IL CRISTALLO, 2012 LIV 1 | [stampa] |
In un momento storico in cui l'Italia (e l'Alto Adige) è terra di immigrazione europea ed extraeuropea, forse è il caso di ricordare le nostre migrazioni, come quella, tutta italiana, che interessò la val Venosta a partire dagli anni '40, raccontata nel libro di Andrea Rossi, Acquabianca, pubblicato da Alpha Beta Edizioni, vincitore dell'ultima edizione del Premio Alto Adige "Autori da scoprire".
Per scrivere il libro Andrea Rossi, oltre a documentarsi attraverso le fonti scritte disponibili, ha ascoltato le testimonianze di coloro che hanno lavorato nei luoghi narrati; quindi non siamo di fronte ad un testo d'invenzione narrativa, ma al racconto di fatti veri, però narrati attraverso la lingua della letteratura. La vicenda ha inizio in una sera d'inverno del 1946, alla stazione di Castelbello, dove arrivano dalla Pianura Padana Daniele e suo padre. Cercano da dormire, ma non si trova posto neppure nella sala d'attesa della stazione, piena di italiani giunti da ogni regione per cercare lavoro alla Montecatini e alla Lasa Marmo. Daniele ha dodici anni, è un ragazzo curioso della vita e degli uomini, ama farsi raccontare le loro storie e attraverso di lui il lettore conoscerà le vite dei numerosi personaggi che incontra: calabresi, abruzzesi, lombardi, tutti gran lavoratori e tutti costretti ad una vita durissima di lavoro faticoso e pericoloso, scavando gallerie senza alcuna protezione, vivendo di stenti e solitudine, alloggiati nelle baracche della Montecatini come prigionieri in un campo di concentramento. «Ci vuole proprio della gran fame, per andare su in val Martello, a infilarsi nel buio della condotta con lo zaino in spalla, a imbucarsi là dentro, a fare la talpa in una tana senza luce, a star giù con la schiena tutto il santo giorno e raccogliere per bene tutti i sassi e i detriti", racconta uno di loro. "Quando hai il perforatore da tenere sulle ginocchia e insieme devi spingere contro il ventre duro della montagna, allora finisce che ti trema tutto il corpo: in quei momenti lì, a evitare i guai ognuno deve pensare da sé. E per lavarci usiamo la rigolla, acqua che esce strisciando dalla galleria e a poco a poco forma un ruscello, ma uno davvero piccolissimo; così magro che d'inverno ghiaccia tutto", confessa un altro.»
Era un'emigrazione prevalentemente maschile, perciò a soccorrerli, dal bellunese, dopo un lungo cammino a piedi, arrivavano le canolare, con le gerle cariche di camicie, calze, maglie, mutande, filo per rammendare, bottoni e tutto quello che serviva per riparare i vestiti; giravano per la valle, finché non avevano venduto tutto quello che avevano nelle gerle.
A fare la fortuna della Lasa Marmo sono gli americani, dapprima arrivati coi carri armati, per liberare la valle dai nazisti, qualche anno dopo ritornati per comprare il marmo bianco di Lasa e farne tutte le croci dei loro cimiteri di guerra. Ma negli anni Sessanta arrivano la crisi e gli scioperi, con le mogli degli operai che vanno davanti agli uffici della direzione, a sventolare le cambiali non pagate.
Aquabianca non è un vero e proprio romanzo, con un intreccio e uno scioglimento finale, quanto piuttosto un insieme di voci che si raccontano. Ma è anche una riflessione sull'arte del racconto, sulla necessità che gli uomini hanno sempre avuto di raccontare storie. «Mi piace quando si risponde a una storia con un'altra storia: è come tirare un filo tra due luoghi, tra due persone. È così che si costruisce la ragnatela in cui la vita s'impiglia e prende senso.»