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LIBRI

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Il teatro espressionista

di Paolo Quazzolo


Roma, Carocci editore, 2023, pp. 127
 

Il teatro espressionista di Paolo Quazzolo è un libro importante e di pregevole qualità divulgativa: da un lato contiene l’argomento del titolo in una lucida ed esaustiva monografia che colma un vuoto temporale nell’ambito della storiografia italiana ferma al lavoro di Paolo Chiarini  del 1959 (Il teatro tedesco espressionista); dall’altro lato, all’analisi letteraria del repertorio testuale fa seguire preziose informazioni relative agli allestimenti di questo movimento circoscritto all’area tedesca, dettato dalla ribellione verso la società, la morale, e i coevi linguaggi teatrali, che nella sua fase iniziale attinge idee e suggestioni dal romanticismo e dallo Sturm und Drang, da Georg Büchner e August Strindberg, fino a Frank Wedekind.

Movimento di avanguardia e di rottura, l’Espressionismo teatrale assimila e interpreta tematiche dettate dalle trasformazioni storiche e socio-politiche in atto nella società tedesca di riflesso alla Prima guerra mondiale. In merito Quazzolo accorpo le esperienze teatrali in tre distinte fasi.   

Nella prima (1907-1914) l’attenzione cade principalmente sul repertorio di Carl Sternheim, Oskar Kokoshka autore del primo dramma espressionista rappresentato nel 1919, Assassinio, speranza delle donne, e di Reinhard Johannes Sorge il cui dramma, Il mendicante, una sorta di manifesto di ribellione all’eredità delle generazioni passate che diventa, assieme all’opera di August Stamm, scontro crudele tra padri e figli. In merito è indicativo anche Il figlio (1913-14) di Walter Hasenclever, altro autore fondamentale morto suicida in un Lager. La sua scrittura alterna verso e prosa, la struttura del testo si presenta a stazioni, la trama è emblematica: il figlio si ribella all’educazione severa del padre, fugge di casa, dopo è poi riportato a forza tanto da reagire minacciando con una pistola il genitore il quale muore fulminato da un arresto cardiaco.

A questa fase  seguono gli anni della Grande guerra (1914-18) alla quale il teatro espressionista risponde con la severa condanna e l’antimilitarismo. Molti esponenti del movimento vi partecipano, diversi muoiono in trincea. Spicca Battaglia navale di Reinhard Goering, testo più volte allestito nel 1918, segnatamente da Max Reinhardt con una regia di stampo realistico e con la partecipazione di attori del calibro di Paul Wegener e Werner Krauß. Tuttavia, lo spettacolo stride con il taglio marcatamente espressionista del testo, aspetto questo molto ricorrente negli allestimenti dell’epoca.

Parricidio di Anton Bronner (1915), uno dei testi più violenti, provoca scandalo e dure reazioni nel pubblico per il messaggio di incitamento alla ribellione contro il potere e le istituzioni che ritorna anche nella produzione di Georg Kaiser, drammaturgo attivo tra la Grande guerra e gli anni successivi. La sua poetica vira verso il socialismo, come in Gas I e Gas II in scena fino ai primi anni Trenta dopo il debutto a Francoforte, città di fatto culla dell’Espressionismo seguita da Berlino dove opera il regista Leopold Jeßner, protagonista assoluto della terza e conclusiva fase al quale Quazzolo dedica uno specifico capitolo soffermandosi sull’utilizzo innovativo della “Stufenbühne”, la scena a gradini adottata in spettacoli epocali come Wilhelm Tell di Schiller, Der Marquis von Keit di Wedekind e lo shakespeariano Richard III.

Con l’espressionismo politico di Ernst Toller, che culmina nel capolavoro Hoppla, wir leben!, si entra nell’ultima fase del movimento. Il teatro si riavvicina ad «ad uno stile più realistico» e sul versante della messinscena si assiste ad una indiscussa centralità del regista, evidente in Erwin Piscator.

Sul declino dell’Espressionismo incidono molti fattori congiunti ai cambiamenti socio-culturali interni alla società tedesca, tra i quali il Total Theater di Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus, e l’affermazione del teatro politico di Brecht, per concludere con l’avvento nel Nazismo. «La storia di molti artisti attivi all’epoca di Weimar – ricorda Quazzolo – è tristemente segnata da licenziamenti, fughe, esilio se non addirittura da drammatici suicidi». Si chiude definitivamente il cerchio.
 

                                  di Massimo bertoldi

 

 

 

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