Oreste
di Daniele Timpano
Imola (Bo), Cue Press, 2021, pp. 38
Oggi Daniele Timpano – fondatore con Elvira Frosini della compagnia Frosini/Timpano attiva dal 2008 – staziona nei piani alti della drammaturgia italiana contemporanea, motivo per cui è operazione di significativo respiro culturale da parte di Cue Press ripubblicare il testo di Oreste. Scritta nel 2001, l’opera contiene in sé elementi stilistici, frammenti poetici e visioni che caratterizzano il percorso creativo dello scrittore romano.
Oreste di Timpano si confronta con il modello euripideo che, a differenza di Orestea di Eschilo, abbandona l’ambientazione arcaica e sacrale per contestualizzare la vicenda in una dimensione quotidiana dettata dalla ragione umana. Così il timore delle leggi e della politica, come le avverte lo stesso Oreste, sostituisce la voce minacciosa degli Dei.
Timpano mantiene l’ossatura narrativa euripidea: Oreste ha ucciso la madre Clitemnestra, perché colpevole di aver tradito e poi assassinato Agamennone con la complicità dell’amante Egisto; come in Euripide vive appartato dalla città ma Timpano lo veste di abiti contemporanei: il giovane attende il verdetto sulla sua sorte in uno scatolone, ossia in una sorta di prigione-grembo materno, è psichicamente turbato perché attanagliato dal rimorso e dalla paura del futuro, si presenta passivo e inetto tanto da consegnarsi alla sorella Elettra e all’amico Pilade. Analogamente gli altri personaggi timpaniani appaiono incapaci di agire, sembrano marionette ferme e prive di determinazione individuale.
Gli effetti di questa parodia si estendono anche al coro, trasformato in un complessino musicale che dialoga a distanza con i personaggi ed è più volte invitato a contenere il rumore per non disturbare troppo il malato e tormentato Oreste.
Questa lettura innovativa si intreccia con la struttura dei dialoghi che, come in Euripide, seguono lo schema del botta e risposta sostenuto da battute lunghe un verso e soprattutto capaci di garantire al testo ritmo e fluidità espressiva.
La questione del delitto: Oreste, «mai stanco di uccidere femmine», attribuisce la colpa ad Apollo e così non si assume nessuna responsabilità, sostenuto anche dalla fedele Elettra la quale ribadisce, con una battuta finale assai comica e tagliente, che è «tutta colpa di Apollo comunque: fu lui che persuase un figlio a uccidere la madre: impresa non molto popolare».
Di fatto il tribunale popolare assolve Oreste. Viene così a mancare la catarsi tragica e si restaura l’ordine, anche sociale e politico, altrimenti minacciato da un’applicazione corretta della legge. Tra mondo divino e mondo umano si crea una frattura indelebile, un senso di distanza quasi incolmabile, come del resto aveva denunciato lo spesso Euripide.
Ad approfondire questo intrigante Oreste targato Timpano soccorrono due importanti e luminosi contributi firmati da Maddalena Giovannelli (Oreste. Tra le macerie della tragedia) e da Attilio Scarpellini (Daniele Timpano contro l’innocenza della cultura).
di Massimo Bertoldi
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