IL CRISTALLO, 2011 LIII 1 | [stampa] |
Sostenuta da una ricca documentazione - 195 fra telegrammi, lettere e biglietti vari - Francesca Simoncini porta alla luce di Eleonora Duse un aspetto finora considerato marginalmente dalla storiografia ma di fatto basilare per capire le caratteristiche artistiche dell'attrice: l'esercizio del capocomicato, senza il quale "non sarebbe esistita nemmeno la grande attrice" scrive la studiosa nel prezioso volume Eleonora Duse capocomica (Firenze, Le Lettere, 2011). calata nel teatro italiano di inizio Novecento, l'esperienza della "divina" risultò difficile, insidiosa, contraddittoria, sospesa tra la tradizione che ruotava intorno al Grande Attore e al capocomico e le spinte al rinnovamento per allineare la pratica teatrale nazionale alle novità della scena europea, dominata dalla figura del regista. La Duse si dimostrò abile donna d'affari, dotata di moderni strumenti manageriali che le garantirono una gestione attenta e rigorosa delle compagnie da un punto di vista promozionale e soprattutto economico. Le lettere scritte a Ettore Mozzanti e all'attore Luigi Rasi, che la Simoncini analizza con la dovuta precisione metodologica, rivelano il volto di una donna tenace e assai risoluta. Il percorso della Duse attrice e capocomica si mosse quindi in senso parallelo e in modo bifronte: da un lato si concentrò su un repertorio moderno e di rinnovamento trasferendo sul palcoscenico le commedie di marco Praga, Gabriele D'Annunzio e Henrik Ibsen, dall'altro lato ripropose gli schemi tradizionali nella cura degli attori e delle compagnie. Lo suggeriscono le pagine dei diari scritte da personaggi molto vicini alla Duse, quali Teresa Normanni, moglie di Luigi Rasi, Guido Noccioli, attore scritturato per la tournée americana del 1907, e Ciro Galvani, altro attore presente con una certa costanza nel nucleo di base della compagnia. raccontano di prove lunghe e accurate, durante le quali gesti e intonazioni venivano impostati dalla Duse stessa con una certa autorevolezza. "si trattava - spiega la Simoncini - di vere e proprie prove 'scannate', isolate dal contesto generale della trama e del concerto scenico e volute per imporre una più profonda messa a fuoco dei singoli gesti e di particolari inflessioni della voce". Assunse inoltre le funzioni del drammaturgo, sottopose il testo a letture approfondite, cercò di sviluppare un dialogo 'ravvicinato' dell'attore con il personaggio che diventata via via un corpo vivente da costruire attraverso un'operazione di contatto che legasse la sua tipologia fisiologica con le caratteristiche dell'attore. Questo provocò nella Duse tormenti e difficoltà artistiche non trascurabili, che in un certo senso parafrasavano la volontà di superare lo stile istrionico e narcisista del Grande Attore. Per esempio, a proposito di Francesca da Rimini, così scrisse a Gabriele D'Annunzio: "Per entrare in Francesca, io non ho per me né l'esteriore di giovinezza - forza suprema, e giustamente così tenuta al di sopra di tutto in te, né, forse, la forza fisica di sostenere, trasmettere fedelmente, volando - cinque atti di forza. Questo, io sento, con dolore grande... più vedo sorgere, e sorgere, e andar verso cieli lei, Francesca".
Il saggio della Simoncini, in definitiva, ci restituisce l'immagine di una donna di straordinario talento tanto sul palcoscenico nei panni dell'attrice quanto dietro le quinte quando impegnata in faccende organizzative, che andavano dalla pianificazione delle tournée ai problemi di cassetta, alla conoscenza delle piazze teatrali italiani e straniere per assecondare i gusti del pubblico. ma quello che maggiormente attraversa l'esperienza di Eleonora Duse capocomica risulta il senso di solitudine umana e anche professionale che accompagnò come un'ombra la luminosa carriera della "Divina".