IL CRISTALLO, 1987 XXIX 1 | [stampa] |
Il 5 dicembre 1986 è morto Nicolò Rasmo, ex Soprintendente alle Antichità e Belle Arti per la regione Trentino-Alto Adige e direttore, per quarant'anni, del Museo Civico di Bolzano.
Parlarne non è facile perché la sua personalità - così netta, così decisa - è ancora ben presente e viva in me, tanto che mi è difficile valutare con chiarezza e con il dovuto distacco la sua figura di storico e critico.
Mi è sempre presente e più immediato il ricordo della sua infinita passione per l'arte, delle sue esortazioni allo studio, della sua forza di volontà indomabile, della sua sensibilità di finissimo conoscitore, della sua voglia di divulgazione, complemento indispensabile ma fin troppo raro nello studioso e nel conoscitore.
Quando nel giugno scorso L'Assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano presentò il volume di Scritti in onore di Nicolò Rasmo, che contiene diciotto interventi di studiosi italiani e stranieri, prevalentemente sulla storia dell'arte locale, nonché la bibliografia quasi completa degli scritti del professore, fu per la prima volta più agevole dare una valutazione globale dell'opera critica di Rasmo.
La bibliografia conta più di cinquecento titoli, la stragrande maggioranza dei quali riguardante la storia dell'arte del Trentino-Alto Adige.
Tale sguardo specializzato e privilegiante l'ambito in cui il Rasmo visse e lavorò è ben diverso e lontano da ogni chiusura provincialistica. Come in occasione di quella presentazione ricordò il prof. Adriano Peroni dell'Università di Firenze, a Rasmo va il grande merito di aver dato il giusto rilievo internazionale ad un'arte che era rimasta - fino alle sue revisioni critiche - sostanzialmente in secondo piano.
A lui si deve per esempio la rivalutazione degli stucchi carolingi di Malles, gli unici di quel periodo a conservare cospicue tracce dell'originaria policromia, la sistemazione cronologica del corpus della pittura romanica atesina, ricondotta ai corretti rapporti di influenze subite ed irradiate all'interno del panorama europeo; la sistemazione del catalogo di Michael Pacher con l'individuazione puntuale e capillare della mano del maestro e la sua caratterizzazione rispetto all'opera dell'allievo Friedrich e del figlio Hans in un volume che gli valse nel 1971, per l'edizione inglese, la segnalazione come miglior libro d'arte dell'anno; la riscoperta di un pittore come l'Henrici, fondamentale per la comprensione dell'arte bolzanina degli ultimi decenni del Settecento e caduto nel pressoché totale oblio critico.
E sono solo alcuni esempi, ben lontani dall'esaurire la sua azione di continua verifica.
Negli ultimi due decenni Nicolò Rasmo si era dedicato prevalentemente alla stesura di opere di vasto respiro, quale compendio delle sue conoscenze, come - per esempio - le diverse redazioni della Storia dell'Arte dell'Alto Adige (l'ultima delle quali, L'Alto Adige nell'arte, è del 1985) e l'importante volume sulla storia dell'arte del Trentino.
A tali trattati generali se ne affiancano altri, più specialistici, ma egualmente di vasto respiro: Affreschi medievali atesini (1971), Pitture murali in Alto Adige (1975), L'età cavalleresca in Val d'Adige (1981).
Ma la sua straordinaria competenza di ricercatore è forse meglio valutabile sfogliando le pagine della rivista, bilingue, che egli fondò e diresse a partire dal 1948.
Cultura Atesina/Kultur des Etschlandes è quasi un diario del lavoro quotidiano di Nicolò Rasmo: vi sono annotate le piccole notizie, frutto di una costante ricerca sempre documentata, per il possibile, sulle carte d'archivio, accanto alle grandi scoperte, alle rivelazioni clamorose.
Attraverso Cultura Atesina vediamo crescere di anno in anno la moderna impostazione critica dell'arte locale, vediamo definirsi i problemi, sfrondarsi alcuni luoghi comuni ed errori tramandati da tempo per mancanza di controllo e di attenzione.
Ci sono poi offerti strumenti fondamentali per lo studio e la ricerca, come le bibliografie artistiche (per gli anni 1967-1968) che raccolgono tutti gli scritti di argomento storico-artistico locale fino alle più piccole notizie.
Sempre in quest'ottica di revisione critica si colloca il Dizionario biografico degli artisti atesini, purtroppo rimasto interrotto alla lettera A.
Il Dizionario fornisce per ogni artista, ma anche per gli artigiani, i muratori, i cesellatori, i fonditori di campane, per tutti coloro cioè che contribuiscono anche in piccola parte alla creazione dell'oggetto d'arte, le notizie conosciute, fondate sulle fonti e corredate dalla bibliografia.
Ma al di là dell'opera scritta che abbiamo qui trattato solo per sommi capi, Nicolò Rasmo va ricordato anche per ciò che attivamente ha fatto per la tutela e la salvaguardia del patrimonio artistico locale, nonché per la sua valorizzazione.
Moltissimi gli interventi di restauro da lui promossi, seguiti e diretti come - ma citiamo a caso, per l'impossibilità di stendere in quest'occasione un elenco anche solo approssimativo - la chiesa di S. Benedetto a Malles, la Colleggiata di S. Candido, il Chiostro di Bressanone, il castello venostano di Castelbello, il Palazzo Menz a Bolzano.
All'attenta opera di restauro dell'esistente si affianca l'opera di recupero e valorizzazione: a lui si deve la scoperta di due cicli di affreschi fondamentali per la storia del romanico, certamente non solo locale, il ciclo di Santa Maria del Conforto a Maia Bassa che introduce in loco elementi fortemente bizantineggianti e il ciclo di pittura cavalleresca relativo alle storie di Ivano a Castel Rodengo presso Bressanone.
Quest'ultimo, datato ai primi anni del Duecento, è l'esempio più antico di pittura di tale soggetto in tutta l'Europa.
Sempre al suo acume e, direi, al suo coraggio, si deve un altro recupero importante: l'abside romanica della chiesa parrocchiale di Lasa, le cui pietre marmoree originali vennero ritrovate demolendo l'anonima abside cinquecentesca e in seguito ricollocate in loco.
Come direttore del Museo Civico di Bolzano la sua attività si colloca in un lungo arco di tempo.
L'attuale sistemazione delle sale, con poche varianti, è quella da lui studiata negli anni Cinquanta per la riapertura dopo la guerra ed i bombardamenti che avevano in parte danneggiato l'edificio.
Di primaria importanza le prestigiose acquisizioni da lui fatte per il Museo. Tra esse segnaliamo una tavola cinquecentesca di scuola augustana con S. Anna Metterza, una preziosa cassettina ad intarsio in avorio, tartaruga e legni pregiati della bottega degli Embriachi (XIV secolo), ritratti del Lampi, numerosi dipinti dell'Henrici e di altri pittori settecenteschi e, proprio immediatamente prima di lasciare la direzione del Museo, le due tavole frammentarie, in origine formanti la portella di un altare gotico, dipinte con le figure dei SS. Floriano ed Antonio Abate ed opera indubbia di Michael Pacher (1470 ca.).
I due frammenti, il cui recupero fortunoso entro un armadio contadino rende ancor più preziosi, sono a tutt'oggi gli unici esempi di pittura su tavola di Michael Pacher conservatisi in Alto Adige.
Ma Nicolò Rasmo ha rappresentato ben altro oltre la figura di storico d'arte di livello internazionale, di Sovrintendente inflessibile, di Direttore di Museo sicuro e fermo nelle decisioni: la sua opera di costante ed entusiastica divulgazione, condotta fin quando materialmente glielo concessero le forze, e aperta e qualsiasi richiesta senza pregiudiziale né di prestigio né, tantomeno, di tipo economico, ha fatto di lui un personaggio conosciuto e popolare anche oltre la cerchia ristretta degli addetti al lavoro.
Lo ricordiamo a Trento, impegnato nel corso di storia dell'arte trentina per l'Università popolare; a Bolzano per un corso analogo ma incentrato sulla nostra provincia per conto dell'Associazione Nuovo Spazio, integrato da visite guidate ai grandi e piccoli monumenti d'arte della nostra regione; lezioni e visite - crediamo - rimarranno a lungo nel ricordo di coloro che ebbero l'occasione, e la fortuna, di seguirlo.
E anche chi materialmente non lo conobbe ebbe egualmente l'opportunità
di venirne a contatto: pensiamo alla serie dei calendari, realizzati per alcune
banche locali, attraverso i quali sono divenute familiari immagini prima conosciute
da una minoranza più che ristretta.
E questa presenza quotidiana nelle nostre case ha contribuito a farci conoscere
ed amare l'arte di questa terra.
E forse questo il suo merito più grande.