IL CRISTALLO, 2010 LII 2-3 | [stampa] |
Pur se in italiano di Hadot (scomparso poco meno di due anni fa) sono state tradotte varie opere, ciò non vale-ancora-per questa sua opera, che raccoglie scritti diversi, su "Exercices spirituels" (con il rapporto finalmente individuato senza retorica tra le tradizioni antiche dei filosofi e la "filosofia cristiana", dove naturalmente il termine si dovrebbe porre al plurale, ma un "fil rouge" esiste in quei pensatori, della Patristica e della Mistica, che non sono etichettabili tout court come "platonici" o "aristotelici"), su Socrate, su Marco Aurelio, sul concetto di conversione, anche qui fuori da un approccio "religioso-apologetico" e dalla conseguente speculazione "pubblicitaria", sulla teologia negativa, sulla storia del pensiero ellenistico e romano (lezione inaugurale del 18 febbraio 1983 al Collège de France), sulla "philosophie comme manière de vivre" e sul rapporto, amichevole quanto frammisto di fraintendimenti e di non frequentazioni, di non chiarimenti, con il pensatore che chi scrive ritiene il vero "uomo pensante del tardo Novecento", ossia Michel Foucault. Ancora saggi sull'etica, sul rapporto tra filosofi e professori di filosofia (già Max Scheler, giustamente, rilevava la pletora di questi ultimi, in rapporto alla scarsità dei primi... ), sull'etica, sulla filosofia come lusso, come un di più (esemplificazione banale quanto non vera nel proverbio italiano: "La filosofia è quella scienza la quale, con la quale o senza la quale uno resta tale e quale"). Hadot, storico della filosofia antica e anche moderna (illuminante il suo saggio sul rapporto MicheletMarco Aurelio e le osservazioni su David Henry Thoreau, ma non solo, i raffronti con Kierkegaard, Nietzsche, Jaspers, Heidegger anche in questo volume) quanto filosofo (virtù rara, in questo abbinamento, lo si trova, in Italia nel Secondo Novecento, direi solo in Eugenio Garin e in pochissimi altri) vuole una filosofia, quale soprattutto quelle antica e in parte medievale, capace di servire a vivere, all'approfondimento del "soin de soi" (cura di sé, tratto che lo accomuna appunto, ma nelle differenze, al citato Foucault), che aiuti a riflettere sulla vita e quindi però anche vivere, una "linea di marcia" persa sostanzialmente con e nel tecnicismo di tante opere di filosofi moderni-sovente anche mal scritte, aggiungerebbe quel Harry-Heinrich Heine, poeta/scrittore/pensatore e ribelle ebreo-tedesco che con la filosofia classica tedesca ma anche con i suoi contemporanei francesi si confrontò nel 1800. talora sembra di risentire, pur nelle pagine dello studioso e specialista (alieno però dal gergo "filosofante") il vigore polemico e vibrante del primo Jean-François Revel in quel "Pourquoi des philosophes?", opera dei tardi anni Cinquanta dello scorso secolo, arricchita, nella versione italiana (un caso? No, tutto "ritorna", ma appunto non a caso... ) da Eugenio Garin... Un'opera, questa di Hadot, che si legge comunque con profitto, purché di filosofia antica non si sia del tutto digiuni, aliena da specialismi e tecnicismi, da improponibili dissertazioni su quanto della filosofia antica, medievale, moderna è invece "morto", per usare una non sempre felice definizione di Benedetto Croce su Hegel. Con Hadot non troverete metodi "buoni per tutto" da guru, maestri più o meno yoga magari all'occidentale, ma un approccio vero alla psicologia dell'ascolto, del dialogo, senza dover leggere tutto Carl Rogers et similia... E demistificando (in Italia l'ha fatto da par suo, ma seguendo altre vie, Guido Pesci, in "Il tavolo di cristallo", Roma, Ma. Gi, 2008) quel mostro sacro del dialogo che è, secondo Platone e Senofonte ma anche altri, Socrate.