IL CRISTALLO, 2012 LIV 1 | [stampa] |
Nato nel 1934, figlio di Alberto Savinio e nipote di Giorgio De Chirico, Ruggero Savinio, pittore e scrittore, autore di vari racconti (si era laureato in lettere con Giuseppe Ungaretti, poi suo amico e relatore alla prima mostra importante di Savinio junior) e di questo testo, ora ripubblicato, "Ombra portata"del 1992, che è autobiografia neppure veramente romanzata ma con indubbi tratti sognanti (proprio anche nel senso di un superamento surrealistico della dicotomia tra le due dimensioni, pienamente recepita, pur se non esibita, nel libro di Savinio), ci dà lo spaccato di un'epoca, quella delle avanguardie storiche (dadaismo, surrealismo, dove però la pittura metafisica di Giorgio De Chirico, anch'egli scrittore, è ben più di una parentesi o di una sotto-sezione del surrealismo"!...), tra realizzazione anche operativa e ideazione, che si tratti di "arti visive"o di scrittura). In un testo che cita il filosofo e logico Leibniz, ma anche l'antropologo e narratore Carlos Castaneda, che non trascura di parlarci di un concerto di Gianni Morandi come di un altro di Umberto Bindi - praticamente i due opposti che non s'incontrano e non convergono di quella che convenzionalmente chiamiamo, per semplificare "musica leggera" - non senza un cenno agli chansonniers francesi, senza i quali, con tutti i suoi meriti sempre trascurati da tanto pubblico come da parte della critica, il grande Bindi non sarebbe concepibile, non mancano riferimenti all'occultismo (di una delle sue case, quella al Poveromo, frazione di Massa, dice che era "animata", ma non dice che"vi si sente" e non usa altre modalità espressive simili), dove l'autore parla di amici che hanno maggiore "familiarità con l'occulto" (op. cit., p.188), non esprimendosi in merito alla "verità" e "credibilità" di tali fenomeni, beninteso non escludendoli, del resto in coerenza con le concezioni surrealiste, sempre che se ne possa enucleare una, in modo "stringente". Molto importante il confronto poetico ed estetico con l'impressionismo, che così "abolendo il nero distrusse l'impalcatura che sostiene l'immagine e questa divenne incerta e fluttuante, senza confini interni, ma uniforme e diffusa come una tappezzeria" (cit., p.194). Considerazioni importanti, anche perché le prospettive psicologiche e psicologiche, che sono già nella teoria dei colori di Goethe, di Schopenhauer, come anche (pur se meno attendibili) in Rudolf Steiner) e poi si ampliano trovando una nuova fondazione epistemologica in Jung, nel test dei colori di Luescher, nella simbologia, nel disegno onirico etc., legate ai colori e alla loro percezione-lettura-capacità evocativa si arricchiscono continuamente e in maniera certo più feconda di quanto comunemente si creda. Le considerazioni a questo proposito di Savinio sembrano quasi solo tecniche, ma in realtà implicano ben altro. Un'avventura sognante ma anche disincantata, con protagonisti, oltre a Savino senior, De Chirico, il suo maestro in pittura, Ungaretti, Tzara, Breton, tante altre figure maschili e femminili, tra Parigi, Milano, Roma, il Nord della Toscana e altro ancora. Il tutto in una chiave nella quale il "disincanto" (esemplari le pagine in cui il nostro autore ricorda, molto criticamente, gli entusiasmi "ebbri" per la stagione delle "Comuni", segnatamente in relazione a quella orbitante attorno al filosofo Enzo Paci, notevole fenomenologo quanto sfegatato comunista, ma in gioventù iper-fascista, come attesta il recente, bellissimo "Un breve viaggio" dello storico del pensiero Paolo Rossi (Milano, Raffaello Cortina). Un "infinito intrattenimento", per dirla con Maurice Blanchot, ma anche la sofferenza incriptata, per citata con Derrida, quella sofferenza, però, che è anche fonte e fomite di sempre nuova conoscenza.