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Teatro II
di Sergio Blanco
prefazione di Renato Palazzi
Imola (Bo), Cue Press, 2022
Anche la scena italiana, a piccoli passi, sta considerando il repertorio di Sergio Blanco, drammaturgo e regista teatrale franco-uruguaiano pluripremiato e da anni presente in pianta stabile nei quartieri alti del panorama internazionale. Altri segnali di marcato interesse provengono soprattutto dal mondo dell’editoria, segnatamente dall’intraprendente Cue Press di Imola che ha recentemente pubblicato “Teatro II” con luminosa introduzione di Renato Palazzi, preceduto dall’antologia “Teatro” del 2019.
Quello che colpisce della scrittura di Blanco è la sua limpida e originale adesione agli orientamenti drammaturgici contemporanei, riconoscibili nella mancanza di un intreccio canonico e di personaggi autentici che, di contro, sembrano dissolversi e ritrovarsi nelle parole autobiografiche dello stesso autore. Si crea, in questo modo, un sottile e bizzarro gioco di entrata e di uscita dal testo, attraverso frequenti dichiarazioni metateatrali e spiegazioni relative alla genesi dell’opera e alle difficoltà incontrate e ai procedimenti di scrittura.
Si tratta di commedie dall’andamento narrativo imprevedibile e a tratti paradossale, mosse dall’assunto definito dallo stesso Blanco: «Il mio lavoro è mentire la verità». In “Kassandra” (2008) e in “Traffico” (2020), monologhi posti in apertura e in chiusura di “Teatro II”, i due protagonisti si prostituiscono. Sono rispettivamente una migrante che parla di intolleranza e di cultura del diverso rivivendo le stesse sorti della profetessa Cassandra in fuga dalla guerra di Troia; il giovane di “Traffico” si trasforma in un killer della mafia in un crescendo esplosivo di azioni atroci e ripugnanti.
“Ostia” (2013) è un dialogo tra sorella e fratello il quale afferma: «la scrittura trasforma tutto in finzione». Così rimane, per esempio, irrisolto il loro presunto rapporto incestuoso; come è avvolto nel mistero il ritrovamento di un cadavere nella spiaggia, forse il corpo di un desaparecido gettato nel lontano Rio de la Plata, oppure indentificato in quello di Pier Paolo Pasolini. Sono situazioni mentali e paesaggistiche assai ambigue alle quali Blanco non dà alcuna spiegazione perché «la verità è che le domande e le risposte sono dentro di noi».
In “Cartografia di una sparizione” è centrale il tema dell’autofinzione evidente nel personaggio dello Spettro di Alfonso-Blanco. Invitato a Barcellona a tenere una commemorazione dedicata a Joan Brossa, grande esponente delle arti visive, diventa esso stesso il personaggio in oggetto: esplora e rivive il suo pensiero e immaginario artistico in un’ottica strettamente personale. Il testo emblematico di questa preziosa antologia di Cue Press è sicuramente “Quando passerai sulla mia tomba”, vero manifesto di perversione. Il protagonista sta organizzando la propria morte per eutanasia in una lussuosa struttura ospedaliera svizzera; sua volontà è lasciare il proprio colpo insepolto e al servizio di un giovane necrofilo in modo che costui lo possa possedere ogni notte. Il dialogo, sciolto e ordinario, crea situazioni di comicità surreale cui non mancano elementi grotteschi. E l’amplesso postumo diventa un modo per capire se «alla fine, dopo la morte, può esserci ancora qualcosa». Subentra, infine, una coincidenza del tutto emblematica: la camera 228, dove avviene la morte solitaria del paziente, è molto vicina alla villa dove Mary Shelley aveva scritto “Frankenstein”.
di Massimo Bertoldi
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