimo Bertoldi
|