IL CRISTALLO, 2012 LIV 1 [stampa]

DANIELA QUIETI, Francis Bacon. La visione del futuro,
Pescara, Edizioni Tracce, 2012, pp. 136, euro 16,00

recensione di SANDRO ANGELUCCI

Le doti poetiche e narrative di Daniela Quieti ci sono note da tempo; ora, con la stesura di questo saggio - che inaugura la collana di saggistica, appunto, La Ginestra, diretta da Walter Mauro per le Edizioni Tracce di Pescara - ci viene concessa la possibilità di stimarne anche le capacità ponderative.

Lo studio, condotto sulla base di un'approfondita conoscenza del filosofo inglese, «si prospetta - sostiene il curatore della nuova serie - come essenziale per intendere in quale misura la rivoluzione scientifica, fra il 1500 e il 1600, di cui Bacone fu protagonista, abbia inciso nell'arco di una temperie culturale che da quegli anni remoti si distende fino a raggiungere il nostro tempo».

È già questo un chiaro avviso al lettore perché lo stesso abbia il giusto approccio all'opera, «perché la modernità - prosegue Mauro - non debba intendersi come un fenomeno isolato o isolabile, bensì calato nel novero di aperture che da quel momento lontano possano incidere (sul) nostro tempo, così ansioso di conoscenza e di percorsi in grado di intendere appieno le ragioni fondamentali dell'essere.» Se si è attenti a questa chiave di lettura, non dovrebbe sfuggire l'interessante caratterizzazione, in termini decisamente attuali e per certi versi inediti, dell'uomo e del pensatore che fece dell'empirismo più che una scienza, una nuova logica da proporre come alternativa tanto al dogmatismo quanto allo sperimentalismo stesso. Certo, il metodo che Francis Bacon suggerisce è dichiaratamente induttivo ma non nel senso - e qui sta l'emendamento - «di trarre le esperienze conoscitive dalla mente umana (ex analogia hominis) » bensì «dalla natura (ex analogia mundi) ».

Non siamo, però, di fronte a nessun tipo di trasformazione radicale (non dimentichiamo il contesto storico nel quale visse e fece suo il Barone di Verulamio) ma - questo sì - ad un diverso modo di concepire la ricerca scientifica, così che si potesse (ri) stabilire «il santo, il casto e legittimo connubio con la realtà».

«Da tutto ciò si delinea anche - scrive Daniela Quieti - una nuova concezione etica, in quanto gli uomini pervengono ad acquisire il senso della loro funzione [...] a considerarsi dei potenziali creatori in misura delle loro esigenze contingenti e preminenti». Consequenziale, e rilevante, l'idea difesa in favore delle finalità del sapere: non più depositato ma esperito affinché l'uomo possa giungere a ritenerlo il mezzo attraverso il quale attendere alla realizzazione del «suo effettivo inserimento nell'ambiente naturale».

Che, poi, il suo progetto abbia trovato attuazione nelle epoche successive e, soprattutto, in quella moderna, è tutto da verificare, alla luce delle continue contraddizioni, delle aberrazioni in cui, più volte, ha dimostrato di cadere il cosiddetto homo sapiens.

Resta tuttavia inconfutabile il fatto che pochissimi altri, come l'inglese, si sono tanto intensamente preoccupati di ricercare, nelle scoperte scientifiche, quell'ascendente che fosse davvero in grado di rendere realmente evolutivo il progresso umano.

«Se Bacon resiste ai tempi, dopo le burrasche fra ragione e riproposizione dei sentimenti quasi a disputa esclusiva dell'uno o dell'altro [...], dopo le tempeste che hanno abbattuto la metafisica come scienza ma hanno fatto della scienza stessa una sorta di metafisica [...]; dopo la crisi stessa della scienza e del pensiero scientifico, nonché della tecnologia come fine [...]; dopo il trionfo dell'Irrazionalismo Sistematico - afferma Aldo Onorati prefazionando l'opera -; se, dunque, Bacon resiste alle prove d'assalto, è perché ha formulato una verità assoluta, che lo porta ad essere considerato il profeta della tecnologia».

Ci piace questa definizione - quanto mai interessante e didascalica - perché fa capire l'errore più eclatante in cui è incappato e tuttora, forse più, mostra di coltivare, perseverando, l'umanità: considerare la tecnologia per quello che non è, che non può essere, ossia un fine anziché un mezzo.

E la saggista tratta essenzialmente - a ragione, e con lungimiranza - di questo nella sua riflessione. Leggiamo in proposito il brano seguente, che la stessa opportunamente estrapola dal Novum Organum: «L'unica mèta vera e legittima di tutto il cammino delle scienze è quella di dotare la vita umana di nuove scoperte e sostanze. Ma la turba di gran lunga maggiore non pensa a questo, ma cerca il proprio lucro e la gloria accademica».

È fondamentale, sia dal punto di vista etico che sociale, questa asserzione, la cui istanza - riferisce ancora la Quieti - fu recepita dallo stesso Marx in una nota de Il Capitale, laddove sottolinea il carattere profetico del pensiero baconiano.

Insomma - e purtroppo, aggiungiamo - le conclusioni cui si perviene dopo la lettura di un saggio tanto riuscito (non va omessa la fluidità nel procedimento logico e sistematico) quanto necessario, sono di due ordini: da un lato la presa di coscienza, al momento negativa, del fallimento, sul piano realizzativo, dell'ideologia; dall'altro, la viva speranza che l'uomo, prima o poi, riesca finalmente a comprendere che «la natura si vince obbedendole».