IL CRISTALLO, 1959 I 2 | [stampa] |
È il primo romanzo di un giovane scrittore californiano del quale anche Feltrinelli annuncia la pubblicazione di un libro. Keruoc, di famiglia d'origine probabilmente francese, si innesta nel filone più autoctono della narrativa americana, anche se il punto di partenza gli viene molto di più dall'esistenzialismo europeo che da forme di pensiero statunitensi.
Il successo di Keruoc si spiega soprattutto per il fatto che egli va volgarizzando motivi più antichi già particolari in scrittori come Henry Miller e Thomas Wolfe. Mentre l'anarchismo di Miller non è mai divenuto popolare da noi e per la licenziosità dei racconti (i suoi libri più importanti non esistono in edizione italiana) e per l'estremismo dei suoi assunti e così Thomas Wolfe, troppo analitico e troppo minuzioso non riesce a fare presa sul grosso pubblico, Keruoc, facendo suo il meglio di questi due capiscuola, si atteggia egli stesso ora ad innovatore ed ottiene dei risultati di critica che ci sembrano esagerati.
Keruoc, fra l'altro, è il creatore di un nuovo movimento letterario, quello dei «beaten» o del «beatnik», cioè dei battuti, degli sconfitti che avrebbero, secondo lui, sostituito ed approfondito i temi della Lost generation (Hemingway, Fitzgerald, Dos Passos, Cummings ecc.) secondo una vecchia definizione di Gertrude Stein.
In realtà Keruoc, almeno in questa sua prima opera apparsa in Italia, è uno scrittore prolisso e verboso con una certa tendenza a ripetere le situazioni e molta confusione in testa. Di positivo c'è una specie di vitalismo che anima veramente le sue pagine e un forte senso dell'America come, poeticamente, paese di grandi spazi. Il personaggio di Keruoc, certo in gran parte autobiografico, percorre questa America in lungo e in largo, come un moderno «tramp» (vagabondo) che invece di viaggiare sui respingenti dei treni, come gli straccioni di Jack London, si serve di macchine a nolo, dell'autostop e di tutti i sistemi di viaggi a buon mercato che sembra offrire la motorizzazione in U.S.A. Questo suo senso dell'America, tradizionale nei narratori di quel paese e, in parte, mutuato da Thomas Wolfe, ha tuttavia una sua forza di persuasione. Così positivo è in Keruoc la sua capacità di introspezione e la sua «memoria»; gli manca invece una certa abilità nell'intrecciare un racconto e molto spesso il suo libro ci sembra più il resoconto d'un esame psicanalitico che un vero e proprio romanzo.