IL CRISTALLO, 2007 XLIX 3 | [stampa] |
È difficile trattenere lo stupore leggendo i titoli del giorno dopo il distacco del costone della Cima Uno: "Crollano le Dolomiti. Panico in Pusteria". E non pensare a Fabio Pusterla, il poeta ticinese. Non pensare alla sua poesia sul crollo delle Alpi, nel primo volume di poesie dell'autore, Concessioni all'inverno, pubblicato nel 1985.
Le parentesi
L'erosione
cancellerà le Alpi, prima scavando valli,
poi ripidi burroni, vuoti insanabili
che preludono al crollo, gorghi. Lo scricchiolio
sarà il segnale di fuga: questo il verdetto.
Rimarranno le pozze, i montaruzzi casuali,
le pause di riposo, i sassi rotolanti,
le caverne e le piane paludose.
Nel Mondo Nuovo rimarranno cadute
principali e alberi sintattici, sperse
certezze e affermazioni,
le parentesi, gli incisi e le interiezioni:
le palafitte del domani.
Non bisogna leggerne la biografia per capire che l'autore è un professore di liceo, un professore, com'è evidente, abbastanza contrariato da quanto gli veniva proposto ai corsi di aggiornamento di linguistica e di italiano. Ne sono un chiaro indizio gli "alberi sintattici" già caduti con venticinque anni di anticipo rispetto alla realtà della discussione linguistica, nella visione anticipatoria, assieme alle certezze e alle affermazioni. Gli alberi sintattici, paladini del modello grammaticale diffuso all'epoca nelle università, nelle scuole, nei libri di testo e, appunto, nei programmi dei corsi di aggiornamento dove trionfavano incontestati sui vecchi schemi dell'analisi logica.
Pusterla, nella doppia veste di professore-ascoltatore coatto delle relazioni, nonché poeta-creatore di immagini e di sensazioni legate alle parole – quelle sentite, non quelle ascoltate in aula – ne conserva un ricordo netto e sgradevole. L'aggiornamento metodologico offerto da "esperti" esterni alla scuola, soprattutto le lezioni inerenti le lingue e gli insegnamenti linguistici e letterari, è stato vissuto come offensivo – lo dice Pusterla sin dal titolo di un'altra poesia:
Il luogo del delitto
Scena: un'aula (magna), degli affreschi
(orrendi). Hanno cambiato le sedie, il piano
è coperto da un telone.
E qui parlando adesso della lingua, in disattento
ascolto di relatori sconosciuti (connettivi
interfrasali, pagina tal dei
tali, incomprensioni sintattiche, nuove teorie
didattiche), gli stessi alberi fuori spogli, e quel
grigio di allora che senza sedie (in fondo
ammucchiate inutili) sul finto pavimento in legno
seduti (ricordare: c'era – a volte – della musica) si parlava
e parlando erano parole a essere usate volendo
capire credendo di potere
risalire
a cose, a sogni, a corpi. Un secolo
dopo: cioè adesso.
Leggendo in una poesia questo attacco raffinato, ma allo stesso tempo durissimo, al modello grammaticale che all'epoca sembrava destinato a durare in eterno, rimasi di stucco. Con il suo volume di poesie, "Concessioni all'inverno", Pusterla insegna anche che certe polemiche non si devono combattere sul campo, con le parole usate per difendere posizioni o per aggredire avversari. Ci sono anche le parole nascoste, trasformate e trasformabili che appartengono piuttosto alla "resistenza", non al combattimento aperto. Lo dice lo stesso Pusterla con una citazione latina in una poesia della stessa raccolta.
E questa, vedi è la scrittura
della rabbia inespressa, covata in sentina.
La scolpirei su pietre dure,
irosamente (ricordo un'iscrizione
pompeiana: quisquis ama valia, peria
qui nosci amare, bis tanti
peria quisquis amare vota).
Fui colpito dal messaggio che volevo far mio fino in fondo traducendolo in tedesco. E di primo acchito scrissi, travolto da sentimenti di affinità con il testo:
Und dies, siehst du, ist das Schreiben
nicht ausgesprochener Wut,
die im Inneren wogt.
Meißeln möchte ich sie, zornig,
in harten Stein (an eine Inschrift in Pompei
erinnere ich mich: quisquis ama valia, peria
qui nosci amare, bis tanti
peria quisquis amare vota).
Wer liebt, lebe hoch! Zur Hölle
mit dem, der nicht zu lieben versteht. Und doppelt
sei, wer Liebe verbietet, verdammt.
Ero contento. La mia traduzione dal latino mi sembrava elegante e ben riuscita, Poi, rileggendo il testo italiano mi accorsi dell'accento posto sulle pietre "dure". E già, lapidi, uno stile lapidario.
Questa poesia è l'ultima del gruppo raccolto sotto il titolo Riflessioni sul fallimento nel volume Concessioni all'inverno del 1985. La scrittura diventa strumento di reazione alla sensazione di angustia provinciale. Ma la rabbia che ne risulta trova pure una forma che la discosta dalla rabbia come mero fatto autobiografico. È lo stile lapidario a fare la differenza.
La lingua usata è sí quella del popolo, ma lo stile è quello della fatica. La fatica di incidere le lettere nella pietra dura. Di questa fatica, nella mia traduzione tedesca, non vi era traccia. Lo stile "lapidario" è poco prolisso, laconico, rende omaggio alle sue origini, la fatica di incidere le parole nella pietra dura. Solo le parole necessarie. Feci un conteggio: testo latino, numero di parole: 13 – testo tedesco: 20. Troppe. Bisognava tagliare.
Wer liebt, lebe hoch, verdammt,
wer nicht zu lieben versteht, wer lieben
verbietet, doppelt verdammt.
15 parole. Ripensando a questo momento di esperienza letteraria vissuta – la ricerca della traduzione più concisa occupò ore e ore, mentre la traduzione di getto era stata compiuta in pochi minuti – mi torna in mente un aforisma di Lichtenberg: Lesen heißt borgen, daraus erfinden abtragen. L'atto di lettura sboccia in un prestito, borgen, non è un atto di appropriazione. E il lettore che cerca qualcosa di utile "da portar via", si dovrà limitare a staccare uno strato del testo, abtragen, uno strato alla volta.
Il mio primo tentativo di lettura risale a vent'anni fa. Il secondo, in occasione della pubblicazione delle poesie in tedesco con testo a fronte, a cinque anni fa. A questo ritmo lento si oppone il ritmo accelerato della rilettura e dei rifacimenti della traduzione del brano latino. Ho dovuto "ripulire", strato dopo strato, il superfluo, per giungere ad uno strato essenziale del testo. L'ultimo raggiungibile. Raggiungibile da me, con tanta fatica, la fatica della lettura, della traduzione, della rilettura, la fatica dei rifacimenti.
E la fatica della lentezza. La poesia mi ha imposto un ritmo opposto al mio ritmo abituale, veloce, anzi, vorace e utilitaristico. Dettato dalla prontezza, dall'avidità di portar via in trionfo la citazione contro il modello linguistico che ritenevo "errato". Niente di tutto questo, dopo la lettura di questa poesia, che pure parlava della mia stessa rabbia, della vita insoddisfacente in provincia e del contatto professionale con proposte scientifiche "aggiornate" che rifiutavo. Dopo l'esperienza della traduzione e dei suoi vari rifacimenti, le poesie di Pusterla non mi potevano più servire come arma. Erano diventate strumento di conoscenza e di educazione. Educazione di un lettore.
II
Anni dopo, in occasione della pubblicazione in tedesco con testo a fronte, del volume atologico di Pusterla nel 2002, ho riletto le poesie che tanta impressione avevano suscitato in me all'epoca della prima pubblicazione nel 1985. Al momento della rilettura gli alberi sintattici suscitarono in me solo un interesse marginale. Nuove ricerche in campo linguistico e cognitivo avevano dimostrato a sufficienza la bontà della rivoluzione chomskiana, cioè la scelta di estendere le indagini scientifiche all'interno della "black box" del nostro cervello e non accontentarsi di analisi del mero comportamento umano di fronte al linguaggio. Ma al contempo era diventato chiaro che accanto alle ipotesi proposte da Chomsky vi era spazio per altre ipotesi che molti consideravano come più convincenti e più fertili anche nei vari campi delle applicazioni, tra i quali, quello che mi interessava da vicino, cioè quello dell'apprendimento linguistico.
Le polemiche espresse nelle poesie erano passate in secondo piano. Il rallentamento sperimentato dieci anni prima, traducendo una delle poesie, ha lasciato tracce durevoli. Prepararsi alla lettura di un testo poetico traducendo lo stesso testo prima di leggerne la traduzione, o varie traduzioni pubblicate, è uno strumento metodologico di grande efficacia. Non traducevo infatti nella speranza di fare meglio del traduttore ufficiale del volume, ma solo nella prospettiva di rallentare ulteriormente l'atto della lettura del testo originale. La traduzione può diventare strumento conoscitivo se diventa strumentale nella ricerca dei constraint di volta in volta attivi (costrizioni che entrano in gioco per soddisfare esigenze grammaticali, di stile, del verso, del ritmo o di altra natura ancora). Il traduttore che "interpreta", adopera una griglia di concettualizzazione, di visione e di lettura che nel testo originale non c'è. La scelta traduttiva, osservata e analizzata criticamente, diventa un indizio, un mezzo euristico er mettere in risalto, assieme alle caratteristiche del testo originale, anche certe sue mancanze, buchi rimasti inespressi, che la traduzione tende invece a riempire di proprio. Confrontando la mia traduzione con quella di Hanno Helbling, notai alcune divergenze chiaramente individuabili a prima vista:
Einschübe
Helbling
Erosion wird
die Alpen austilgen, sie gräbt zuerst Täler, [auslöschen]
dann steile Schluchten, unheilbare Leeren,
Einsturzvorspiele, Strudel. Knirschlaute geben Vorzeichen des Einsturzes
das Zeichen zur Flucht. So ist es verfügt.
Bleiben die Seelein, mitunter ein Berglein, [Pfützen, Erdhaufen
hie und da]
die ruhigen Zeiten, die kollernden Steine, [Ruhepausen]
die Höhlen, das moorige Flachland.
Und in der Neuen Welt, nach dem Sturz der
Hauptsätze und Konstruktionen, nach dem [Syntaxbäume]
Verschwinden der Gewissheiten und der Bekräftigungen,
bleiben die Einschübe, Zwischen- und Ausrufe: [Abschweifungen]
Pfahlbauten für morgen.
Incominciamo dalla fine: Perché la scelta di Helbling, "Einschübe" è da preferire alle mie "Abschweifungen"? La parola da me scelta è "marcata", ovvero, veicola qualcosa di preciso, in questo caso delle connotazioni negative, un giudizio forse di prolissità, di mancata coerenza o di non pertinenza, mentre "Einschübe" si fa riconoscere come termine tecnico senza "connotazioni" che si aggiungono al significato della parola al momento del suo uso. Per un motivo ancora più vicino al significato determinato da precisi vincoli d'uso, la prima parola sottolineata, "austilgen" non potrà invece superare il confronto con "auslöschen" o "zerstören". "Austilgen" viene usato solo con essere viventi, persone, animali, piante o microorganismi che siano, a mai con elementi inanimati. Il traduttore si è lasciato prendere la mano alla ricerca di espressioni d'effetto, come dimostra poco dopo con il bellissimo composto creato ad hoc, "Einsturzvorspiele". Vediamo subito perché la costruzione più sobria, "die den nahen Einsturz anzeigen", è da preferire.
La parte centrale del testo è fortemente caratterizzata, nella traduzione tedesca, dalla coerenza semantica vertente a sdrammatizzare quanto accennato. Troviamo due diminutivi poco frequenti, Seelein, laghetti, e Berglein, collinette, riferimenti che potrebbero essere espressi, adottando una scelta lessicale decisamente al ribasso, con "Pfützen" e "Erdhaufen".
Fermiamoci ad analizzare il terzo elemento "idilliaco" di quella parte del testo, "die ruhigen Zeiten" al posto di "Ruhepausen" per rendere l'italiano "le pause di riposo".
A riposare è la forza distruttiva che ha causato il crollo. E la conseguenza delle "pause di riposo" sono, infatti, le parti superstiti delle montagne distrutte: "le pozze, i montaruzzi casuali e i sassi rotolanti". Tutt'altro, dunque, di "tempi tranquilli".
Gli interventi del traduttore fanno emergere un testo dalla forte coerenza interna, dove le "pause" sono in stretto rapporto con i momenti descrittivi che li attorniano. La stessa osservazione vale per il crescendo all'inizio del testo: prima scavando valli, poi ripidi burroni, vuoti insanabili che preludono al crollo. I "vuoti insanabili" sono in posizione predicativa rispetto alle valli e ai burroni e continuano con la frase relativa "che preludono al crollo".
La coerenza interna come principio stilistico forte del testo, appare anche nelle battute finali dedicate al linguaggio: Pusterla chiama in causa la triade di "parentesi, incisi e interiezioni" che in tedesco diventano "Einschübe, Zwischenrufe und Ausrufe". Nella mia prima versione: "In Klammern Gesagtes, Einschübe, Interjektionen". Dopo aver letto la traduzione del Helbling, ho cambiato il primo termine in "Einschübe" (le parentesi), il secondo in "beiläufig Gesagtes" (incisi) e ho reso il terzo, in modo invariato, con il termine tecnico della grammatica, "Interjektionen". Mentre Helbling cerca termini ad effetto, che rimangono isolati l'uno dall'altro, la mia ricerca di aderenza, puntando come guida sul termine tecnico "interiezioni", si concludeva con la scoperta – del tutto inattesa, a dire il vero – di una coerenza interna che lega i tre termini alla battuta finale della poesia: "le palafitte del domani".
Gli incisi interrompono il flusso continuo dello stesso parlante, mentre "Zwischenrufe" svolgono la stessa funzione, intervenendo sul flusso di parole di un'altra persona. Osservando con precisione le funzioni linguistiche dei tre termini grammaticali usati da Posterla, troviamo uniti gli incisi, che interrompono un discorso di base, alle interiezioni, con la funzione di "commentare" con una sfumatura comunicativa o emotiva, gli enunciati o parti di essi (e non tutte le interiezioni hanno la caratteristica di un'esclamazione, "Ausruf ") e le parentesi che si aggiungono al discorso di base.
Ciò che manca è proprio la base del discorso a cui fare riferimento. Il fondamento di tutto. E così si giunge alla metafora dei pali, le mere strutture di sostegno senza la piattaforma, che permette l'uso di quanto si potrà costruire per mezzo del sostegno dei pali. In italiano, il passaggio si svolge metonimicamente giungendo alle palafitte complete di pali e di sovrastruttura. La parola tedesca, Pfahlbauten, non può rendere questo sottile gioco di riferimenti. La parola composta contiene in modo indissolubile assieme ai pali anche la piattaforma e le costruzioni sopra erette. Allora la traduzione tedesca, attenta a questa sfumatura, potrebbe essere: "Pfähle für die Pfahlbauten der Zukunft".
L'aderenza alla terminologia grammaticale si impone anche per la vicinanza del termine tecnico "alberi sintattici" proveniente dal modello della grammatica generativa. In modo analogo trovano posto i termini della grammatica tradizionale, le "certezze" sul piano del contenuto in corrispondenza alla forma grammaticale della frase "affermativa" opposta alle frasi "interrogative" e all'imperativo. Secondo questo tessuto di coerenza terminologica, le "principali" non possono che essere interpretate come le frasi principali, Hauptsätze.
Rimangono le due parole sintatticamente enigmatiche, cadute e sperse.
L'interpretazione temporale/causale proposta dal traduttore tedesco, risulta molto convincente. Crea un senso "liscio" che facilita la comprensione, sostenuto pure dal parallelismo tra il crollo delle Alpi e il crollo della lingua con la sua grammatica. Questa frase è senz'altro il perno dell'atto interpretativo che sta alla base del lavoro traduttivo:
Dopo la caduta delle frasi principali e degli alberi sintattici e dopo la dispersione delle certezze e delle affermazioni, nel Nuovo Mondo rimarranno le parentesi, gli incisi e le interiezioni.
Nel 1985 questa parafrasi mi sarebbe senz'altro piaciuta, ma vent'anni dopo è diminuito di molto il peso degli alberi sintattici e pertanto anche l'ansia di vedere la loro caduta. Le parole invecchiando cambiano. Walter Benjamin, finissimo indagatore di tutte le cose linguistiche, lo ha rilevato, attribuendo proprio alla traduzione il compito di farsi interprete dei cambiamenti dovuti alla Nachreife delle parole. Scrive Benjamin:
La traduzione è così lontana dall'essere la sorda equazione di due lingue morte, che – fra tutte le forme – proprio ad essa tocca il compito specifico di avvertire e tener presente quella maturazione (Nachreife) della parola straniera, e i dolori di gestazione della propria.
Nella versione qui proposta, non si fanno commenti sulla caduta delle principali e degli alberi sintattici. Essi vengono osservati assieme alle certezze e le affermazioni quasi casualmente tra le macerie dopo la catastrofe, dove giacciono privi di funzionalità assieme agli elementi più duttili – quelli non legati alla costruzione della base del parlare argomentativo – e pertanto più utili per la ricostruzione che si prevede per il futuro. Lo sguardo che scorre sulle rovine scorgendo cose sperse qua e là, individua pure elementi che si staccano nella loro individualità, protetti, forse, perché meno appariscenti, più piccoli, meno esposti alle forze distruttive – le parentesi, gli incisi e le interiezioni. Sono immagini e non elementi di un discorso fondato su un ragionamento causale o di rapporto temporale tra due avvenimenti.
Einschübe
Die Erosion
wird die Alpen auslöschen, erst Täler graben,
dann steile Schluchten, unheilbare Leeren,
den Einsturz ankündigend, Strudel. Das Knirschen
wird das Zeichen sein für die Flucht: so ist es bestimmt.
Bleiben werden Pfützen, Erdhaufen hie und da,
Ruhepausen, herabkollernde Steine,
Höhlen und Sumpfebenen.
In der Neuen Welt werden bleiben
gefallene Hauptsätze, Syntaxbäume,
verstreute Sicherheiten und Aussagen,
und Einschübe, beiläufig Gesagtes, Interjektionen:
Pfähle für Pfahlbauten der Zukunft.
III
Isla persa
Crepacci la circondano, le smorfie
raggelate del ghiaccio che si sgretola.
Dall'alto
franano sordi blocchi di granito.
E se un camoscio, o uno stambecco
troppo audace,
si avventurasse sui costoni e con
uno scarto
nervoso scivolasse sulle pietraie in
un gorgo di luce,
qui sarebbe inghiottito e nessuno lo
saprebbe mai.
Fabio Pusterla
NOTE
Fabio Pusterla, Concessione all'inverno. Poesie. Bellinzona, Edizioni Casagrande 1985, introduzione di Maria Corti che conferisce al poeta sconosciuto un posto di rilievo nel panorama letterario contemporaneo.
Fabio Pusterla, Isla persa, Edizioni il Salice 1997. La poesia riportata è dedicata alla memoria di un amico morto.
Fabio Pusterla, Solange Zeit bleibt. Dum vacat, Gedichte Italienisch und Deutsch übersetzt von Hanno Helbling, Zürich, Limmat Verlag 2002.
Walter Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, a cura di G. Agamben, Torino, Einaudi 1982, p. 161, traduzione di Renato Solmi. La prima pubblicazione della traduzione risale al 1961:W. Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi 1962, con un'importante introduzione di R. Solmi p. 161. Cfr. il mio saggio su Benjamin in Traduzione e scrittura, Milano, LED 2003, 29-40. Nello stesso volume è illustrata e diffusamente applicata la "critica della traduzione", intesa come strumento critico-filologico di lettura del testo originale, Un commento autorevole a una delle analisi ivi proposte si può leggere in U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani 2002, p. 251: "Questi sono i casi in cui il testo dice più di quello che l'autore empirico pensava, almeno agli occhi di un esegeta sensibile e attento". Per l'analisi degli usi concreti di singole parole o di costruzioni si possono usare gli strumenti dell'analisi di corpora, cioè vaste raccolte digitali di testi autentici. Il progetto "Korpus Südtirol" applicato anche alla didattica della seconda lingua e delle lingue straniere può essere seguito al sito http://www.korpus-suedtirol.it