IL CRISTALLO, 2012 LIV 1 | [stampa] |
Facendo parte di una generazione di giovani intellettuali che partecipano alla prima guerra mondiale, Antonio Baldini (Roma 1889-1963) utilizza quest'esperienza per farsi conoscere come corrispondente di guerra, giornalista che scrive pezzi singolari sull'orribile realtà delle condizioni e degli avvenimenti bellici, poi raccolti nel volume Nostro Purgatorio. Oltre ad essere nel 1919 uno dei fondatori della rivista La Ronda, egli è un collaboratore assiduo delle riviste e dei giornali più rinomati del suo tempo, una delle firme più illustre del giornalismo italiano che si fa con la penna inventiva della prosa d'arte.
Il giovane Baldini affina le sue doti di giornalista trattando un materiale eterogeneo. Nonostante non ami viaggiare, presto si mette a viaggiare in qualità di inviato speciale dal Nord al Sud Italia, scoprendo realtà variopinte e incontrando una galleria di individui sui generis. Ha la predilezione per l'incontro e per il ritratto dei personaggi del mondo artistico, in particolari degli amici letterati e pittori, i cui pezzi confluiscono in Italia di Bonincontro (1940) e Buoni incontri d'Italia (1942).
Pur accettando con riluttanza l'incarico di Aldo Borrelli, il direttore del Corriere della sera, tra il novembre 1929 e il novembre 1930, Baldini vi pubblica una serie di pezzi che nascono dal suo viaggio a Parigi e in Turchia. Secondo una prassi molto comune tra i giornalisti, Baldini con cura revisiona questa corrispondenza dal punto di vista stilistico e formale, taglia e modifica strutturandola in argomenti e in capitoli, cerca di darne omogeneità e unità, e ne fa un libro di viaggio, Doganale 1930, la cui prima parte dedicata a Parigi esce autonomamente come volume intitolato La Vecchia del Bal Bullier (con 16 illustrazioni di Mino Macari, Roma, L'Italiano, 1934), e dopo dieci anni (1943) vi si aggiunge la seconda parte dedicata alla Turchia e il sottotitolo Parigi-Ankara, vedendo la luce nella collana "Lo specchio" della Mondadori.
Diagonale 90, titolo che secondo l'autore vuol significare una linea tirata sulla carta d'Europa tra i punti estremi del suo itinerario, ora è pubblicato da Metauro Edizioni1. Steso con un linguaggio forbito e chiaro, si tratta di un testo che trova la deviazione stilistica nel verbo guardare e in vocaboli sinonimi, si avvale di uno stile che fa sentire la potenza dello sguardo acuto come dell'investigazione inquieta. Tanto che l'occhio del Baldini cronista, osservatore e testimone oculare, sembra una vera e propria telecamera a cui non sfugge nulla, né i minimi dettagli né quelli nascosti sotto la maschera dell'apparenza e dell'ipocrisia; quest'occhio-telecamera imposta e articola diversi tipi di inquadrature, di prospettive, di indagini, è efficace a focalizzare i risvolti della realtà e i sensi delle cose. A volte, i sensi del reporter che si trova a fare il servizio di una sfilata di moda o di una prima teatrale sono risvegliati dall'attenzione alle belle ragazze. E allora la memoria corre agli anni della gioventù virile, quando i sentimenti d'amore e gli istinti sensual-sessuali erano forti («L'occhio finalmente potrà riposarsi del troppo. Ecco tornata la pace dei sensi, e le furtive scoperte che pur ieri ci parevano quasi lecite già ci mettono in un certo imbarazzo e vergogna» 35).
Nei servizi di quest'opera Baldini figura in vari modi. Un protagonista che simile a un buon puritano, scandisce saldi giudizi e preferenze, come il disgusto per le modelle anoressiche e bulimiche, o per un coppia che si bacia davanti a tutti e anche in treno, o per le donne che si abbigliano con orribili indumenti in vogue, che si truccano in pubblico, che vanno in giro mezzo nude, che insomma trasgrediscono i canoni della decenza e del buon costume con la loro stravaganza; un reporter omodiegetico e eterodiegetico, che scruta con empatia e immersione, con distacco e freddezza; un corrispondente sempre in giro in cerca della notizia insolita e dello scoop, che cammina a piedi dovunque e non si ferma d'indagare neanche quando è esausto; un giornalista voyeuristico, sornione, assorto, profondamente accattivato dalle realtà contemplate, e scosso dalle impressioni che addirittura gli infiammano umori, sentimenti, ripiegamenti.
Il libro è composto di scritti giornalistici che assumono diversi tagli e caratteristiche. Sembrano note, appunti, frammenti, articoletti, stesi anch'essi con cura ed eleganza; elzeviri che permettano lo sfogo della riflessione e dell'osservazione riguardo a una gamma di argomenti che hanno a che fare con l'attualità e la storia, con il presente e il passato, onde il contrasto tra l'antico e il moderno può raggiungere livelli di alta drammaticità; cronachette (per usare una parola cara a Leonardo Sciascia) dell'architettura, della moda, del teatro, della cultura di ogni genere, e persino del degrado; raccontini che affabulano con verve ed estrosità la realtà, i fatti e gli eventi della vita quotidiana; storielle che calcano la dimensione della fiaba fin dall'incipit («C'era una volta ai bagni un vecchio» 76) e di un comico capace di diventare molto serio, umorismo tagliente; reportage che documentano non solo la vita, dolce e mondana, di una Parigi favolosa, ma anche le meraviglie delle abitazioni di illustri personaggi della cultura francese: Baudelaire, Gautier, Verne, ecc.), di cui si predilige in modo particolare quella dell'Ottocento, come evidenziano i pezzi che si compongono con la discussione delle opere degli autori di quell'epoca e con l'elencazione dei loro oggetti che si possono acquistare in rinomati mercatini all'aperto o presso gli antiquariati.
Tuttavia la cronaca di viaggio di Baldini si accende di squarci lirici quando rivolge lo sguardo non tanto al paesaggio cittadino ma al paesaggio naturale, come quello padroneggiato da una luna che si imbeve della reminiscenza leopardiana. Spesso utilizza le tecniche dell'elencazione, dell'enumerazione, dell'accumulazione, e si fonda su un realismo che prende diverse pieghe, sa farsi crudo e cedere alla satira, sa cogliere e far vedere vive le tragedie di coloro che sono vittime del progresso, che vivono in condizioni primitive, disagiate, d'estrema miseria. Come gli emigrati italiani (104-107) che vivono in un ghetto della periferia parigina, emarginati, sfruttati, e sofferenti anche perché non trovano lavoro per sostenere la famiglia (o come una parte della popolazione turca rimasta cristallata nello stato primitivo, della pena di vivere); la maggior parte pervengono dal nostro meridione: «mi rispondono molto servizievolmente, l'anziana in buon […] ciociaro, e la giovane ci mette di suo qualche parola in francese. Fa lo stesso: sono cascato in pieno Frosinone. Intanto spuntano ragazzi da tutte le parti, affagottati contro il freddo, con le scarpe e le gambe incrostate di fango» (106).
La cronaca baldiniana si porta a dipingere un quadro negativo del mondo parigino fatto di bassifondi e di quartieri fatiscenti, sporchi, e senza luminazione, con baracche e case cadenti e diroccate, dove vivono disgraziati, accattoni, ladri, gente della malavita, con montagne di immondizia ovunque, in cui rovistano poveracci per trovare cibo o oggetti da vendere. Un mondo oscuro, infernale, che precipita il reporter indagatore nel pozzo dei brividi, della paura e del terrore, addirittura pensa di perderci la vita: «in nessuna città ho avuto mai così vivo […] il senso d'un pericolo immediato, quello di poter essere fatto scomparire» (97). Questa esperienza sembra rendere Parigi una delle metropoli del pianeta più inquinate di tanti mali. E Baldini ci tiene a sottolineare che tale esperienza non accadrebbe neanche nei quartieri più abbandonati e violenti della sua città romana: «passeggiando di notte per qualche strada […] di Trastevere, m'è accaduto […] di immaginare il mio corpo lungo disteso sotto un lampione con un coltello luccicante infisso nel costato. Ma questa era almeno un'immaginazione che dava presa alla fantasia» (97).
In Baldini la cronaca di viaggio si appropria anche dello schema e della struttura del diario; si serve dei luoghi comuni e dei cliché del giornalismo, dalle date all'informazione riguardo all'origine del servizio, dalla precisazione dove si trova il reporter (ad es. «Hotel Beavoir, Carrefour l'Observatoire: 7 dicembre 1929. Questa mattina mi facevo la barba davanti alla finestra quando ho visto sul marciapiede la faccia di un gruppo di gente intorno al monumento del marescialle Ney», 73) al plasmarsi un cicerone che consiglia il viaggiatore ideale (e quindi stabilisce un dialogo diretto con il lettore del suo giornale) di visitare questo o quel sito: «Mi raccomando, non fate, lo sbaglio di lasciar la Turchia senz'aver prima fatto una visita a Brussa […] poi, da Brussa, mi saprete dire» (224); ubbidisce ai canoni giornalistici mentre li trasgredisce con una prosa pluritonale, bassa e alta, distesa e nervosa, naturalistica e connotativa, tesa a incidere l'assurdità e il tragicomico dell'esistenza, come le contraddizioni di Baldini. Il quale sperimenta lo straniamento, di essere al tempo steso in un luogo ameno e forestiero, quasi uno schizofrenico sdoppiato: «Qui uno finisce prestissimo col sentirsi così amalgamato col tutto che certe sere, rientrando all'albergo, accesa la luce e vistosi nello specchio, viene di esclamare: Perbacco, eri proprio tu? […] Ti senti solo e sperduto in un mare di sgarberie. Un gelido disprezzo è nell'aria. Se l'affettuosità d'una popolazione colorisse di sé le città che abita, si vedrebbe Roma tutta color d'oro e Parigi color piombo» (6).
Quando Baldini si trova a Parigi o in Turchia sente una solitudine profonda che alimenta la nostalgia della sua casa romana e del paese natio. Infatti tante pagine, di queste cronache, si infittiscono di ricordi e di richiami del mondo italiano, il quale viene a formare una rete di associazioni e di contrasti con la realtà, con gli oggetti, e con le persone dei siti visitati. Per esempio, una fetta della luna languente di Parigi rievoca quella splendente di Roma; la dimensione del Palazzo di Giustizia parigino rammenta quella del Palazzo della Regione di Padova; a Parigi la gente non è allegra, né canta e né fischietta, come invece avviene a Napoli. L'orgoglio della italianità di Baldini scatta quando scopre una strada o una piazza con il nome di un artista conterraneo (Michelangelo, Bellini, Carducci, ecc.).
Parigi è rappresentata come un luogo infernale. Soprattutto per non essere immune dagli atti di violenza, e per le sue numerose inefficienze e disfunzionalità, come la metropolitana spesso lenta e non puntuale, invasa dai borsaioli e che il giornalista ha paura di prendere. Soprattutto per il caos causato dal traffico delle file sterminate di macchine che non lasciano spazio di movimento né ai pedoni né ai biciclisti («L'auto che mi portava […] poco mancò che non schiacciasse un operario in bicicletta contro il fianco d'autobus» 7), dall'inquinamento acustico di ogni tipo, suoni e rumori in cui si innestano quelli della voce umana ma che sovente finiscono per essere soffocati, e anch'essi descritti con la predilezione dei mezzi caricaturali («è uno sparpaglio di suoni in tutte le direzioni, cornette, fischietti campanelli, suoni che si lamentano e si cercano, si rispondono e si sopraffanno» 19), e dall'inquinamento dell'aria: «Il fumo, l'umidità, l'aria grassa riducono in poco d'ora così nera la faccia delle case parigine che l'occhio fa fatica a ritrovarvi per entro, quando c'è una linea architettonica […] L'aria che si respira è in fondo quella stessa che fa così nere le case» (104).
Parigi è una città con centomila volti, bella e brutta, umana e crudele, tranquilla e frenetica, reale e irreale, ecc.: «qui c'è tutto, e anche qualche cosa di più di quello che cerchi. Qui c'è lo spreco e il risparmio, qui c'è il gran comodo e il grande stento, l'amara frivolità e il dolce oblio, la sbornia del nuovo e l'aura sempre consolatrice dell'antico» (11). È popolata di tante etnie e razze, cinesi, neri, sudamericani, indiani, ecc., di persone bizzarre, stravaganti, anormali, che sembrano uscite vive dalle antiche "vignette", di individui interpreti di tutte le mode, di personaggi di ogni fattezza che rendono la città un vero e proprio palcoscenico, su cui tutti recitano le parti della triste commedia umana. È un ambiente ricco di gente che esercita con degnità e serietà il proprio lavoro (l'operario, il meccanico, il caldarrostaio, i padroni di ristoranti, di negozi, di aziende, ecc.), in cui le donne svolgono un ruolo significativo anche come tranviere, portinaie, giornaliste, in cui la maggior parte dei vecchi vivono abbandonati e in solitudine, e la stessa città si descrive con aspetti antropomorfici al punto di esser personificata una vecchierella arzilla, dinamica, attiva, sensuale e sessuale, che ama il divertimento e il ballo, simbolo della visione edonistica e del carpe diem della vita. È una mecca di sfaccendati, di vagabondi, di dilettanti, e di finti artisti («tutti hanno un portentosa facilità d'assumere una certa quale aria professionale» 14). È un'oasi multiculturale che attira artisti, intellettuali e scrittori di valore, di ogni età, e da ogni parte del mondo (Picasso, Modigliani, e l'amico Ungaretti), molti dei quali ne fanno una seconda patria, come il poeta tedesco Heinrich Heine che non la lascia mai, ci vive da sepolto vivo dato che, colpito da una grave malattia, non esce mai di casa e si accontenta di guardarla dalla finestra.
Onde Parigi si trasforma in Olimpo delle Muse inciso anche del pastiche leopardiano: «Sempre caro fu quest'angolo di terra alle Muse; una piccola seconda patria per gli artisti che ci abitano» (90), e in una babele di linguaggi, come illustra la cronaca dedicata alla figura di Ungaretti, quando questi invita Baldini a prendere un boccone in una taverna dove avventori e clienti parlano tante lingue e tanti dialetti indecifrabili: di fronte a questa realtà straordinaria il Baldini osservatore si sente un escluso, colpito dallo smarrimento alla Fu Mattia Pascal, foriero dello sdoppiamento e della sensazione di essere nessuno in mezzo agli altri: «Mi dicevo: Non hai in tasca nessuna carta di riconoscimento; chi ti dice che sei tu? Pirandellegiavo. Mi sentivo sganciato dal mondo, non mi ricordavo più come e perché mi trovassi in quel luogo, facevo fatica a ricordarmi il nome di quel paese, il mio nome» (110).
Parigi è anche una città che non dorme mai, e se a volte dorme, si sveglia presto la mattina e rimane aperta fino a tardi; benché sia sempre viva, si mostra più viva la notte, anche con i viavai dei boulevard e dei luoghi notturni, bar, teatri, gallerie, ecc. E il reporter vi scopre con grande meraviglia le scritte strane sui muri degli edifici e sui corridoi della metropolitana, come i cani abbigliati con abitini e scarpette, hanno le stesse cose degli esseri umani: in un'isoletta della Senna «c'è anche un cimitero dei cani» (68).
Baldini fornisce una dovizia di particolari descrittivi dei luoghi dai lui visitati, di tutto ciò che vede e osserva del mondo cittadino di Parigi: i mezzi di trasporto, le strade principali e secondarie, la luminazione a gas, le case dei quartieri alti e bassi, le costruzioni realizzate male, gli alberghi di lusso o squallidi, ristoranti e le bettole, i menu dell'arte culinaria, le piazze e i loro monumenti, i musei e la torre Eiffel, gli studi dove lavorano gli artisti, i tanti tipi di mercati (di uccelli, pesci, gatti, libri, mobili, oggetti rari, ecc.), le biblioteche che espongono anche tanti cimeli (manoscritti, ritratti, lettere, ecc.), i teatri e la gente borghese-aristocratica che li frequenta, i giardini pubblici con bambini precoci, le chiese con le tombe dove riposano i grandi scrittori (Racine, Pascal, Zola, ecc.), i caffè frequentati dai personaggi dell'universo della cultura e in particolare dai pittori e letterati, e perciò al reporter viene spontaneo il paragone con il caffè romano Aragno, bazzicato assieme agli amici scrittori. A volte egli ha la sensazioni di essere un «intruso» e di essere respinto da questi luoghi, altre volte gli pare che essi vogliano dialogare con lui, manifestare intime realtà e incertezze: «La cupola del Pantheon […], guardando le strade intorno, pareva che dicesse: - E io che ci sto a fare?» (22-23). A diversi livelli, Diagonale 1930 si compone di abbastanza cronache romanzate da sembrare un romanzo giornalistico su Parigi.
Con uno stile che sfrutta al massimo i mezzi del racconto, Baldini ci dà un giornalismo creativo ricco di allusioni, di metafore, di messaggi universali. Oltre agli aforismi che pullulano con una certa frequenza (ad es. «Il non capire, certe volte può essere un'ottima difesa» 105), di natura polisemica è anche la similitudine che abbonda nel tessuto narrativo. A volte non persegue lo schema tradizionale e spesso si costruisce con immagini impressionistiche. Molte delle quali formano un bestiario colorito: una giovane agitata che si mira allo specchio, fa una «svolta busca, come un pesce giunto in prossimità del vetro d'un acquario, rallenta l'andatura, si rigira» (35); un ragazzino per l'emozione «trema come un uccellino» (107); una maestrina che, cercando di zittire gli allievi, «è come fermare dei cavalli in corsa» 107); una donna in un raro stato di felicità «cantava come una capinera» (138); un'infermiera che cura lo Heine divorato dalla malattia lo «teneva in braccio come un agnellino» (144); un ministro turco ha «un collo da tartaruga» (189), ecc. Questo stile è percorso dall'andamento citazionale delle opere degli scrittori amati (Hugo, Balzac, Baudelaire, ecc.) da Baldini, che legge fin dall'infanzia e dai quali è stato influenzato, in vari momenti ne ricama una cronaca ritrattistica, capace di mutare in confessione e in panegirico; dall'andamento d'associare la realtà quotidiana alla conoscenza letteraria, tanto che apporta livelli di trasformazione alla cronaca: «Un mezzo sfilato di pane attraversa la tavola […] Vidi un giorno un ragazzo in bicicletta con uno di questi sotto il braccio: pareva don Chisciotte con la lancia. Con uno sfilato ci mangia una famiglia» 50); in Doganale 1930, la costante di rammentare la letteratura fantastica (Cervantes, De Foe, Maupassant, ecc.) è in funzione di suggerire che la realtà non solo appare ma è fantomatica. In sostanza è uno stile bozzettistico e ritrattistico. Esso caratterizza la cronaca di Baldini. Persino quando ritorna a raffigurare il mondo del proletariato, dei rioni dei "miserabili", con caffè sudici, senza luce, frequentati anche da ubriaconi; un signore aristocratico, Leone Daude, che in tutti gli aspetti sembra un meridionale: «non c'è in tutta Napoli una faccia più napoletana della sua» (81), o una popolana poderosa da tutti i punti di vista: «Alta, forzuta, stanguta, occhi da maschio, capelli da maschio, sottana al ginocchio, gambe nude e pedalini neri; zoccoli, grembiale e gambe insanguinati del pari. La bocca ride suo malgrado nella gran faccia lentigginosa, ma si capisce che la sua felicità non potrebbe mai fare la nostra. La sua aria è tutt'altro che provocante» (53). Nella visione di Baldini a Parigi «come altrove è la donna che impera e tiene in mano il timone degli affari» (70).
Invece lo sguardo investigativo del reporter che viaggia in Turchia vede la donna in luce diversa, specie perché nel paese persiste una particolare condizione storica. Una condizione che lo spinge a presagire difficoltà lavorative e a scivolare di nuovo nel ripiegamento metagiornalistico al punto da definirsi un reporter che pennella con la penna, da illustrarci come opera:
Eccomi qua. Da una parte c'è una settimana di vita costantinopolitana e dall'altra questo foglio di carta bianca. Ora si tratterebbe di far passare qualcuna delle mille e una impressioni ricevute andando su e giù per il Bosforo, e di qua e di là dal Corno d'oro, su questo breve rettangolo bianco. Difficilissimo. Per certo nella mia vita di pennarulo non me la sono mai vista più brutta di questa volta. Forse ho sbagliato metodo. Bisognava aver la pazienza […] di tirar fuori il taccuino e segnare via via tutto quello che mi colpiva sul cammino […] Tuffiamoci nel gorgo, saturiamoci d'impressioni fin sopra i capelli, poi estrarremo il sugo, faremo la sintesi. (155)
Il viaggio che in sostanza compie tre tappe, a Costantinopoli (o Città d'oro, l'odierna Istanbul), a Brussa (l'odierna Bursa), ad Ankara, porta Baldini a dare attenzione rilevante alla donna nella società turca. Di questi tre centri urbani Costantinopoli appare il più indicativo di un paese che sebbene ancorato nel passato cerca di andare avanti e rinnovarsi, nel rappresentare un crogiolo di millenarie civiltà, razze, fedi, un mosaico di popoli con disparati miti, tradizioni, credenze, tabù, ecc. Qui Baldini non ha difficoltà a riconoscere le doti e le avvenenze della donna, ma ha difficoltà a riconoscerne l'etnia e la religione, se armena, circassa, persiana, ebrea, cattolica, islamica, ecc. Attraverso la ricostruzione e la disquisizioni di dati storici, che si avvalgono dello strumento citazionale dei testi di varie discipline quale il Corano, la sua cronaca illustra i passi del paese verso la secolarizzazione e come la donna musulmana cominci a spogliarsi del velo, anche se certe cose non cambiano o si muovono con lentezza. L'evoluzione era sì in cammino da un pezzo, fin dal tempo della rivoluzione giovane-turca, ma lenta. «Il velo era diventato sempre più trasparente, e durante la guerra già qualche donna cominciava a entrare negli impieghi […] Nei traviai, nei treni, nei battelli c'era una cortina che divideva gli uomini dalle donne» 170); illustra come l'impegno di femministe e di femministi al potere politico aiuta lo sviluppo dell'emancipazione della donna, ad ottenere importanti diritti, a fare significative conquiste in diversi professioni: «È la prima in Oriente, la donna turca, che abbia ottenuto il voto legislativo e amministrativo [...], la via agli impieghi pubblici e privati […] C'è orami già l'aviatrice, c'è la letterata, c'è la giornalista, c'è l'attrice» (172).
Accompagnando un amico medico che visita i malati a domicilio, un traslato della figura classica della guida (-cicerone) che conduce a esplorare i meandri del "mondo oscuro" (cfr. anche Conversazione in Sicilia di Vittorini), Baldini viene a conoscere meglio la situazione quotidiana della famiglia, il regno domestico della donna islamica e non islamica. Invece ad Ankara osserva una donna turca poco attiva e poco moderna anche dal punto di vista estetico: «Le signore turche […] sono così grasse che non c'è un cane che pensi di andarle ad invitare a ballare. La vita in casa […] qui consiste ancora nel non fare niente tutto il giorno e questo porta a ingrassarle» (195).
Di queste tre città turche Baldini mette in evidenza molti aspetti, filtrati in una matassa di contrasti, soprattutto tra il vecchio e il nuovo (anche dal punto di vista architettonico, perciò la "vecchia" Ankara è un «gran villaggio di pretto carattere orientale» e la nuova Ankara «è ciò che di più occidentale si possa immaginare» 181), tra il bello e il brutto, tra il gaio e il triste, tra il realistico e il meraviglioso: «ci sono dei quartieri che […] ti pare di camminarci come in un sogno; un momento ti pare di stare a Napoli, un altro momento in un racconto delle Mille e una notte» (156). Soprattutto con una scrittura ricca di ingredienti letterari (ad es. «la città invecchia precipitosamente come la maga Alcina agli occhi di Ruggiero una volta uscito fuor di incanto» 158), tesa a descrivere con brio le autorità politiche, diplomatiche, burocratiche, i ceti benestanti e aristocratici, una folla di potenti personaggi buffi, ridicoli, grotteschi, a calcare certi motivi negativi: l'azione dei politici corrotti, la scarsa cultura della popolazione, la povertà delle biblioteche, la sporcizia che sembra di casa un po' ovunque («l'Ankarà è un albergo […], il solo di Ankara dove pel momento si possa prendere pulitamente una tazza di tè, sedere a una tavola ben servita e bene apparecchiata, vedere una signora ben vestita» 204).
Con Doganale 1930 Baldini anticipa di ben oltre trent'anni diversi elementi sia dell'ispirazione dei new journalists americani (Talese, Wolfe, Capote, ecc.) che realizzano un giornalismo di alto valore artistico ed estetico, sia della poetica degli scrittori postmoderni che nelle loro creazioni attingono ampiamente ai fatti cronachisti, come il romanzo L'abusivo di Antonio Franchini, e sono maestri del reportage di viaggio, come Viaggi e altri viaggi di Antonio Tabucchi.
NOTE
1 Antonio Baldini, Diagonale 1930, Pesaro, Metauro Edizioni, 2011. D'ora in poi il numero della pagina nel testo rimanderà a questa edizione.