IL CRISTALLO, 1993 XXXV 2 [stampa]

L'ISPIRAZIONE MERANESE DI LUIGI BARTOLINI

di SILVANO DEMARCHI

Luigi Bartolini, estroso cantore di Merano e di Anna Stickler è una voce nuova e insolita nel panorama poetico del nostro secolo. Già al primo apparire della sua poesia i critici tentarono qualche accostamento, in particolare con Cecco Angiolieri per lo scatto graffiante e per l'incompatibilità col padre e anche con Jacopone da Todi per «quella sua estrema tensione interiore, che riesce ad appassionare di sé, delle proprie opere gli uomini e le cose, a creare un tramite di passione, di accorata consentaneità tra ciò che il mondo è e dovrebbe essere» (Massimo Grillandi)1. L'Autore si ribellò sempre all'istituzione di questi paralleli, anche se appaiono evidenti, più che altro, per le atmosfere che ha saputo creare. In realtà, la poesia di Bartolini è, come disse G. Spagnoletti, «inclassificabile» (pur senza negare certe ascendenze), perché sempre si affidò agli estri del momento, avvalendosi di una struttura cangiante che alterna cadenze classiche a modernismi palazzeschiani, esuberanza espressiva a nitidi scorci appena disegnati. Nel 1934 Bartolini venne condannato al semi confino a Merano, per oltraggio al regime, meglio diremmo ad una villeggiatura, conoscendo le bellezze naturali della città, che fu meta di prolungati soggiorni della nobiltà absburgica e zarina e di letterati come Kafka, Hoffmannsthal, Rilke. Infatti il poeta fu subito attratto dalla multiforme bellezza della conca meranese con i suoi due fiumi, il torrenziale Passirio e il placido Adige, con la corona dei suoi monti altissimi, sempre incappucciati di neve, con il degradare di festosi vigneti e le distese di pometi che paiono un mare di fiori a primavera, con i suoi castelli ricchi di storia, di cui uno nel dopoguerra fu residenza di Ezra Pound. Questa natura egli ritrasse nelle incisioni e acqueforti e, con piena felicità espressiva nella prosa e nella poesia, osservandola negli aspetti più reconditi che l'occhio attento dell'artista sa scoprire e ridare con quella ricchezza di colori che fu propria della sua arte. A Merano egli incontrò, e follemente s'innamorò di Anna Stickler, una ragazza molto giovane, di umilissima famiglia, conosciuta in un fienile. Di lei lo incantò quel suo comportamento originario e selvaggio, il candore della sua anima e l'incomparabile bellezza. L'amore che nacque fu sensuale e spirituale insieme. Incentrate su di lei e sul paesaggio meranese, uscirono Poesie per Anna Stickler (1941) e Vita di Anna Stickler (1943) in prosa.

Come la Laura petrarchesca illumina di sé il paesaggio di Valchiusa, così fa Anna Stickler nel paesaggio meranese. Il processo di mitizzazione, che la rende una ninfa di boschi e pascoli montani, è palese in questi versi:

«Io benedico, invece, il Dio dei monti che... alpine veneri pose nei prati e Anna ed Emma Stickler / a far liete le selve Egli mandò» («Alpe di Senales»); «a lei, generata dal dio delle malghe, celeste anche negli occhi / al grido suo gutturale di tortora che echeggiava per le rive» («Il Fagiano di Parcines»).

Altre volte è la descrizione realistica che prevale, come quando il poeta dopo aver ricordato particolari non proprio poetici della sua donna, conclude con questa notazione:

«Sì, sta tutto bene; ma più ci penso e più me ne infischio / che le tue braccia siano uguali a quelle delle altre donne. / Però, Anna, non me ne infischio se non mi abbracci!» («Tre scherzi dedicati ad Anna»). E sopra, nella stessa canzone: «ma che mai vide (il poeta) gambe più belle di quelle di Anna!»

È proprio la compresenza e commistione di una idealizzazione fantastica e fiabesca con una estemporaneità bizzarra e realistica la nota di fondo e più originale della poesia di Bartolini, che suscita nei lettori sensazioni opposte, ugualmente piacevoli. Vi è in lui l'attitudine a trasmodare, a conferire un'accentuazione larga e talora iperbolica dei suoi sentimenti e delle sue valutazioni, sempre molto soggettive, e nel contempo un che di spregiudicato nel cantare in maniera anticonvenzionale le sue voglie, i suoi capricci e ad ostentare un suo individuale diritto a seguire i capricci dell'istinto; ma accanto a questa modernità (che pur si collega a un remoto passato, si pensi a Cecco Angiolieri), vi è pure in lui la dimensione idillico-fiabesca che crea momenti di assorta contemplazione e uno smemoramento di tutti i sensi altrimenti troppo accesi.

Questo secondo atteggiamento si riscontra soprattutto nella descrizione della natura che rappresenta il momento magico della sua arte, avendo di essa un senso pittorico, visivo e cromatico. Il paesaggio, topograficamente circostanziato, costellato di luoghi di nessuna importanza, ma di grande risonanza interiore, comunica una suggestione unica. «Non più bella sembianza potrebbe avere / l'acqua del fiume Adige a Parcines, / azzurra poco più di quella del cielo, / poco meno di quella del martin pescatore» («Tre azzurri»). La trepidante fauna selvatica fa spesso capolino nei versi di Bartolini: caprioli, volpi, fagiani dorati... «Fra caprioli e lepri / e le starne e i fagiani / gli uccelli macchiaioli / a San Vigilio sono / dei paradisi immani» («L'acquaforte delle genziane»); «Riposare vorrei, a Senales, avendo le volpi intorno a casa, / fra le nevi continue delle notti stellate di Senales» («Le volpi argentate di Senales»); «...dove i fagiani: stanno rossodorati fra i larici, / appollaiati al chiaro di luna; / io e te, non mi stancherei mai, o Anita» («Se anche il fiume tra i suoi meleti»).

L'amore per la natura e gli animali che la popolano si traduce, come si vede, in efficaci figurazioni pittoriche dove il gusto del colore (essendo il poeta acquafortista e incisore) gioca un ruolo determinante. Anche in questi indimenticabili scorci, come in quelli degli incontri amorosi, vi è l'affermazione di un vitalismo che ama esprimersi in immagini incisive e fresche, secondo la spontaneità dell'ispirazione o in forme epigrammatiche dal taglio netto in contrasto con ogni forma di elaborata letterarietà o d'intellettualismo. Osservava G. Spagnoletti nella prefazione a Pianete2 che dalla sua produzione «non si potrà mai ricavare una poetica» e tuttavia da alcune dichiarazioni dell'autore si possono evincere certe indicazioni, ad esempio di stile: «cantar randagio, cantare accorato; senza enfasi, scarno d'aggettivi, antibarocchista per eccellenza» ed anche di contenuti:

Tu cerchi sempre cose nuove, meravigliose. Cose sempre più belle di quelle che hai. Che di più bello del tuo martin pescatore? Che di più delle tue celesti farfalle. Farfalle azzurre, celesti, cangianti in viola; Farfalle verdi, celesti, trapunte in oro. Cieli, mari si specchiano in tali farfalle. Luci di scarabei dai rilievi di mogano. Amantidi, fragili lembi di antiche stole... (Pianete)3.

Il poeta ama giocare con le sue creature istituendo pittoriche analogie: «Eguale la quaglia al grano / e l'allodola alla stoppia; / il rospo, alla pozzanghera. Il martin pescatore / per le onde, assomiglia / al verdeazzurro mare. / La rondine al bastimento; la serpe, alle radici / fra cui giace nascosta nell'estate» («Eguaglianza»). Bartolini vuole dunque attenersi al reale circostante, che è già di per sé prodigioso, se guardato con l'occhio attento del pittore e godere così della contemplazione di tanti particolari insoliti ed inediti. «L'adesione alla natura è istintiva - osserva D. Valli - non mediata da cultura e perciò rimane fuori della linea di panicità e cosmicità che caratterizza tanta parte del decadentismo italiano o europeo».4 In una descrizione come quella dei bagnanti ignudi sulle rive del Passirio non v'è panismo dannunziano, ma semplice registrazione diaristica e reale:

«Rossi, sul fiume, vagano a festa / simili a vivi grafiti egiziani, / ignudi uomini e donne. / Presso gli ombrosi greti dei tamerici / in pose alla Watteau, altri gruppi riposano. / Le donne tendono le braccia all'aria / e porgono i seni ignudi verso il cielo. / Ecco cosa si vede d'estate lungo il fiume!» («Rossi sul fiume vagano a festa»).

Nel suo modo di fare poesia entra un gusto impressionista, visivo e tattile, una facilità discorsiva che può portare ad esiti contrastanti, non tanto nella poesia ispirata alla natura, quanto in quella d'amore, come nel terzo scherzo dedicato ad Anna o in questo atteggiamento di autoironia:

«Dunque è meglio andare a spasso / con la mia aria di babbuasso / lungo le rive del Passirio / e, sotto gli occhi delle Alpi, / insieme con Anna Stickler, / arrivare sino a Postal. / Alla landa di Lana-Postal, / guarda: il fiume ha straripato!» («La Procella»).

Opera di poesia, anche se nel metro più ampio della prosa e con procedimento analitico e narrativo è Vita di Anna Stickler che non si può definire un romanzo e neppure un diario, in quanto del primo manca l'impianto, del secondo la precisione della notazione cronachistica, giacché la realtà tende sempre a sconfinare nella fantasia e la persona a trasformarsi in figura mitica. Ma indimenticabili rimangono le passeggiate dei due amanti entro quella cornice di prati, di frutteti, di boschi, di montagne, come gli appassionati incontri amorosi nel totale e reciproco abbandono. Ricco di echi, di vibrazioni, di sussulti della memoria, di efficaci notazioni realistiche e di momenti pacatamente idillici, il libro si legge d'un fiato e se ne ammira lo straordinario impiego linguistico che sa adattarsi alle più varie situazioni, fino all'amara conclusione della ragazza messa dalle autorità in un collegio di correzione, per sottrarla, in quanto minorenne, ad una compagnia per lei non certo edificante.

Carattere impossibile, ribelle e anarcoide, sempre in polemica con tutti, attaccò la mediocrità borghese, la pruderie e il falso puritanesimo, ma anche le convenzioni sociali più accreditate, si inimicò i potenti del regime e si lasciò poi da essi strumentalizzare, «riuscì a tessere litigi con tutta la repubblica delle lettere» (D. Valli). E tuttavia risulta al fondo simpatico per quella sua estrema sincerità e istintività che si traduce nella parola poetica. Una poesia, quella di Luigi Bartolini che ama il contrasto e l'alternanza, la misura classica e l'esuberanza verbale, la trasposizione fiabesca e la notazione realistica e precisa, perché la sua arte «ha fatto ricorso a tutte le tecniche» (Spagnoletti). Ma da questa arte ricaviamo l'impressione di una vitalità irrompente, che non conosce limiti, e che amò profondamente la vita nei suoi valori sensibili e ideali, oltre che di una indiscussa originalità creativa sul duplice terreno delle incisioni e della poesia. Originalità purtroppo tardivamente riconosciuta con Ladri di biciclette, da cui venne tratto il soggetto per il celebre film di De Sica.

 


NOTE

1 Massimo Grillandi in Letteratura italiana - I contemporanei, Milano Marzorati 1969, pag. 194.

2 Giacinto Spagnoletti, prefaz. a Pianete, Firenze Vallecchi 1953 pag. 10.

3 Luigi Bartolini, Pianete id., pag. 23 e 217.

4 Donato Valli in Letteratura italiana contemporanea, Roma Lucarini 1982, pag. 293.