IL CRISTALLO, 2009 LI 1 | [stampa] |
Vincenzo Arnone, nato nel 1945 a Favara in provincia di Agrigento, da molti anni vive ed è parroco di Pontassieve, un piccolo paese nei dintorni di Firenze. Oltre alla vocazione della fede religiosa, coltiva la passione per la letteratura, pubblicando articoli e interventi su giornali e su interviste specialistiche, saggi critici su importanti scrittori contemporanei, e libri di narrativa.
Con Romanzo toscano dà luce a un'opera narrativa difficile classificare. Forse si potrebbe considerare una sorta d'opera aperta in cui confluiscono tante cose e, seguendo il suggerimento del titolo, un romanzo postmoderno che prende parecchie pieghe, storico, saggistico, cronachistico, persino pregno della materia autobiografica.
Come certi romanzi postmoderni, si affida agli sperimentalismi rappresentativi e formali. Si serve di un linguaggio che s'imposta sulla mimesi di quello medievale e rinascimentale, ora arcaico, ora latineggiante, ora popolaresco; che nonostante l'abilità di accendersi di barocchismo, gradatamente cede a quello della scrittura chiara e trasparente; che mostra un autore teso a imbastire strategie pluristilistiche che fanno sentire sapori e toni dialettali (cfr. ad es. p. 72-73). È composto di quarantaquattro capitoli, oltre al prologo e all'epilogo. I capitoli sembrano avere il taglio, lo schema, e l'andamento del racconto breve, essere veri e propri racconti (ni) a se stanti, eppure fortemente legati da assai motivi, specialmente religiosi, filosofici, sociologici, da una coloratissima ambientazione del mondo toscano, dall'azione di certi personaggi che si lasciano e si riprendono con una certa disinvoltura. Questi capitoli-racconti, narrati in prima e in terza persona, abbracciano un periodo di tempo che va dal Medioevo ai nostri giorni. Nel loro spazio diegetico frequentemente accolgono altri generi letterari, inclusi l'epistola, il poemetto, il frammento, onde, come in tanti romanzi postmoderni, si sfrutta al massimo la tecnica del citazionismo, tanto che certi capitoli sono esclusivamente realizzati con citazioni di passaggi di opere letterarie di varia natura, in essi frequentemente si citano i lavori di parecchi scrittori e poeti della letteratura nostrana, da Dante a D'Annunzio, da Pirandello a Pavese, e scrittori stranieri, incluso Jorge Luis Borges. Ci sono dei capitoli-racconti che si costruiscono sui moduli del pastiche, di cui è esemplare quello che rifà l'antologia di Spoon river di Edgar Lee Master, ma in versi che dal regno della morte fanno balzare vivi personaggi letterari che raccontano con brio il tempo perduto, la loro passata esperienza artistica e umana, da Giorgio Saviane a Vasco Pratolini, da Geno Pampaloni a Mario Luzi ad Oriana Fallaci. Ci sono capitoli-racconti che indugiano sul profilo biografico, come quello che fa il ritratto di Giorgio La Pira; sulla ricostruzione più o meno inventiva di fatti storici, come quelli dedicati alle tragiche vicende della seconda guerra mondiale; sulla rivisitazione di personaggi popolari, vagabondi, bricconi, come quelli che presentano l'archetipo del picaro che ama il divertimento nelle bettole, mangiare e bere con una lieta brigata, dando l'opportunità all'autore di descrive ricette, pietanze, piatti, tutta una ricca tradizione culinaria-gastronomica della toscana. Ci sono quelli che trasportano nel mondo della favola a cominciare dalla loro apertura che annulla ogni dimensione del tempo-spazio: "C'era una volta" (p. 84), "Ci fu un tempo" (p. 123), "C'era l'anno del Signore" (p. 145).
Romanzo toscano è un'opera polisemia e corale popolata di un'infinita galleria di personaggi di strati diversi della società, dalle classi alti a quelle popolari, sono personaggi della vita reale, ripresi dalla storia e dalla cronaca, trasformati e ricreati con vena sensibile e con giochi romanzeschi, quasi tutti strani, bizzarri, grotteschi; a questi fanno da contraltare e si mescolano con intrecci variopinti, tanto che tutto sfocia nel comico esilarante, quelli del mondo intellettual-letterario (Lorenzo dei Medici, Marsilio Ficino, Michelangelo Buonarroti, ecc. ) che sono colti nei loro ripiegamenti, tormenti, attivismi, come Dante Alighieri, Marsilio Ficino, Giorgio La Pira, anche se sono collocati nella dimensione favolosa.
Tuttavia il vero protagonista di Romanzo toscano è Firenze e suoi luoghi limitrofi, borghi, rioni, paesini, con tutta la sua gente (popolani che si elevano anche a narratori di burle, di facezie, di motti; religiosi che maggiormente vivono con fervore la loro fede e missione evangelica; artisti di ogni età e di ogni campo che si dedicano con ardore alla loro arte tanto da ignorare le persone più care e da risultare prigionieri di ossessioni inquietanti, egocentrici ed egoisti, come mostrano le missive che Galileo Galilei invia alla figlia fattasi suora: "sono impegnato nello stendere il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" p. 55; politici che non sempre si mettono al servizio dei deboli, ecc. ) e con tutta la sua storia. Ma Arnone, come tanti scrittori postmoderni, si avvale della storia del passato per alludere e per rappresentare il presente. La Firenze decadente, "corrotta e disonesta" di ieri metaforizza quella di oggi ("Dante Alighieri avrebbe firmato un manifesto contro il degrado della sua città" p. 93 e cfr. p. 20). In certi passaggi si enfatizzano fatti ed eventi che giornalmente dominano l'informazione mediatica: "or noi sentiamo dire che genitori ammazzano figli, che figli disprezzano i genitori, che vecchi e ammalati vengono abbandonati… e si dan tutti alla pazza gioia" p. 54). I problemi, le crisi, ed i mali della Firenze di oggi simbolizzano quelli delle grandi metropoli del nostro pianeta, come si nota anche quando l'addolorato Dante Alighieri racconta la sua vicende di esule: "Oh! Non è per invettive ch'l core mio s'apre, ma per tristezza grande e commozione immensa nel veder sì bassa la virtù ne la città che diedemi i natali" (p. 14). La presenza della storia si fa drammatica, grazie anche ai procedimenti di ironia multiforme. E si fa sentire anche quando Firenze viene personificata ("essa dorme" p. 8; "Fiorenza, ebber piacere di gittarmi fuori dal suo dolce seno" p. 13) al punto che l'io narrante (che tante volte vuol essere un'immagine distorta dell'autore) interroga in modo inquietante il lettore per farsi delucidare misteriose condizioni esistenziali, dubbi, incertezze, problemi, e cose che la mente umana forse non potrà mai capire, come quelle che hanno a che fare con il mistero della trascendenza, della fede, della morte. Una città descritta con andamenti di marcato realismo (come la Firenze dell'immediato dopoguerra) che di solito la portano a simboleggiare uno spazio cittadino odierno invivibile ("I rincari esagerati e spaventosi anche delle cose di primaria necessità, gli aggravi fiscali continui, le difficoltà sempre crescenti nella vita di ogni ognuno, portano a una demoralizzazione tale, che la maggioranza della popolazione perde la fede e vive senza Dio" p. 69), e che la immettono su dimensioni surreali, come mostra un episodio di un funerale che diventa una festa allietata anche dalla narrazione di gaie facezie.
Firenze appare una città con centomila volti ("borghese, scettica, sorniona, immanentista, materialistica" p. 64), anche con quelli contradditori, cangiante e stabile, enigmatica e trasparente, felice ed infelice, e tutti efficaci nel far trasparire il temperamento etico-religioso dell'autore, il quale in momento di scoramento si rivolge a
un lettore ideale e comprensivo (pp. 128 -129) e in certi momenti l'escamotage appellativo serve a mettere in moto discorsi intertestuali, autoreferenziali, e metanarrativi, come si nota anche nel finale a sorpresa articolato dallo stile analogico vergato da un pizzico di ironia scherzosa:
Se la disposizione dei fatti è riuscita scritta bene e ben composta, era quello che volevo; se invece è riuscita di poco valore e mediocre, questo solo ho potuto fare. Come il bere solo vino e anche il bere solo acqua è dannoso e viceversa come il vino mescolato con acqua è amabile e procura un delizioso piacere, così l'arte di ben disporre l'argomento delizia gli orecchi di coloro a cui capita di leggere la composizione. E qui sta la fine. Rubacchiando da Libro Secondo dei Maccabei, nell'ora in cui l'autore sacro pone fine alla sua fatica. (p. 154)
Come per scrittori toscani e non toscani, anche per il siculo Arnone Firenze rimane sostanzialmente il simbolo di una geografia spirituale, di una "città sul monte" con un passato glorioso, che ha fatto sognare e creare i miti e i giusti più raffinati "nelle tradizioni" artistiche, religiose, ed economiche (p. 149).