IL CRISTALLO, 2011 LIII 1 | [stampa] |
Marco Pola, il poeta certamente più rappresentativo del trentino, alla cui poesia si interessò ripetutamente la critica sia militante che accademica, ha pubblicato nel 1974 un'antologia dal titolo "cento poesie scelte" dal 1936 al 1974, edita da Scheiwiller, che reca in appendice i saggi di Armando Balduino, Ferdinando Bandini e Andrea Zanzotto. Si tratta di una raccolta di poesie dalle lucide immagini, in cui il gusto dell'evocazione assorta del paesaggio si alterna a prese di coscienza realistica, attraversate da un humor ironico-sorridente. Vi trascorre ancora l'immagine palazzeschiana dell'enfant terrible, come questa: "Le mie mani irrequiete/ tormentavano le erbe grasse ondulanti/ col piacere del bimbo delinquente/ che strozza le libellule."
Le poesie compaiono inserite - come osserva Zanzotto - nella cultura poetica della Firenze di quel tempo, dominata dal magistero di Papini e soffici nel "monolinguismo nazional-toscano".
Segue poi, nel cammino poetico di Pola, un lungo periodo di silenzio e solo nel 1956 (erano trascorsi gli anni della guerra e della ricostruzione) compare la silloge "Quando l'aquila vola", che arricchisce la materia poetica di contenuti e motivi derivanti da una più assidua frequentazione della memoria: "Non conosco altro mondo/ che quello del ricordo/ questo dolcissimo bimbo/ dai terribili occhi".
A tre anni di distanza, nel 1959, segue "Il Porto lucente" che non solo nel titolo, ma anche nella disposizione del verso breve, nell'uso delle metafore sostitutive delle similitudini, ci richiama la lezione di Ungaretti di "Porto sepolto". In questa raccolta l'attenzione viene subito richiamata da una poesia di particolare novità e bellezza, in cui si compendiano, in un mirabile equilibrio quelle due componenti che sono le costanti della poesia di Pola: il sentimento incantato della natura, la sua contemplazione sognante e assorta e l'atteggiamento ironico-sorridente che increspa, movimenta, rende più duttile e varia la materia poetica-ironia che però non annulla alla guisa romantica (si pensi a Heine) il prodotto della fantasia perché anzi di essa è l'espressione: "Margherita ballò tutta la vita/ e ballava per un sogno. / Le chitarre al suo ballo si scioglievano/ in zampilli di musica/ tanto lontana ahimè/ che nessuno la sentiva/ se non dentro di sé, / Margherita dagli occhi di tempesta. / Quando partii soldato/ la trovai nel tascapane, / nelle brande di tutte le caserme, / sfidava l'ira cieca dei caporali". Margherita pur nella concretezza dei dati diventa figura universale della donna consolatrice nei momenti di angoscia e di paura (si pensi a proposito di questo concetto alle odi del Foscolo) la figura ideale in cui si rifugia il pensiero dell'uomo, nella fattispecie del soldato. Pur non essendo la produzione poetica di Marco Pola ancorata agli eventi della storia, questa composizione sembra trovare una collocazione temporale nell'ultimo conflitto mondiale, come questa dove il riferimento è più preciso nella grandiosa immagine dei soldati che controvoglia camminano incontro alla morte. "I soldati avanzavano senza voglia di sparare/ ciascuno aveva la morte per insegna. / Erano grandi ed infelici/ come il bosco che d'autunno sanguina. / Qualcuno rovesciò la testa, / la sua giovinezza scopriva cieli lontani."
A distanza di alcuni anni seguono altre tre raccolte: "Il vento e cento altre parole" (1962), "Giorni pensosi affluenti" (1966) l'antologia "L'urogallo altrove" (1971), raccolte modulate sullo stesso registro poetico ma con nuova ricchezza di motivi tratti da una fantasia vigorosa che non ama accentuare i contenuti tematici ma risolverli nel modulo sfumato e aereo della forma che li livella.
Per questa ragione soprattutto non è possibile effettuare un'indagine tematica della poesia di Marco Pola né ricostruire la sua vita d'uomo, giacché osserva Balduino: "ad assorbire lo spazio non sono gli eventi storici e neppure le condizioni di vita cronachisticamente misurabili, quanto piuttosto stati d'animo, meditazioni, risonanze psichico-affettive...
Marco Pola appartiene senz'altro a quella schiera di poeti, - rileva Balduino - attratti dagli eterni problemi del destino umano, tesi in definitiva dell'auscultazione della propria anima e affascinati pur sempre della ricerca di quel tanto di inesprimibile che essa lascia intendere nelle sue pieghe segrete", e non a quelle dei poeti profondamente immersi nel loro tempo, inserendosi perciò, quale poeta squisitamente lirico, più nella scia della poesia petrarchesca che in quella dantesca.
Solitario creatore della sua poesia, come si distanzia e si apparta dalla storia, così neppure si allinea alle mode letterarie che nel quarantennio della sua attività poetica si sono susseguite con alterna fortuna; egli ama proseguire da solo nella sua ricerca espressiva che è quella di un linguaggio aristocratico, caratterizzato da un tono medio e vario, modulato sui registri dell'idillio e talora dell'elegia, aderente alla perenne freschezza dell'ispirazione.
Talvolta però da questa direttrice si discosta, creando componimenti che si segnalano per novità di dettato in cui contemplazione e arguzia intellettuale, estasi lirica e osservazione realistica si congiungono con esiti di questo tipo: "Freschezza di mille avvenimenti/ barca piena di stelle/ un cesto d'anguille che dondola nel vento/ sospeso nel torpore della luna/ da questo idillio fino all'infinito/ segreto dei pontoni/ serali iridescenti/ sul volto di ridenti marinai."
Dal 1963 al 1974 escono ben nove raccolte di poesie dialettali. La domanda che ci si pone è la seguente: perché Marco Pola è passato dalla poesia in lingua italiana a quella dialettale, seguendo l'esempio di un altro poeta, lucano, Albino Pierro? Ecco quanto scrive Zanzotto: "Il contatto con il dialetto, quasi per l'irrompere di una forza segreta, rappresenta dunque in Pola una volontà di vie d'uscita nuove, la rivalsa della terra madre e della sua imperiosa e cara parola sotterranea, nel venir meno del polo alternativo ed alto cui egli si era sempre riferito." Lasciando l'Olimpo della sua poesia in lingua, il poeta ha riallacciato dunque un legame con la sua gente rievocando ai suoi occhi tradizioni, costumanze, dando voce a un canto corale, giacché egli interpreta ed esprime i modi di sentire e di vedere le cose proprie della sua gente, anche se purificati dalla superiore sensibilità dell'artista. Non ci dilungheremo su questo pur interessante aspetto dell'attività creativa del poeta trentino, dato che l'ambito di questa esposizione riguarda la poesia in lingua. Quando già sembrava che il poeta l'avesse abbandonata per prediligere il dialetto come mezzo espressivo, ecco ricomparire una nuova silloge in lingua questa volta a carattere tematico, dal titolo "Uccelli". Nella prefazione Pierre Jouvet rileva come gli uccelli siano stati argomento di poesia e motivo d'ispirazione onnipresente nella letteratura di tutti i tempi e di tutti i paesi da Apollinaire a Keats a Neruda a Pasternak ai nostri Leopardi e Pascoli. Anche Pola nel suo mondo lirico non poteva dimenticare queste ineffabili creature ed egli, infatti, li ritrae secondo il modulo lirico a lui caro tra lo stupore e l'arguzia. Pola non ne fa una descrizione generica ma si sofferma a descrivere i singoli uccelli nelle caratteristiche esteriori e nelle abitudini, dal cardellino al picchio all'aquila fino all'uccello meccanico, prodotto senza vita della tecnica: "Ali di plastica, becco di lamiera, cuore di piombo, zampe di ferraglia".
Ma sentiamo questa poesia dedicata alla cicogna: "Chi ha visto la cicogna/ posarsi lentamente/ sul tetto? Chi l'ha vista? / Pareva quasi un angelo volante, / bianco come una nuvola; / passò nel cielo, stanco/ del lungo volo e quando vide il tetto/ con la ruota del carro sul comignolo, / planò come un aereo e si posò... / Chi ha visto la cicogna? Chi l'ha vista/ sul tetto appollaiarsi nella sera, / nascondendosi il becco tra le penne?"
Anche nell'ultima produzione la vena inesauribile di Marco Pola si mostra capace di creare immagini grandiose e suggestive, frutto di una trepidazione che è avvenuta nell'anima a contatto con il multiforme dispiegarsi della natura.
La sua poesia per l'universalità dei contenuti, che si sottraggono al mutamento del tempo, per la forma sobria e ricercata, elegante e moderna senza violenze espressive, è certamente destinata a lasciare una traccia non solo nel panorama letterario della nostra regione ma della letteratura nazionale, come dimostrano d'altronde gli interventi avuti ad opera della critica più qualificata ed autorevole.
NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Marco Pola è nato a Roncegno in Valsugana il 29 agosto 1906 ed è vissuto a Trento. Ha pubblicato volumi di poesia in lingua italiana e in dialetto; tra i primi ricordiamo: "Il gallo sul campanile"; "Poesie", "Quando l'angelo vuole", "Il porto lucente", "Il vento e cento altre parole", "Giorni pensosi affluenti", "Uccelli".