IL CRISTALLO, 2011 LIII 2-3 | [stampa] |
Franco Zangrilli, docente d'italianistica all'Università di New York, da molti anni collaboratore del Cristallo, ha recentemente pubblicato un saggio di oltre 200 pagine sugli aspetti conviviali nell'opera narrativa e di teatro di Luigi Pirandello, un aspetto interessante a cui il lettore generalmente non presta attenzione.
Nell'introduzione l'Autore ci dà un'ampia panoramica sociologico-letteraria dell'importanza del cibo e della bevanda nella vita, partendo dalla Bibbia per arrivare ai nostri tempi, in cui l'alimento assume un importante risvolto economico essendo passati da una società agricola ad una industriale, in cui «si consumano sempre più prodotti surgelati» e in futuro basterà una pillola per tutta la giornata come attualmente fanno gli astronauti nei loro viaggi spaziali.
Dal punto di vista storico l'Autore passa in rassegna i banchetti descritti nei poemi omerici e quelli della commedia romana fino ai tempi nostri.
Ma veniamo a Pirandello e alla sua opera. Data la molteplicità dei riferimenti e dei passi riportati, ci limiteremo a parlare di alcuni fra i più interessanti.
Di sapore boccaccesco il racconto I galletti del bottegajo in cui la moglie, cha a Pasqua sta cucinando due galletti, dice al marito (che voleva invitare gli amici), che sono stati rubati e così può mangiarseli in santa pace.
Uno dei passatempi preferiti dei personaggi pirandelliani è quello di sedersi a tavola per mangiare e bere in compagnia: «Volle per forza che rimanesse a desinare con loro. E quanto lo fece mangiare, e quanto bere! Si levò ebbro più di gioia che di vino. Quando fu la sera però, appena giunto a casa, Marco Picotti si sentì male.»
L'esperienza conviviale, dice il critico: «le cui pietanze vengono elencate nei minimi particolari... si presenta come allegoria dei godimenti di gola.» Godimenti che fanno diventare obesi e insieme allegri: «Qui sta d'incanto! - esclamò, levandosi insieme con gli altri e prendendosi il ventre con le mani, soddisfatto, satollo.»
Non solo il cibo, anche la bevanda, il vino, entra in questi banchetti: «Voi, don Diego, non bevete? Domandò Titta. Grazie, prima del pasto mai, - si scusò l'ospite timidamente. - Eh via, per aprir l'appetito, - gli suggerì Nicola, dandogli in mano il bicchiere...» Quest'abitudine di trovarsi a banchettare rientra nelle abitudini siciliane e in genere meridionali dove la buona cucina si unisce alla spontanea tendenza di stare assieme rafforzando l'amicizia. Osserva il critico: «L'immagine del cibo, come si è visto, si rappresenta con ossessione», ad esso si accosta l'immagine del maiale a cui si avvicina una moltitudine di obesi che gli assomigliano nell'aspetto, ed ecco il contrasto tipicamente pirandelliano: «Quando lei mangia con bello appetito che Dio lo conservi sempre, per chi mangia lei? Mangia per sé, non ingrassa mica per gli altri. Il porco, invece, crede di mangiare per sé e ingrassa per gli altri.»
Lo scrittore non manca di descrivere il rito della macellazione che aveva nel popolo un carattere sacro d'immolazione. Un ritratto tra il serio e il faceto di tante abitudini popolari.
Bere, per chi è in fin di vita e va all'osteria per «cogliere la vita più vera e più reale, è un modo di esorcizzare la morte e di illudersi di vivere ancora. Il vino - osserva il critico - sembra una sostanza che porta all'intensità dei sentimenti e delle idee», che induce a meditazioni metafisiche in gente comune.
Il banchetto reale diventa per Pirandello il banchetto della vita al quale si accostano disadatti, sofferenti o mancanti di qualcosa che disperatamente cercano. Ciò rientra nella visione pessimistica o agnostica della vita propria dell'Autore.
Non si deve credere che, nella regione da cui Pirandello ha tratto gli spunti per i suoi racconti e i drammi, vi siano episodi che riguardano solo il godimento di lauti pranzi, vi è anche la fame e la miseria le cui vittime sono soprattutto i trovatelli e i bambini piccoli. Con amara ironia osserva Pirandello: «Questi strilli suscitano misericordia e compassione nei cuori dei vicini di casa che gli augurano una morte immediata...» I preti secondo lo scrittore non si curano molto di questi problemi; amano la pace e la tranquillità e avere cibo sufficiente.
Rileva Zangrilli a conclusione di questa particolare trattazione dell'arte pirandelliana che egli fu «il maestro capostipite di tanti argomenti e motivi della letteratura contemporanea... e che è plausibile che diversi scrittori abbiano sentito il suo influsso quando trattano il motivo del cibo, come una componente... della favola della vita.»