IL CRISTALLO, 2012 LIV 1 | [stampa] |
Da '2 Fratelli' a 'La malattia della famiglia M' (2000/2009)
6 novembre 2000: nel Teatro Studio del Teatro Comunale di Bolzano va in scena 2 Fratelli di Fausto Paravidino. La regia è di Filippo Dini. Si tratta di un debutto dal sapore particolare, almeno per i palati abituati ai gusti e alle tendenze del teatro italiano, in particolar modo dei Teatri Stabili, in merito alla promozione di giovani autori. «Per fortuna (scelta anomala ma provvidenziale) - scrive Ugo Ronfani - un teatro di frontiera come lo Stabile di Bolzano si è fatto carico dell'allestimento»1. Anche Franco Quadri sottolinea che «non è normale che una 'novità italiana' […] si veda aprire immediatamente le porte di un teatro pubblico non meramente dedito ad adempiere a uno storico obbligo istituzionale, ma deciso a dare alla novità in questione un risalto con tenuta biennale e annesse tournée». Rileva inoltre che Paravidino è «subito diventato un caso del teatro italiano», per la sua giovane età e per «la capacità di scrivere commedie con la naturalezza con cui respira»2. Difatti il piemontese Paravidino nel 2000 ha solo ventitre anni ed è considerato un enfant prodige.
Dopo aver frequentato nel 1995 per un anno la scuola di recitazione del Teatro di Genova, fonda con alcuni compagni e Lello Arena una compagnia con la quale debutta nello shakesperiano Sogno di una notte di mezza estate; nel 1996 si trasferisce a Roma dove dà vita con Giampiero Rappa, Filippo Dini e Antonia Truppo alla compagnia Gloriababbi Teatro; sempre nello stesso anno scrive Trinciapollo e Gabriele che nel 1999 prima si aggiudica il premio "Terza rassegna della drammaturgia emergente", poi debutta, affidata alla regia di Rappa, nel Teatro Tordinona della capitale. Si aggiudica con 2 Fratelli il prestigioso premio Pier Vittorio Tondelli. Qualche mese prima del citato debutto bolzanino, Paravidino partecipa allo stage di drammaturgia "International Residency" presso il Royal Court Theater di Londra e gli viene commissionato un lavoro che poi sarà Genova 01, testo dedicato ai fatti violenti durante il G83.
Se per il giovane autore attore e regista la messinscena di 2 Fratelli segna un importante momento creativo e promozionale, analogamente per lo Stabile di Bolzano diretto da Marco Bernardi costituisce una tappa significativa nell'ambito della promozione della nuova drammaturgia italiana, in linea con progetti culturali presenti nelle programmazioni a partire dalla fondazione dell'ente nel 1950. Soccorrono, a titolo esemplificativo per la direzione Bernardi, i nomi del meranese Roberto Cavosi, Pierpaolo Paladino, Stefano Massini, la trentina Angela Demattè, Carlotta Clerici.
È lo stesso Bernardi, nei panni del talent scout, a raccontare, nello scritto inedito che segue, come si sviluppò il primo contatto con Paravidino e la sua scrittura teatrale.
Erano i primi di dicembre del 1999, stavo viaggiando in treno da Bolzano a Venezia per un sopraluogo al Teatro Goldoni, mi ero portato, come faccio sempre in viaggio, qualche testo teatrale da leggere. Erano appena arrivati dalla direzione del Premio Riccione, il più importante concorso italiano per testi teatrali, alcuni copioni vincitori delle varie sezioni in cui si articolava l'edizione 1999. Li avevo guardati e soppesati in ufficio e, a naso, mi era venuta voglia di leggerne uno in particolare. Cosa che ho fatto entusiasmandomi immediatamente nel leggere tutto d'un fiato, tra Rovereto e Vicenza, 2 Fratelli, il testo con il quale Fausto Paravidino aveva appena vinto il "Tondelli", ovvero la sezione under 30 del Premio Riccione intitolata all'indimenticato scrittore di Correggio. Mi ricordo che dietro all'ultima pagina c'era il numero di telefono dell'autore: l'ho chiamato prima di arrivare a Venezia per proporgli di mettere in scena il suo testo appena possibile.
La scena-cubo di 2 Fratelli allestita da Laura Benzi nel Teatro Studio propone una cucina minimalista, irrealmente verde anche nei suoi accessori domestici, per sottolineare lo stato di squilibrio psichico dei tre protagonisti. I due fratelli - l'introverso e timido Boris (Giampiero Rappa) e Lev (lo stesso Paravidino), il minore, in apparenza più maturo - convivono con Enrica (Antonia Truppo), che per la sua ansia di affetto va al letto successivamente con l'uno e con l'altro, provocando una tensione destinata a sfociare in tragedia. Questa «tragedia da camera in 53 giorni» assomiglia ad un diario di vita quotidiano, visivamente indicato con giorno e ora e scandito da un dialogo di battute rapide ed essenziali, di scuola anglosassone (Pinter) più che di tradizione italiana. Critica locale e nazionale non risparmiarono valutazioni positive circa l'allestimento di Filippo Dini e la prova degli attori, tanto che la ripresa nella stagione successiva fu coronata dalla vittoria del Premio Ubu come migliore novità italiana di ricerca drammaturgica4.
A fronte di questi successi di pubblico e di critica, i rapporti collaborativi di Paravidino con lo Stabile di Bolzano si rinnovano e si consolidano attraverso la produzione di due diverse commedie, distribuite nelle stagioni 2002/2003 e 2003/2004. La prima, Gabriele, debutta in una nuova edizione nel Teatro Studio il 12 novembre 2002. Scritta nel 1998 a quattro mani con Rappa, è una sorta di autobiografia di gruppo ambientata in un appartamento, dove si vivono ansie, attese e soprattutto si anima un girotondo collettivo intorno ad una ragazza dirimpettaia, Angela, destinata a dare alla luce Gabriele, di padre ignoto. I protagonisti della divertente commedia sono infatti ex allievi della citata scuola di Teatro di Genova, che dal capoluogo ligure si erano trasferiti a Roma per tentare l'avventura del teatro, e perciò compagni e amici dello stesso Paravidino, tanto che nel testo mantengono i loro nomi anagrafici: Andrea (Di Casa), Fausto (Paravidino), che nell'edizione bolzanina risulta sostituito da Carlo Orlando), Filippo (Dini), Giampiero (Rappa), Sergio (Grissini), mentre Angela compete a Chiara Melli. Anche questo testo, sorta di ritratto di moderna bohème, si caratterizza per un impianto narrativo strutturato su dialoghi serrati in bilico tra realtà e finzione, con situazioni esilaranti e passaggi ora malinconici ora di tenerezza affettiva. Il linguaggio si mantiene ordinario, asciutto e ironico, di grandi potenzialità comunicative e asseconda la regia di Rappa, che segue un ritmo veloce e incalzante, intervallato da calibrati momenti di teso silenzio. La scena ideata da Laura Benzi, oltre ad essere funzionale e bella, partecipa attivamente allo sviluppo narrativo. Si tratta di una cucina che presenta, per esempio, un frigorifero smisurato e panciuto ma quasi sempre vuoto. Gabriele rimane iscritto nel cartellone del Teatro Stabile per tre stagioni consecutive.
Il terzo testo prodotto in sequenza è Natura morta in un fosso, in precedenza allestito nel Teatro Verdi di Milano (produzione Atir) con la regia di Serena Sinigallia. Non mancano le novità per gli spettatori accorsi nel Teatro Studio la sera del debutto bolzanino, il 12 novembre 2003. Paravidino firma la regia e sceglie nuovi attori dalle potenzialità espressive diverse, perché rispetto a 2 Fratelli e Gabriele, è mutato l'impianto drammaturgico del testo. Dalla formula del dramma e della commedia, l'autore approda ad un testo poliziesco contemporaneo costruito con monologhi. Il misterioso ritrovamento del corpo di una ragazza, in un qualunque sabato sera di una nebbiosa periferia di una provincia settentrionale, muove i meccanismi del noir e cresce la suspense fino allo smascheramento dell'assassino. La regia crea un'atmosfera cupa e tesa, supportata dal buio notturno che avvolge il palcoscenico dirupo-discarica ideato dalla fedele Laura Benzi. Gli attori, come prigionieri nelle loro gabbie di squallore esistenziale, recitano ad un ritmo incalzante simile al parlato frammentato della radiocronaca. Maria Paiato interpreta la madre della vittima con doloroso e sofferto distacco, quasi incapace di abbandonarsi alla disperazione. Franco Ravera è il cinico e ansioso ispettore di polizia; Nana Torbida, attrice ex jugoslava, veste i panni di una connazionale ingannata e venduta, e con lei figurano Davide Lorino, lo spacciatore, Fabrizio Coniglio, l'amico della vittima, e Carlo Orlando, il giovane che ha trovato il cadavere. Anche Natura morta in un fosso convince pubblico e critica e, in merito, è significativo rilevare che la stampa locale tedesca, già attenta a 2 Fratelli e Gabriele, dedica a questo spettacolo recensioni approfondite e dettagliate e interviste all'autore e regista.
Con un intervallo di quattro stagioni Fausto Paravidino è nuovamente iscritto nel cartellone dello Stabile di Bolzano. La nuova produzione è La malattia della Famiglia M, un testo scritto nel 2000 su commissione del Premio Candoni di Arta Terme, che ne presentò una lettura scenica nel Teatro San Giorgio di Udine. Preceduta da applauditi allestimenti in Germania, Francia e Inghilterra, la commedia debutta ufficialmente sulla scena italiana nel Teatro Studio, il 5 novembre 2009, per poi essere ripresa la stagione successiva. Come Natura morta in un fosso, la vicenda è ambientata in una cittadina della provincia padana avvolta da silenzi e malinconie cechoviane. Voce narrante è un medico di base specializzato in malattie tropicali (Paolo Pierobon) ma più impegnato ad ascoltare ansie e problemi di pazienti malati dalla paura di amare, piuttosto che svolgere la sua funzione di base5. Aleggia lo spettro della madre-moglie morta in circostanze poco chiare, che ha lasciato un'eredità pesante ad un padre (Nicola Pannelli) gravemente malato e privo di autorità. Ci sono le due sorelle, Maria (Emanuela Galliusi) divisa tra il tenero amore per il fidanzato Fulvio (Pio Stellaccio) e un'effimera passione per l'amico Fabrizio (Iacopo-Maria Bicocche) e la dolente Marta (Iris Fusetti), forse invaghita del dottore. C'è il fratello minore, lo stralunato Gianni (Fausto Paravidino), che affronta la vita con la leggerezza di un gioco e rimarrà vittima di un grave incidente automobilistico. Emerge un quadro inquietante, quale segno della dissoluzione dell'unità familiare che relega i componenti, amici e fidanzati, a destini di fuga, solitudine e sconfitta. La malattia della famiglia M costituisce un momento di crescita artistica per l'affermato enfant prodige della drammaturgia italiana. Dalla scrittura, che rimane intessuta di dialoghi fulminanti con le parole capaci di scavare e radiografare le tormentate interiorità, alla regia, passando attraverso l'attore, Paravidino calibra con precisione i ritmi delle battute, orchestra i movimenti degli attori nel sobrio interno domestico disegnato dalla scenografa Benzi, coglie la profondità delle sfumature psicologiche.
Exit (2012)
Ridere in Scandinavia. Note su "Exit" è un illuminante e inedito scritto di Fausto Paravidino che fissa gli elementi basilari della commedia e, quasi facendoci entrare nel suo laboratorio creativo, offre preziosi ed essenziali informazioni circa la genesi e il modello ispiratore6.
Alcune coincidenze portano al nord. Stavo vedendo uno spettacolo di Jon Fosse, il titolo è E la notte canta, Jon Fosse è uno scrittore Norvegese che mi piace molto e non mi assomiglia per niente, mi piace molto da tanto tempo, la sua pièce incominciava benissimo. Io copio spesso, così, per cominciare, poi vado avanti come mi viene. Quella volta era Jon Fosse. Sono tornato a casa e ho cominciato nello stesso modo: c'è un uomo che legge, una donna che lo guarda e che dopo un po' gli chiede cosa legge o qualcosa del genere. Si scopre che sono una coppia e che c'è qualcosa che non va. Da lì in poi è tutto diverso.
La coppia in questione è formata da A, docente universitario progressista, e da B, la moglie. Exit, «non che questo sia di fondamentale importanza», afferma Paravidino, «si svolge in Italia nel 2008». In questa commedia il giovane scrittore affina la sua tecnica compositiva che, di riflesso, dà forma narrativa a dialoghi brevi, essenziali e incisivi. Assomigliano alla punta di un iceberg, là dove la massa sott'acqua corrisponde ad un sottotesto complesso, ramificato, un labirinto di pensieri e azioni silenziose, di situazioni di vita coniugale calate nel flusso quotidiano dell'esserci e del perdersi, in modo ora consapevole ora inconsapevole. Perciò, essendo tutto contemporaneamente limpido e oscuro, fermo e fuggente, la scrittura non si adegua ad un preciso genere teatrale per analizzare e capire i motivi di crisi della coppia, fluttua piuttosto con leggerezza nella varietà degli stili. Effetti di comicità, dramma e umorismo si mescolano, si armonizzano e concorrono ad una concatenazione di battute fulminanti, che passano da un argomento all'altro in rapida successione. Al piano della narrazione del presente corrisponde l'innesto della tecnica del flash back: lo stesso episodio viene così raccontato secondo la tecnica del 'prima' e del 'dopo'. Si tratta di un sottile e sofisticato procedimento che garantisce al testo equilibrio narrativo e, soprattutto, non orienta le dinamiche relazionali dei personaggi verso uno sviluppo coerente e lineare, perché Exit, dichiara ancora Paravidino in Ridere in Scandinavia, «parla di varie cose ma soprattutto della difficoltà di andare d'accordo anche quando lo si vorrebbe […]. Parla delle difficoltà di prendere decisioni per sé, e per gli altri […]. È una piece delicata, non ci sono cattivi, qui ci sono quattro brave persone».
La commedia è divisa in tre atti, in corrispondenza di altrettante situazioni interne al tormentato rapporto. Il primo, "Affari interni", è ambientato nella casa coniugale ed è costruito su una serie di scenette emblematiche per seguire il percorso del malessere quotidiano.
Entra B.
B Leggi?
A Sì.
B Bello?
A Interessante. Vuoi che te lo racconti?
B No. Se dici che è bello quando hai finito lo leggo.
A Non lo leggerai.
B No.
A Te lo racconto:
B Adesso è diverso. Due anni dopo era già così:
B Leggi?
A (smettendo di leggere) Come?
B Me lo racconti?
A Se mai quando ho finito te lo passo.
B Tanto non lo leggerò.
A E allora non leggerlo.
B esita un attimo. Poi esce.
A da solo posa il libro.
Lo schema si riproduce in altre situazioni di vita condivisa, quando subentrano la politica, il regalo di compleanno, il sesso, la gelosia. Il male rimane inafferrabile.
Non so quando le cose hanno incominciato ad andare male, - dice il marito, e oscuro: - C'entrava la politica, c'entravano i futili motivi, c'entrava tutto. E nessuno voleva assumersi la colpa di questo. Per cui pensavamo di passarcela a vicenda.
Sono parole del marito, che poco dopo amaramente quasi sentenzia:
Le avevamo già provate tutte, ma erano tutte declinazioni della stessa cosa.
Si passa all'atto secondo, "Affari esteri", dove, annota Paravidino, «quei due cercano se stessi fuori di casa, così facciamo la conoscenza con altri due personaggi», precisamente C, una giovane studentessa, e D, un uomo semplice, bonaccione e simpatico. Di riflesso gli ambienti mutano, si moltiplicano e diventano l'aula universitaria, il bar, il ristorante cinese, una strada, la libreria. È il momento dei tradimenti, realizzati o desiderati, attraverso i quali si cerca la ricostruzione di se stessi, da separati, sperando in modo particolare da parte della moglie di un ritorno del marito, pur consapevole che
[…] si torna insieme. Va bene per un mese, poi ricomincia ad andare tutto male ma lo sopporti per non fare di nuovo l'inutile fatica che era costata lasciarsi. E la tua vita è rovinata.
Se il marito cerca di superare lo smarrimento interiore tra le braccia della studentessa, forte della sua posizione accademica ma assai debole e insicuro nella sfera relazionale, la moglie segue il motto "ricostruirsi una vita in 10 mosse sicure", come dettato nel manuale di due autorevoli psicologi, John Johnson e David Davidson.
Di fatto i due separati cercano di riempire un vuoto dell'anima, di cui non conoscono la capienza, per ora senza riuscirci, e così si passa al terzo e conclusivo atto, alla «resa dei conti […], non nel senso di vendetta, - precisa Paravidino - nel senso drammaturgico, i conti devono tornare, quel che s'è seminato si deve raccogliere, se c'è un fucile in scena prima della fine sparerà… quelle cose lì».
Il terzo atto, "In Europa", si svolge tra la casa della giovane ragazza, che ora «è vistosamente incinta» come indica la didascalia, e la casa della moglie del professore. Il montaggio delle scene si sviluppa sempre in dialoghi brevi, dal ritmo incalzante, come se i personaggi nelle battute finali di Exit volessero velocizzare la soluzione dei loro tormenti, liberandosi dal peso dei propri vissuti. Paravidino crea un circuito relazionale che coinvolge tutti i protagonisti, perché D ha casualmente conosciuto C, con il banale pretesto di aiutarla a portare due pesanti borse della spesa. Nasce un dialogo parzialmente formale:
Casa C.
D E lui?
C È una lei.
D No, lui, il papà.
C Non c'è.
D È solo tuo?
C Non sto con nessuno.
D Mi dispiace.
C Perché?
D Dev'essere difficile.
C Non lo so ancora.
D Be', sei coraggiosa.
C No. Lo volevo.
Il dialogo poi manifesta segni di confidenza, con punte di velata amarezza, sussulti di rabbia giovanile, rassegnazione alla solitudine.
Casa C.
D Fammi capire, tu gli hai detto: sono incinta ma voglio
tenermelo tutto per me quindi sparisci?
C No, non così.
D Meno male.
C Comunque non era una storia seria.
D Neanche secondo lui?
C No, credo di no. Stavamo bene, sì, ma neanche sempre, cioè vedevamo un sacco
di cose in un modo troppo diverso.
D A volte magari è anche il bello di un rapporto.
C Sì, perché no…? Ma vuoi metterci insieme per forza?
D No. Sono solo preoccupato. Penso a voi due da sole, penso che magari questo
ragazzo potrebbe esservi un aiuto.
C Se lo conoscessi non la penseresti così.
In parallelo si articola il dialogo tra la ex coppia, lungo un percorso segnato da passaggi tortuosi e taglienti, che, pur contenendone i presupposti, non sfocia in tensioni o schermaglie verbali.
A Mi aspettavo di trovarla molto più cambiata.
B (rientrando) Perché?
A Per rimozione.
B Che stronzo.
A Be' cosa ti aspettavi?
B Di trovarti un po' cambiato.
A Per rimozione?
B Vuoi un caffè?
A No. Grazie. Del vino?
Alla prevedibile domanda dell'uomo: «E com'è che ti sei decisa a vedermi?», Paravidino aggira il pericolo della virata melodrammatica e nasconde oppure rivela il motivo dell'incontro, in questo modo:
B Sto leggendo un libro. "Ricostruirsi la vita in 10 mosse
sicure".
A Sei proprio scema.
B L'ho fatto un po' per ridere…
A Spero bene.
B Però poi ci ho preso gusto a seguire i suoi compiti.
A E io?
B Sei il punto 9.
A Vuoi dire che sei già riuscita a seguirne otto?
B Sì, perché?
A Straordinaria costanza dell'ispirazione.
B Immagino vorrai sapere cosa dice il punto 9.
A Be', certo.
B Te lo dirò più tardi.
A Va bene.
B Comunque mi fa molto piacere vederti.
A Anche a me. Davvero.
Quando si parla dell'amante del professore, ritorna la stessa situazione di debolezza, si avverte un senso di vuota sconfitta e, in parallelo, si muovono i meccanismi di una velata gelosia:
A Adoro quando mi salvi la vita.
B E la tua ragazzina te la salva la vita?
A Ogni tanto.
B Come va con lei?
A Bene, no, bene.
B Sì?
A Sì, è una gran bella persona.
[…]
B Una bella persona?
A Sì, una gran bella persona, direi.
B E non c'è altro?
A Non stiamo più insieme.
B Ah no? Oh, mi spiace. Cioè, non so, mi spiace se spiace a te, ecco, per solidarietà,
diciamo, tutto sommato lo sai che un po' sono rimasta affezionata a te…
A Credevo che ti augurassi ogni male per me.
B Pensi che sia così brutta?
A Vendicativa.
B Be', il punto 5 del mio manuale diceva di smettere di esserlo.
A Benedetto manuale
Tuttavia la gelosia rimane soffocata, forse implode, non libera tensioni ed emozioni tipiche del dramma, nemmeno quando si arriva al fatidico nocciolo della questione sentimentale:
B Tu mi ami ancora?
A Dovrei leggere dei manuali anch'io.
B Sì?
A Probabilmente è più semplice esserti amico che amante, detto da un punto di
vista di semplice economia. Senti. Non lo so. Ma mi fa molto piacere essere
qui con te.
Probabilmente la battuta chiave di Exit compete al marito:
A Quanto male inutile che ci siamo fatti. Solo per affermare
delle personalità. Ma chi se ne frega delle nostre personalità. Tutto questo
teatrino senza pubblico.
B Vuoi altro vino?
A Non so. Sì.
Exit ha debuttato in prima nazionale il 10 maggio 2012 nel Teatro Studio del Teatro Comunale di Bolzano. La regia di Fausto Paravidino aderisce con rigore e cura certosina alle pieghe narrative del suo stesso testo, muove i personaggi come fossero pedine di una partita a scacchi, dove ogni mossa potrebbe essere quella decisiva. Soprattutto riesce a dare corpo e anima a individualità che nel copione rimangono anche ambigue, nascoste da un ricco sottotesto, che contiene in sé il groviglio dei loro percorsi di vita. Calibra il movimento degli attori disegnando geometrie sceniche perfette, piccoli gesti e sfumature delle battute sono curate al dettaglio e danno senso narrativo alla leggerezza di una commedia graffiante. Prezioso e funzionale, in merito, è l'impianto scenografico costruito da Laura Benzi, tre pareti lignee colorate e un'altra per delimitare il singolo ambiente, con pochi ed essenziali arredi domestici spostati da vista dai tecnici della compagnia e illuminati dalle luci attente e corrette di Lorenzo Carlucci. Paravidino ha scelto bene gli attori: Nicola Pannelli si dimostra sicuro nel ruolo del marito, disegna il personaggio nelle sue debolezze e nei suoi tratti comici, talvolta tra il serio e il ridicolo imbarazzo, quando a contatto con la studentessa e negli altalenanti e complessi rapporti con la moglie, affidata alle competenze di Sara Bertelà. L'attrice modula i tormenti interiori e la voglia di riscatto tutta femminile affidandosi ad un linguaggio, verbale e gestuale, assai calibrato per la sua correttezza formale. Anche lei è nella parte; così come si integrano nelle dinamiche dello spettacolo, dimostrando il possesso di un pregevole bagaglio tecnico ed espressivo, gli altri due giovani attori, Angelica Leo e Davide Lorino. La verve comica di Exit, che nulla ha di diverso da tanti frammenti di vita quotidiana di molte coppie d'oggi, conferma la maturità raggiunta da Paravidino quale scrittore e regista.
NOTE
1 Il Giorno, 14 gennaio 2001.
2 Vedi F. Paravidino, Teatro (Gabriele, 2 Fratelli, La malattia della famiglia M, Natura morta in un fosso, Genova 01, Noccioline), introduzione di F. Quadri, Milano, Ubulibri, 2002, p. 7.
3 Per la biografia completa vedi Fausto Paravidino, a cura di A. Tinterri, Perugia, Morlacchi, 2006, pp. 85-99.
4 Vedi 2 Fratelli nell'Antologia della critica, in Fausto Paravidino, cit., pp. 141-150. il testo, come gli altri cui si fa riferimento, è pubblicato in F. Paravidino, Teatro, cit., pp. 65-97, e in F. Paravidino, Due fratelli. Tragedia da camera in 53 giorni, nota introduttiva di L. Gozzi, nota finale di M. Bernardi, Bologna, Clueb, 2001.
5 Sulla funzione della voce narrante, molto ricorrente nei testi di Paravidino, vedi F. Vazzoler, "Fra lingua e scena. Note sulla drammaturgia di Fausto Paravidino", in Fausto Paravidino, cit., pp. 9-32.
6 Ringrazio l'autore per aver permesso la pubblicazione di alcuni passi di Ridere in Scandinavia. Note su "Exit" ed estratti della stessa commedia.