IL CRISTALLO, 2009 LI 2-3 | [stampa] |
Lo storico del pensiero politico e/storico in generale, che consideri l'anarchismo uguale a Stirner, Bakunin, Kropotkin, Muehsam, Landauer, Berkman, Goldmann, Fabbri, Reclus, Malatesta etc. dovrà ricredersi: l'ottica "papiana" (non papista, ma non vorrei divertirmi troppo con giochi di parole, sapendo comunque di non riuscire a divertire il lettore), in quanto con Thomas Kuhn, ma anche con F. Capra (faccio solo due nomi, ma Prigogyne, quantomeno, dovrei aggiungerlo, per la sua teorica matematica del caos e delle catastrofi, teoria matematica che ha messo in crisi la matematica, anzi i matematici, quelli del 2+2=4, ovvero del "quod erat demonstrandum" dei teoremi: salta insomma la certezza, la sicurezza di una teoria "certa", che notoriamente veniva identificata con il modello di scienza "more geometrico demonstrata", -faccio il richiamo, in quanto vi si riferisce l'autore, che giù in altre opere- "La nuova sovversione ovvero la rivoluzione delegittimante", 1985 e "Tra ordine e caos", 1998- aveva messo fortemente in crisi le "idee" ricevute di anarchia e anarchismo. Rimane peraltro, l'idea di rivoluzione, ma nel senso globale e culturale (certo non la "rivoluzione culturale" cinese-maoista, ovviamente!), senza le connotazioni che poi storicamente il lemma ha assunto-assume; si tratta, appunto, di un cambio di paradigma e di prospettiva (che del resto già nelle opere precedenti era già non solo ventilato ma concretamente prospettato, ma qui avviene uno "scarto", un cambio di direzione "altro" rispetto al già dato e al ricevuto), che si servirebbe - Papi, che rimane giustamente legato all'utopia, altrettanto giustamente la relativizza, in quanto non fattibile a breve distanza di tempo - di un'antiviolenza, non di violenza gratuita né di una violenza che non si sa bene che cosa sia, pur se era stata più volte teorizzata. In altri termini, dice Papi, non è che la violenza vada negata assolutamente (ma un ricorso estremo alla violenza non era esclusa neppure nell'ottica gandhiana, certo come "ultima ratio") ma sicuramente si può respingerla come funzionale al potere, anzi ai poteri. Recependo in pieno la lezione di Foucault, Papi si rende cioè conto che esiste una "fisica" (micro e macro, diremo) dei poteri, conflittuali tra loro, che si combattono, si intralciano (pensiamo all'attualità, ma relativa, in quanto perdura da anni, dei conflitti tra potere esecutivo e giudiziario, soprattutto), dove per il libertario diventa un'occasione sfruttare le faglie, gli intorcigliamenti relativi che mettono in scacco anche al loro interno i poteri citati. Da leggere con estrema attenzione, centellinando la lettura (ove possibile) per "assaporarla", al di là del fatto che si condivida o meno la prospettiva di Papi (chi scrive si pone politicamente altrove, anzi meglio in un pessimismo politico post-leopardiano, pur se apprezza la nobiltà assoluta degli intenti) e gustandola, con tutti i debiti distinguo del caso. Certo non appaiono credibili le presunte contraddizioni rilevate nella postfazione da Giampietro Berti, dove forse varrebbe un gentile ma deciso "return to sender"... Un testo importante, migliaia di bilioni di anni luce lontano da un Emile Henry ("propaganda dell'atto" e simili) e da altri pensatori del 1800, come da tutta la "old shit" (l'espressione, invero volgare, è di Karl Marx, anzi del migliore Marx) di circa due secoli fa. Se ciò vale, insomma, per il marxismo (ma vale...? In che misura?), vale idem e forse a fortiori per l'anarchismo, dove vale la pena di sottolineare, per libertari non anarchici che si rifanno a Salvermini e Gobetti, a Rosselli e Berneri (un anarchico, ma "al limite", diciamo così), ma magari anche a Calamandrei, il grande costituzionalista e "padre costituente", anche a Ernesto Rossi (che ultimamente sembra appannaggio del solo Partito Radicale pannelliano), a Proudhon come a Cattaneocito quasi solo autori italiani, forse più familiari al lettore - cercando di innovare però in specie l'inveramento del loro pensiero, come Papi abbia il grande merito di sottolineare la netta differenza tra libertà e liberazione (libertà è una datità mai raggiunta-raggiungibile, un "fantasma" per i surrealisti, che pure tanto la amavano, tanto che ciò viene emblematizzato in un film di Bunuel, liberazione un processo continuo, una ricerca mai completata, un work in progress "in-finito"), aprendo spazi e varchi impensati sia alla riflessione sia alla prassi politico-sociale.