IL CRISTALLO, 2011 LIII 1 | [stampa] |
Nell'avvicinarsi alla poesia di Alma Borgini si avverte un qualcosa d'indefinito che "spaura" nel senso che siamo di fronte a contenuti profondi e grandi nella loro enunciazione. Ho provato una iniziale emozione che mi ha accompagnato nella lettura del testo senza un minimo calo d'impegno e di stile. E una realtà dove il quotidiano diviene universale. Nei versi di Alma c'è un nutrimento di assoluto e la mente del lettore si smaga da lei. I concetti sono ampi, pieni di calore e di colore e in punta di piedi percorriamo il cammino della sofferenza ma anche quello della speranza. Accostamenti spontanei e raffinati che coinvolgono: "una notte soltanto di questo autunno/ instabile come il tempo in cui viviamo/ ed ecco l'irreale/ cerchio di luce del lampione/ investe luccicanti di pioggia foglie gialle/ profuse sul selciato/ splendenti quasi rese di vita/ dal loro abbandonarsi al suolo. "Sono presenti i ricordi, la ribellione di un animo indomito e questo continuo esame in sé negli altri. Bisogno irrefrenabile di dolcezze in anime amiche e sempre presente in lei il dettato evangelico: fate come i fiori di campo e gli uccelli del cielo, ad ogni giorno basta il suo male". L'amore considerato come bisogno di completezza nell'altro, spesso delude ma può essere sostituito dall'amore universale che solamente da e nulla chiede. Il suo essere profondamente donna che si avvinghia alla natura: un tronco d'albero cinto con le sue braccia. E poesia dell'autunno col rosso delle foglie che "le fanno una veste di sangue". Lei accetta la sua croce ma lotta. Da una parte la generosa natura con i suoi frutti e i suoi aromi e se i frutti si ammaccano cadendo non importa perché lei per sopravvivere non ne riconosce il ricordo e cerca solo di correre prima del buio. In alto immobile la luna, in basso i gerani (elemento ricorrente nella sua poesia) e il lavatoio che tace. Cosa la sorregge? "si chiude la finestra, è già ricordo/ e scrive- cosa altro è poesia/ se non guardare con cuore attento?" La vita scorre impietosa con la sua lentezza, le sue ingiustizie e la mancanza di parole, anche una soltanto per lei. Si sente oppressa fra realtà e follia come le molte donne inquiete che vagano fuori dai cancelli dei manicomi "con i capelli sciolti come uscite/ allora dalla madre terra". Ricordi e mancanza di quel fremore d'erba "dello scrosciare d'acqua a notte del lavatoio di pietra" e il ricorrente geranio rosso. Simbolo forse di ardore ma anche di semplicità perché lei ha sempre agognato alle gioie familiari crudelmente a lei negate. Tutto questo pensare, immergersi nella natura che non tradisce, la spinge verso una ricerca metafisica. Nel pensiero costante della morte, la rinascita "nella luce della consapevolezza". "Il vivere la morte/ dipende da come vivi la vita". Si snodano, nel proseguire del testo, le pagine sulla meditazione. L'acquisizione di una nuova saggezza attraverso l'abbandono, porta all'assoluto. La lettura prosegue tra immagini e contenuti di suggestiva bellezza in uno stile che non conosce cadute "e vedrai anche nella sofferenza/ la bellezza". Alma ha sempre ricercato la perfezione in sé e al di fuori di sé ma la perfezione non esiste se non in noi e nel mistero annientarsi, fare un vuoto per poi nuovamente riempirlo attraverso la solitudine e la privazione totale di immagini, alla ricerca di dio senza volerlo qualificare. Il vangelo ci dice che dal seme che muore rinasce la vita: "mentre io vivo so che gli altri stanno morendo/ mentre muoio è dolce sapere/ che nasce la vita". In questo splendido libro c'è spazio anche per le favole: - La favola del fiume- (da tich Nan than), raffigurazione dolcissima e magica. Il procedere di Alma attraverso la meditazione illumina il lettore che accoglie la sua testimonianza e comprende il suo intento di attribuire un significato alla sofferenza umana. E come un andare e riandare nelle onde dei ricordi: la madre, le pesche polpose "bianche striate di rosso odorose/ dalla lanugine lieve come vagina/ di adolescente..." Dal ricordo, alla realtà presente: la chemio ha ucciso i sapori; lei li fa rivivere con la forza della parola "che crea/ amalgama fra vita e morte". Cosa se non il continuo ricordare dà ancora sensazione di vita e quella presenza dell'oltre nel "disordine di cieli e di venti/ intorno alla mia terrazza sospesa/ per spiccare da qui il mio ultimo volo". Poi la speranza ma anche la paura: "In alto non so se qualcuno mi aspetta". Non ha alcuna certezza se non il suo meditare, il suo voler fare "avere per forza un compito un interesse, una meta". Potrei concludere dicendo che il testo di Alma è un inno al dolore ma, al contempo, alla vita e il suo indomito coraggio le fa rivivere l'attesa, l'odore di ospedale: (nel sangue non nell'olfatto).
Alma ha amato ed ama la vita in una dimensione resa immortale dalla sofferenza e dalla forza della parola che dal suo cuore di rosso geranio è scaturita.