IL CRISTALLO, 1971 XIII 3 | [stampa] |
Introduzione
Non è facile trattare in una sola volta il problema che ci si è posto in questo articolo. Va da sé infatti che i problemi sociali e politici si legano a quelli etnici e che talvolta gli uni si manifestano con la veste degli altri. Nel Sudtirolo questo scambio di sembianze è stato per molto tempo un fatto normale; in una zona in cui il processo di sviluppo economico non ha saputo condurre al superamento degli squilibri territoriali — fra la città industrializzata e la campagna legata prevalentemente all'agricoltura ed ora sempre più integrata con il turismo — e degli squilibri settoriali, è un fatto comprensibile che le rivendicazioni sociali ed economiche acquistino un peso anche attraverso il ricorso alla condizione dei gruppi etnici. Nel Sudtirolo invero ci sono state, nel passato, tutte le premesse perché gli squilibri si legassero alla separazione dei gruppi etnici.
Nel presente lavoro si cercherà di approdare ad una spiegazione delle tendenze, ormai sempre più chiare, che la situazione locale manifesta verso un processo di integrazione sia sociale che politico.
Gli squilibri territoriali e l'eccessiva specializzazione settoriale vengono ora riconosciuti come fattori negativi anche in relazione allo sviluppo di un nuovo modo di porre il problema dei rapporti fra i gruppi etnici. Ma se si cerca cosí di porre mano al superamento di una delle principali condizioni reali che sostenevano la separazione ed i conflitti fra i gruppi etnici, quale sarà il ruolo che questi ultimi dovranno avere nel quadro sociale e politico della Provincia?
Forse la linea da seguire nell'analisi di questi problemi deve andare a ritroso: nel presente lavoro, infatti, si comincerà coll'indicare le condizioni reali che hanno condotto la convivenza di gruppi etnici a trasformarsi in contesa e conflitto, sostenuta dagli strumenti organizzativi e di potere che ciascuno sapeva trarre da situazioni in cui un processo storico in formazione lo poneva progressivamente; inoltre, sempre a proposito di alcuni fatti storici e di alcune situazioni più propriamente economiche e territoriali — quali la condizione di marginalità rispetto al resto del paese —, che non hanno necessariamente una valenza etnica, si è sviluppato un discorso per portare alla luce il modo in cui questi fatti hanno rinforzato i motivi di richiamo al proprio gruppo etnico ed hanno condizionato i rapporti fra i gruppi etnici. Infine, in una realtà che sta mutando e di cui si può cogliere fin da ora con sicurezza la tendenza a superare le divisioni, le frammentazioni, i riferimenti a valori ed a fini diversi, a superare perfino la concezione del gruppo etnico come gruppo la cui realtà è alternativa ed in conflitto con quella di altri, il gruppo etnico stesso non assume tanto significati nuovi quanto si spoglia di tutte quelle valenze e quei riferimenti che non gli sono propri, recuperando nel contempo le sue funzioni essenziali e dando la giusta dimensione agli altri problemi, in particolare a quelli sociali e politici. La soluzione di questi problemi vedrà così impegnati ed alleati nuovi gruppi e classi sociali che non si ritrovano più isolatamente all'interno di un solo gruppo etnico.
1 — Le condizioni su cui poggia l'organizzazione sociale e politica del Sudtirolo.
L'aspetto principale del quadro politico del Sudtirolo è stato quello dei rapporti fra i gruppi etnici. Questa situazione ha preso corpo in rapporto a condizioni che sono demografiche, economiche e ideologiche, le quali si svolgono in un arco di tempo abbastanza lungo e diventano chiaramente comprensibili soltanto dopo un certo punto. Con ciò, sia chiaro, non si vuole sostenere l'esistenza di un punto di partenza, di un'origine, in sostanza di «un prima ed un dopo» come molto spesso si è fatto in questo campo quasi a cercare per questa strada la preminenza di diritti e posizioni, ma più semplicemente si cercherà di rilevare la ragione per cui alcuni processi o fatti che sono maturati nel tempo passato siano diventati punti fermi, condizioni su cui poggia il quadro politico e sociale del Sudtirolo, il cui principale aspetto è, come detto, quello dei rapporti fra i gruppi etnici.
Non è indifferente, per il problema dei rapporti fra due gruppi omogenei al proprio interno quanto diversi fra di loro, maturare operare od, ancor più "operare per crescere" in ambiti spaziali diversi e chiaramente separati. Si vedrà dopo come questa separazione spaziale si sia rinforzata attraverso condizioni di omogeneità economica e politica; per ora conviene approfondire separatamente questo fatto che costringe paradossalmente a convivere due gruppi che non sono solo diversi, ma che vivono anche in ambiti diversi. Forse questo aspetto dei rapporti fra i gruppi etnici nel Sudtirolo non è mai stato isolato nel suo importante significato ed è restato così implicito alla base, o meglio dietro le quinte di molte altre diversità meno consistenti o più cariche di significati emotivi.
Se è un dato comune la constatazione che i tedeschi vivono in maggioranza in ambito rurale ed in minoranza nei due maggiori centri della Provincia, meno conosciuta è la dinamica demografica che ha condotto a questa situazione: è quanto si cercherà di esporre ora sintenticamente.
Nel Sudtirolo la popolazione residente al 30 giugno 1970 era di 416.000 unità circa. I primi dati certi sulla consistenza e sulla composizione demografica della Provincia sono del 1921 e partendo da essi si può rilevare una dinamica ad andamento irregolare le cui cause principali sono legate al fatto che il tracciato confinario, dapprima, e le conseguenze della politica fascista, poi, hanno imposto alla provincia di Bolzano accentuate condizioni di marginalità e particolari funzioni. Infatti, nel periodo fra le due guerre la popolazione è aumentata ad un tasso medio annuo molto vicino all'l%, tasso rimasto sostanzialmente immutato anche nel dopoguerra e quindi atipico rispetto al resto del paese ed alle altre regioni dell'arco alpino in particolare. La popolazione complessiva del Sudtirolo è passata dalle 256.630 unità del 1921 alle 416.000 unità del 1970, segnando quindi un aumento di 159.370 unità; mentre nel periodo fra le due guerre l'elevato saggio di incremento risente delle particolari condizioni che si erano create e delle funzioni che si volevano dare alla provincia confinaria, oltre che dall'elevato saggio di incremento naturale di una popolazione prevalentemente rurale, nel dopoguerra è soprattutto quest'ultima la causa della dinamica demografica.
Questo quadro complessivo si scompone in elementi nettamente differenziati se l'attenzione viene posta di volta in volta sull'ambito rurale e su quello urbano. Nelle zone rurali della Provincia vivono in assoluta prevalenza e nella loro maggioranza le popolazioni di lingua tedesca e ladina del Sudtirolo; se questo è un punto di partenza, il fatto acquista tutta la sua importanza se illustrato alla luce della dinamica demografica, così come è stato fatto per l'intera Provincia. Infatti, mentre la popolazione che vi risiede è passata, nel periodo 1921 - 1970, dalle 202.000 alle 260.000 unità, l'aumento relativo è stato sensibilmente inferiore a quello registrato per l'intero territorio provinciale. Due le cause principali d, questo fatto: la popolazione immigrata nel periodo 1921 - 1953 era quasi completamente italiana e si è quindi stabilita nella città capoluogo o nelle due città minori di Merano e Bressanone; inoltre, le zone agricole della Provincia sono state tributarie in larga misura di morti e dispersi in guerra ed hanno — nei tempi più recenti — espulso popolazione, anche se in misura contenuta, che in parte è emigrata ed in parte si è riversa nella città capoluogo.
La dinamica demografica dell'ambito rurale, difforme rispetto a quella dell'intero territorio provinciale, deve essere completata dall'analisi della composizione etnica della popolazione.
In tutto il Sudtirolo risiedevano, secondo il censimento del 1961, 232.717 unità di popolazione appartenenti al gruppo etnico tedesco e 128.271 appartenenti al gruppo etnico italiano, 12.594 erano gli appartenenti al gruppo etnico ladino. La popolazione di lingua italiana rappresentava nel 1921 soltanto il 10,62% dell'intera popolazione, mentre raggiunge oggi il 35% circa. Inversa è la parabola della consistenza relativa del gruppo etnico tedesco, passato dal 79% circa del 1921 all'attuale 62% circa.
Nell'ambito rurale la composizione della popolazione per gruppi etnici è sensibilmente diversa da quella dell'intera Provincia. In questo ambito infatti, la popolazione tedesca è passata dall'85% del 1921 all'80° o circa del 1961, quella italiana dal 7% circa del 1921 al 16% circa del 1961. L'aumento in valori assoluti della popolazione italiana in questo ambito territoriale nel periodo 1921 - 1961, che è stato di circa 27.000 unità, indica che essa è quasi triplicata e si è inserita in modo diffuso in tutti i comuni rurali; quanto questa diffusione si sia trasformata anche in inserimento nel tessuto sociale della popolazione rurale è invece del tutto incerto1
Tante cifre si giustificano soltanto se il discorso non resta a livello descrittivo. Il quadro che si è delineato attraverso i dati statistici non è difforme, se visto dall'esterno, da un normale processo di urbanizzazione che veda la campagna, naturale riserva di popolazione, divenire tributaria di risorse umane e produttive verso un centro che estende così la sua dominanza su un territorio sempre più ridimensionato sia in termini di ampiezza demografica che di forza economica. Nel Sudtirolo la campagna non è però mai divenuta tributaria della città, ad essa non ha delegato le proprie possibilità di sviluppo economico e non hai mai rinunciato a quell'autonomia nella struttura sociale e nell'organizzazione politica che era patrimonio di tutte le campagne, ma soprattutto di quella sud-tirolese.
Se, anche nel Sudtirolo, la struttura sociale ed economica ha assunto nella sostanza la stessa forma di altre zone simili del paese, nelle quali un centro urbano ha formato la propria dominanza sulla crescita demografica ed economica rispetto ad una campagna passiva e tributaria cui toccavano e toccano tutt'ora, giacché il processo non ha cambiato direzione, funzioni residue e benefici marginali, quest'ultima non ha mai rinunciato alla salvaguardia di una propria via, di un'indipendenza che ha avuto come fondamento i caratteri di un popolo etnicamente omogeneo, socialmente ed economicamente ancorato ad un'organizzazione che sapeva riunire funzioni diverse in un quadro sia spaziale che economico o culturale unitario. È così che la dispersione della popolazione rurale al di fuori dei centri abitati — nell'ambito rurale del Sudtirolo la popolazione che vive al di fuori dei centri abitati raggiunge il 70% circa dell'intera popolazione residente — si salda alla forma economica prevalente: l'azienda agricola ancorata al maso nel quale l'abitare, il produrre ed il mantenere rapporti simbolici profondi con l'ambiente 'si riassume e si armonizza ad una forma di organizzazione sociale tipicamente lineare e gerarchica che si srotola a partire dalla legge del maggiorascato che mentre fa salva la forza economica delle unità di produzione agricole offre nel contempo il modello di organizzazione sociale e politico alla società, modello che può essere simbolizzato nella ruota: le relazioni sociali sono lineari e convergono verso un centro — il perno della ruota — senza diffondersi contemporaneamente agli altri componenti; per questo, in definitiva, sono anche gerarchiche2
L'organizzazione dell'intero ambiente rurale, con la sua trama di centri di varia grandezza e di frammentazioni in valli laterali, si è sostenuta su una base etnica ed economica che è soprattutto contraddistinta dai caratteri dell'omogeneità e della gerarchia. Questo almeno come condizione di partenza
Per rispondere ai bisogni nuovi, ad un naturale e non più dilazionabile processo di trasformazione sociale ed economico, poiché è evidente che ogni eccessiva limitazione e conservazione dell'omogeneità delle forme produttive si risolve a lungo andare in una sostanziale debolezza della base economica stessa, queste strutture sociali ed economiche hanno dovuto aprirsi a trasformazioni anche profonde ed alla penetrazione di forme di vita e di organizzazione sociale nuove.
In altre parole: Quali i segni non sopprimibili di una serie di rapporti che hanno tolto la campagna da un isolamento centenario? Quali segni ha lasciato l'industrializzazione, anche se incerta e limitata, della campagna? In quasi tutte le zone rurali del paese, si potrebbe dire dell'occidente, queste trasformazioni hanno portata dalla diffusione della dominanza e della prevalenza sociale e politica della città sulla campagna. Questo non è avvenuto nel Sudtirolo ed in questo fatto 'si riassumono un po' tutte quelle condizioni demografiche, economiche o ideologiche, cui si è accennato in apertura e che sono la base su cui 'si sono innestati i rapporti fra i gruppi etnici. È per questo che si spenderanno ancora alcune righe per dare a questo fatto una spiegazione generale e sintetica.
La campagna ha mantenuto nel Sudtirolo una sua autonomia ed una sua organizzazione non tributaria; abbiamo usato questo termine, "non tributaria", e non il termine indipendente perché nella realtà i rapporti con la città sono pur sempre forti ed importanti. Ma è la loro natura che è diversa: per spiegarla bisogna rifarsi ai termini generali dei rapporti fra città e campagna.
La differenziazione fra organizzazione sociale ed economica urbana e quella rurale sono riportabili, in ultima analisi, ad un problema di dimensione: mentre nelle comunità rurali le strutture sociali ed economiche hanno una grandezza ridotta alla scala locale, la città è caratterizzata da un'organizzazione sociale ed economica su scala extra-locale, con una dimensione che non è soltanto proporzionata alla grandezza della città stessa, ma anche al territorio che su essa gravita. È così che le unità produttive della campagna sono generalmente a livello familiare, che le sue istituzioni pubbliche e culturali sono racchiuse entro i confini del comune; che i rapporti sociali sono limitati all'orizzonte della comunità. Le convenienze legate alla dilatazione della dimensione e della complessità si accompagnano per altro quasi solo all'insediamento urbano, dove fabbrica si aggiunge a fabbrica e dove tutte le istituzioni vi organizzano le proprie manifestazioni di ordine superiore e la cui competenza e raggio di azione 'sono le più estese. Le funzioni urbane, non sono, espresso in altri termini, del tutto riconducibili all'interno della stessa città, ed è sufficiente il fenomeno del pendolarismo a dare una dimensione indiretta a questo fatto; sono sempre funzioni che si diffondono in un ambito più vasto, sono funzioni "regionali". Vi è, alla radice di questo, la ragione dell'origine della città che vede alcuni gruppi sociali, capaci di dare sostanza organizzativa a bisogni che oltrepassano la dimensione circoscritta delle comunità locali, stanziarsi in un nuovo nucleo che diventa città in virtù della sua forza politica ed economica. La sostanza di questo processo è restato ancor oggi alla base dei rapporti fra città e campagna e la moderna letteratura scientifica l'ha espressa, in modo sintetico, come "impossibilità dell'organizzazione sociale ed economica su scala locale (quella rurale) di liberarsi dai condizionamenti — o di porli in altro modo — dell'organizzazione sociale ed economica extra-locale (quella urbana)". In altre parole è maturato quasi ovunque un rapporto generale di dipendenza della campagna dalla città e questo rapporto di dipendenza non poteva non risolversi in un rapporto di dipendenza politica.
Ciò non è completamente avvenuto nel Sudtirolo perché l'organizzazione sociale extra-locale, sempre e comunque necessaria e non eliminabile, non è stata risolta soltanto dall'organizzazione sociale ed economica della città, ma ha cercato di restare prima di tutto organizzazione della campagna, di quello stesso ambito sociale da cui era sorta come esigenza organizzativa ed espressiva di bisogni che non sono sopprimibili.
La campagna e la città sono dunque, nella situazione del Sudtirolo, due poli non gerarchici, i cui rapporti sono però in continua tensione: un normale processo di organizzazione della società, fondato sulla dominanza della città, è stato per così dire scomposto ed è alla ricerca di una ricomposizione di rapporti su basi diverse e più equilibrate. La condizione principale di questa situazione è data dalla capacità della campagna di avere una propria ed autonoma organizzazione politica, forte ed omogenea, che poggia sulla compattezza del gruppo etnico tedesco.
I rapporti fra i due gruppi etnici del Sudtirolo si fondano in questo modo su una condizione reale e consolidata ed ancor prima di prender la forma del conflitto culturale, etico o sociale nel senso più riduttivo, è confronto o talvolta conflitto fra due forme distinte ma non separabili di organizzazione politica. In questo il problema etnico del Sudtirolo si differenzia nettamente da quello del Friuli o delle altre minoranze etniche che vivono in Italia: esso poggia su una condizione basilare che deve necessariamente diventare "rapporto istituzionale", cioè regolabile da accordi e da leggi.
In sintesi, pur senza negare la portata ed il significato, su cui si ritornerà più avanti, della difesa delle caratteristiche etiche, morali e culturali che ciascun gruppo etnico vivente nel Sudtirolo ha portato avanti, il problema dei rapporti fra i gruppi etnici stessi ha avuto come obiettivo principale la conservazione dell'autonomia, anche se relativa, della propria organizzazione politica e sociale, la quale ultima ha avuto ed ha tutt'oggi come obiettivo principale il compito di garantire la diffusione anche in ambito rurale di tutte le funzioni, le prerogative e le condizioni che sono solitamente alla base dell'egemonia della città sulla campagna e che nel Sudtirolo si sarebbero trasformate nell'egemonia di un gruppo etnico minoritario — quello italiano — su un gruppo etnico maggioritario — quello tedesco.
In questo quadro l'esistenza dei due gruppi etnici, i loro rapporti ma più spesso i loro conflitti, non sono l'unico elemento determinante e nemmeno quello decisivo, se preso isolatamente, della situazione locale: i due gruppi si legano infatti a condizioni reali ed i loro rapporti si manifestano principalmente, anche se non chiaramente, legati al problema dei rapporti fra la città e la campagna, ambiti che abbiamo usato in questa analisi come sinonimi di ordini sociali economici e politici separati ed in reciproco rapporto. Per questo il problema dei gruppi etnici nel Sudtirolo è soprattutto un problema di carattere politico, che se si è rivestito di tutti i caratteri del conflitto di nazionalità ciò è avvenuto, oltre che per una serie di condizioni esterne, anche per l'incapacità della classe politica a comprendere i termini reali del problema.
2 — Fatti etnici e non.
La conclusione cui si è giunti ha in se anche un'indicazione di metodo: se i rapporti fra i gruppi etnici non sono necessariamente segnati dal conflitto e dallo scontro e se si legano a condizioni reali talvolta anche più complesse del normale rapporto fra gruppi etnici diversi, allora ciò che può aiutare nell'analisi e nella comprensione dei fatti è soprattutto l'attenzione e la sensibilità nello scindere le origini dalle manifestazioni ultime dei fatti stessi. Per questa ragione, per comprendere il significato ed il ruolo che i rapporti fra i gruppi etnici hanno avuto nel passato, ed avranno anche nel futuro seppur in modo diverso, non bisogna pensare alla loro esistenza come ad un fattore sempre determinante ed all'origine di tutte le situazioni difficili, le decisioni e le realizzazioni che hanno riguardato sia gli aspetti sociali che economici della vita del Sudtirolo nel dopoguerra.
Ciò che si è fatto come ciò che non si è fatto si è sempre ammantato del colore etnico; ma se questa è stata una costante della nostra situazione del passato, ad un'analisi distaccata non partigiana e scientifica si impone il compito di scindere in singoli aspetti ciò che nella realtà si manifesta quasi sempre con i caratteri della globalità propri dei conflitti etnici e di nazionalità. Il problema dei rapporti fra i gruppi etnici del Sudtirolo va visto in una prospettiva storica nella quale il complesso dei rapporti fra le due popolazioni di nazionalità tedesca e italiana possa essere differenziato in aspetti diversi che non sempre hanno avuto una unica direzione.
In realtà sono molti i fatti che permettono di affermare che il problema del Sudtirolo non è stato sempre e solo un problema di rapporti fra gruppi etnici. Basta ricordare, fra i più importanti, i problemi derivanti dagli effetti duraturi della politica fascista, le condizioni di sottosviluppo economico — o tendenti ad essere tali — proprie delle regioni marginali, aggravate in questo caso dalle particolarità proprie di una regione confinaria che è stata, storicamente, più carica di conseguenze politiche che non altre regioni confinarie, infine, le difficoltà particolari della convivenza di gruppi etnici che non riconoscevano le stesse autorità politiche o che ad esse facevano riferimento con scopi ed atteggiamenti ben diversi.
Questi fatti, la cui importanza storica viene ora riconosciuta anche se non sempre in maniera univoca, non hanno all'origine soltanto una caratterizzazione etnica: sono fatti politici, economici e sociali che assumono nel loro svolgersi anche una precisa manifestazione etnica, ma che non sono divenuti tali in maniera meccanica, cioè necessaria o inevitabile.
Si veda innanzi tutto il problema delle conseguenze durature della politica fascista. Essa prese le mosse da uno scopo chiaramente imperialistico, peraltro accettato nelle concezioni politiche delle stesse democrazie occidentali dell'epoca: la frontiera assumeva in ogni caso la forma più rigida del tracciato lineare diventando in questo modo il simbolo della sovranità e delle prerogative nazionali. La politica fascista in questo campo non ha mancato di esasperare le conseguenze di questa impostazione. Guardando più da vicino le implicazioni del superamento dell'idea della frontiera come "regione di frontiera", propria di tutto il medio evo, applicato nel Sudtirolo, cioè in una "regione di frontiera" per definizione perché punto di incrocio di culture diverse, perché gelosa di una autonomia che ha radici profonde nella cultura e nell'organizzazione sociale delle popolazioni locali, ci si rende conto del perché il fascismo non poteva non praticare una politica di occupazione, di snazionalizzazione e di rigido controllo. Infatti, il confine come tracciato lineare ha raccolto storicamente soltanto la funzione della difesa militare; ma questo processo non è avvenuto mai senza un prevaricazione, senza trasformazioni sostanziali che hanno ridotto ed impoverito le condizioni sociali delle popolazioni che vi abitavano.
Usando un linguaggio sociologico si potrebbe dire che il compito di mantenere i rapporti con l'esterno, con gli stati limitrofi, un tempo lasciato alle "regioni di frontiera", si è trasformato in quello molto più riduttivo della difesa e, attraverso la promozione simbolica del tracciato confinario, si è riconvertito in definitiva in una mera funzione strumentale al mantenimento dell'integrazione interna. Ecco perché si può affermare che il tracciato confinario lineare non ha mai assunto storicamente un qualche ruolo nei rapporti con gli stati confinari, compito che ha ben inteso un significato irrinunciabile per la vita e lo sviluppo del paese.
Se questa analisi ha colto nel segno, si spiega perché la politica fascista nel Sudtirolo si può considerare in tutto e per tutto una politica imperialistica: poiché in questo caso il confine imponeva una divisione artificiale di compagini sociali ed etniche integrate ed omogenee, la sua funzione isolatrice doveva essere rinforzata ed i conflitti che sono nati nei rapporti con le popolazioni locali hanno dovuto essere risolti attraverso la minimizzazione delle differenze etniche, la snazionalizzazione delle minoranze, della cultura locale e la massimizzazione del senso di appartenenza al paese dominante attraverso l'incitamento ad un patriottismo esasperato. In questo contesto, l'industrializzazione della città di Bolzano è stato solo uno strumento di sostegno dell'applicazione e dell'efficacia dei "meccanismi di risoluzione" dei conflitti fra i cosiddetti interessi nazionali e le condizioni delle popolazioni locali; infatti, essa non si potrebbe giustificare in altro modo, poiché costituisce una eccezione alla politica economica nelle regioni confinarie che è fondata sulla scarsa mobilità sia dei fattori di produzione che dei prodotti. Nel caso del Sudtirolo si è lasciato spazio ad una mobilità di prodotti, ma non di prodotti finiti bensì di semi-lavorati e di beni strumentali, che hanno cosi reso largamente strumentale e senza autonomia l'industria locale nei confronti degli insediamenti del triangolo industriale dell'Italia del Nord.
Questa industrializzazione ha posto l'economia locale in una condizione di dualismo esasperato: da una parte un'economia agricola confinata nelle zone periferiche e nelle valli laterali, dall'altra un insediamento industriale di notevoli dimensioni concentrato attorno alla città di Bolzano e, quel che più conta, senza prospettive di costituire un primo passo verso l'integrazione dell'intera economia provinciale su nuove basi, perché esso stesso è largamente dipendente da altri insediamenti industriali che per dimensione e per processo produttivo non hanno alcuna possibilità di insediarsi in loco.
Com'era inevitabile questi fatti non hanno prodotto una situazione del tutto nuova, nel senso che si potesse partire da essa per riprendere le fila di un discorso e di un'azione sociale e politica volta al futuro. Il quadro che è uscito da questi fatti è un quadro frammentario, perché condizioni sociali preesistenti che si è cercato di "risolvere" con la forza si sono sommati ad effetti duraturi che non sono a tutt'oggi superati. Il più importante effetto causato da quella politica è rappresentato dalla maturazione del conflitto fra i gruppi etnici, che in sintesi ha preso le mosse dalla necessità di ripristinare l'autonomia di un'organizzazione sociale e politica omogenea ed integrata, posta però in una situazione diversa e ormai ineliminabile, caratterizzata da una serie di situazioni nuove che si possono così riassumere:
Se nel Sudtirolo non vivessero gruppi etnici diversi ed omogenei non per questo la situazione sarebbe meno difficile. Tuttavia qui si manifesta una situazione paradossale del tutto singolare: in nessun altro luogo, infatti, le situazioni sono favorevoli per la ricerca e l'attuazione di un processo di sviluppo sociale ed economico equilibrato e questo proprio in ragione del fatto che qui la campagna, cioè l'ambito sociale che nelle situazioni più difficili e precarie deve sopportare il peso maggiore del sottosviluppo, ha all'opposto la forza politica per chiedere il rispetto della propria condizione.
3 — Il gruppo etnico come gruppo di riferimento.
Cosi, come per la situazione del passato, ora analizzato, nel presente ed ancor più per il futuro, il nocciolo dell'analisi della situazione economica e politica del Sudtirolo sta proprio nel riuscire a capire quando la realtà ed i fatti che la caratterizzano assumono una veste etnica. La caratterizzazione etnica data ad un programma politico o economico è una caratterizzazione globale, che non ammette differenziazioni o distinzioni: ma poiché questo non è quasi mai il caso dei programmi politici o economici, che sono per definizione "diversi" o "alternativi" rispetto ad altri programmi, nel senso che i fini che sottendono sono accetti e favorevoli ad un certo gruppo o classe sociale più che ad un altro, allora quei programmi che assumono una veste etnica operano una "semplificazione" della realtà sociale e politica e ne lasciano una parte, solitamente i gruppi sociali subordinati, disarmata e consenziente.
Questo stesso problema è presente a coloro che già da tempo hanno pensato di associare allo studio dei rapporti fra i gruppi etnici quello sui rapporti fra le classi sociali, secondo una linea di analisi che passa, per cosi dire, attraverso ambedue i gruppi etnici. La situazione del Sudtirolo non sarebbe sufficientemente compresa, secondo questa posizione, considerando unicamente la tradizionale contrapposizione fra gruppo etnico maggioritario e gruppo etnico minoritario, cioè avendo come fine la salvaguardia dei diritti della minoranza, una minoranza che è data di volta in volta da un diverso gruppo etnico a secondo che le situazioni problematiche abbiano riferimento ai rapporti con lo Stato o, per contro, a quelli con la Provincia. Questa impostazione, che tende a negare l'effettiva importanza dei gruppi etnici per la comprensione della situazione conflittuale che si vuole, invece, segnata dai rapporti di classe, è eccessivamente schematica. Non renderebbe alcuna spiegazione a tutte quelle manifestazioni di conflitto etnico cosi frequenti ed evidenti anche nel passato più recente; non darebbe una risposta a tutte le richieste che ambedue i gruppi etnici hanno avanzato per poggiare su basi istituzionali garanzie e strumenti per la salvaguardia della loro identità.
Pur tuttavia, l'analisi delle classi sociali resta una pista da battere, secondo noi, soprattutto in relazione a problemi concreti, circoscritti e definiti i quali sembrano oggi uscire dalla protezione e dal filtro di quel tendone di raccolta e di attesa per le varie istanze sociali che aveva ed ha tutt'oggi in parte i colori della fazione etnica. Seguendo ed analizzando i modi e le forme in cui problemi specifici assumono una veste etnica sarà possibile comprendere il significato e le conseguenze delle battaglie condotte per arrivare alla pacificazione etnica, ma ancor più si arriverà, seguendo questa strada, a render conto delle alleanze e del perché, in non pochi casi, alcune forze più autenticamente popolari si sono trovate nel fronte radicale o, nel peggiore dei casi, nazionalista. Per arrivarci è necessario avere ben presente cosa significa appartenere ad un gruppo etnico.
Agli occhi di molti l'appartenenza ad un gruppo etnico, dichiarata da altri, assume la caratterizzazione di una "scelta" strumentale: si usa dire che "loro', gli "altri", sanno fare i loro interessi. In realtà il gruppo etnico non è una scelta, non può quindi essere una scelta strumentale ed in questo tipo di ragionamento si confonde il fine, la salvaguardia del proprio gruppo etnico, con lo strumento per raggiungere questo fine, cioè l'unità e la compattezza. L'appartenenza ad un gruppo etnico resta, alla base di tutto, come una condizione irrinunciabile e da difendere sul piano civile e democratico. Il nostro discorso cercherà allora di analizzare la validità di quello strumento politico tradizionale, cioè dell'unità e della compattezza etnica, per raggiungere fini che se non hanno diretta attinenza al proprio gruppo etnico di appartenenza sono però, ormai in modo irrinunciabile, condizioni per un progresso civile.
L'unità e la compattezza etnica poggiano su fattori di omogeneizzazione che sono la base della realtà etnica: questa base non può essere superata, ma è vero altresì che essa non può servire oltre per tutti gli obiettivi. In che modo allora si può affermare che, mentre i fattori di omogeneizzazione etnica devono permanere ed essere rafforzati, gli obiettivi e gli strumenti per raggiungere un maggior grado di sviluppo economico ed una situazione sociale più giusta vanno ricercati insieme da gruppi e classi sociali che sono contemporaneamente all'interno di ambedue i gruppi etnici? La spiegazione non è facile da dare, soprattutto deve essere articolata ed attenta a non negare, per la ricerca della semplicità e dell'operatività, dati di fatto che oltre ad essere insuperabili devono essere salvaguardati in virtù del loro enorme valore sociale. Ci riferiamo qui esplicitamente ai gruppi etnici la cui corretta comprensione è, secondo noi, il primo passo da fare per giungere alla proposta di un nuovo modo di comporre e di avviare a soluzione problemi sociali, economici e politici nel Sudtirolo.
Il gruppo etnico è un'unità sociale molto complessa e l'appartenenza ad esso assume un carattere profondo, pregnante e coinvolge valori che sono alla base della personalità e della cultura. L'importanza e la complessità di un gruppo etnico non deriva però soltanto dall'eterogeneità economica e sociale degli strati e delle classi sociali che esso riunisce al proprio interno, ma soprattutto dal fatto che ad esso si fa riferimento per tutte le decisioni ed i comportamenti che riguardano in primo luogo le proprie condizioni culturali e sociali e, più specificatamente, per il lavoro ed i suoi valori, la famiglia, l'educazione dei figli e, infine, per tutte o quasi tutte le relazioni con altre persone. Tutto questo avviene normalmente senza che gruppi etnici diversi vivano in situazioni del tutto separate; anzi, in particolare nel Sudtirolo, si è di fronte ad un quadro soprattutto economico, ma anche sociale, unitario e per molti aspetti integrato nel senso che le azioni ed i comportamenti delle persone appartenenti ai due gruppi etnici sono volti verso fini ed obiettivi che trovano realizzazione nello stesso sistema.
L'appartenenza ad un gruppo etnico solido ed in grado di mantenere intatti i propri caratteri non implica necessariamente che esso organizzi autonomamente tutte le funzioni cui si è fatto cenno poc'anzi; si è detto infatti che per molti aspetti i due gruppi etnici sono inseriti ed integrati in uno stesso sistema economico, sociale e politico. Tuttavia è certo che una parte di esse, soprattutto quelle che hanno una importanza culturale e quindi etica, lo sarà e che, più in generale, si farà riferimento al proprio gruppo etnico come ad una base comune di valori, di atteggiamenti e di scelte ogni volta che le condizioni politiche economiche o sociali che si vanno trasformando creano problemi nuovi e situazioni difficili; inoltre si farà richiamo al gruppo etnico ogni volta che i processi di mutamento della realtà esistente porteranno una parte della popolazione in condizioni economiche o sociali di inferiorità o ad essere emarginata.
Il solo richiamo alla condizione di bisogno o di precarietà di una persona o di un gruppo anche se limitato è sufficiente per liberare il richiamo al gruppo etnico di appartenenza ed alla sua solidarietà. Questo meccanismo di difesa etnica non ha operato in maniera discontinua, occasionale o limitata ad alcuni episodi; esso si è svolto attraverso tutti i principali problemi economici o sociali, quali quello dell'industrializzazione, dell'ordinamento territoriale — il problema della città di Bolzano — della casa, ecc., quando è bastato il richiamo agli interessi di un singolo italiano o di un singolo tedesco o di una parte limitata di essi per trasformare un problema politico ed economico in un problema puramente etnico.
Tutti questi fatti si possono riassumere in questo modo: se si tende a fare della realtà sociale del Sudtirolo una realtà integrata, non divisa secondo i confini della diversità etnica, l'integrazione nei rapporti fra i due gruppi etnici non scivolerà nell'assimilazione soltanto a condizione che sia mantenuto nel comportamento e nelle azioni individuali il riferimento al gruppo etnico di appartenenza. Non si deve pensare che questo fatto, cioè il riferimento e l'identificazione con il proprio gruppo etnico, assuma aspetti meramente individuali; all'opposto, se nella realtà basta il richiamo alla condizione di bisogno o di precarietà anche di una sola parte di un gruppo etnico per rivelare la solidarietà di tutto il gruppo etnico stesso, l'accettazione e la normalizzazione a livello generale di questo bisogno insostituibile — perché è il solo che può impedire al processo di integrazione di scivolare verso l'assimilazione, come si è detto, — può essere garantita soltanto per mezzo di misure istituzionali e giuridiche.
4 — Dal problema dei gruppi etnici a quello delle classi sociali: quali obiettivi per una lealtà reciproca?
La battaglia per il «pacchetto» è passata nel vivo di questa situazione. Se infatti a lungo si è detto che il pacchetto rappresentava la condizione giuridica indispensabile per poter poi pensare allo sviluppo economico e sociale del Sudtirolo, questa affermazione non aveva altro significato che questo: dare alla presenza dei gruppi etnici nel Sudtirolo l'importanza e la rilevanza giuridica e politica che essi meritano, fondando su questo rapporto la trama sostanziale della democrazia locale, condizione questa indispensabile per liberare tutti i problemi economici e sociali da un riferimento meccanico e necessario — come per lungo tempo è stato — alla difesa del carattere del proprio gruppo etnico.
Perché in realtà, i problemi cui si è accennato come esempi, non hanno in nessun senso una dimensione individuale o, all'opposto, una dimensione etnica globale; il loro presentarsi e maturare come aspetti problematici nella attuale situazione economica e sociale del Sudtirolo è legato alle contraddizioni ed alla incapacità del sistema economico e politico nel risolvere positivamente le condizioni di marginalità e ad impostare uno sviluppo economico integrato ed equilibrato territorialmente. Questi problemi, che affliggono la nostra situazione economica e sociale, si possono riassumere brevemente così:
I gruppi etnici non sono estranei a tutti questi problemi che tendono sempre più a manifestarsi attraverso momenti conflittuali, ma sono, più precisamente, alcune componenti sociali all'interno di ciascun gruppo etnico che emergono di volta in volta come protagoniste o come destinatarie. In altre parole, i problemi non investono e non riguardano più soltanto un gruppo etnico nella sua globalità e nella sua sostanziale diversità dall'altro gruppo etnico, ma hanno bensì come protagonisti o come destinatari determinati gruppi o classi sociali che si ritrovano — seppur talvolta in differenti condizioni di maturità — all'interno di ogni gruppo etnico. Il Sudtirolo non è più, nemmeno agli occhi più sprovveduti, un parco etnico dove i tedeschi si confrontano con gli italiani perché la loro condizione, la loro cultura o le loro aspirazioni sono radicalmente diverse e alternative; non è quindi più il tempo per negare le caratteristiche di un sistema economico e sociale che non beneficia tutti nella stessa misura e che relega una parte della popolazione in condizioni di inferiorità economica e sociale, di marginalità e di ritardo.
I fatti nuovi maturati in questi ultimi tempi, dalla accettazione ed applicazione delle norme contenute nel «pacchetto» fino alla battaglia condotta all'interno del gruppo etnico tedesco per l'insediamento di nuove aziende industriali, stanno ad indicare chiaramente che i problemi sociali ed economici legati ad un sistema che è nel contempo non equilibrato ed in ritardo nel suo sviluppo, stanno facendo capolino «davanti» ai problemi di natura etnica e sollecitano, in un certo modo, il chiarimento del loro ruolo insostituibile ed attivo di questi ultimi.
Si noti bene: i problemi sociali stanno emergendo ma non per questo i problemi etnici sono scomparsi; questi ultimi vanno però incontro alla necessità di darsi un ruolo, una sostanza e forme di manifestazione di tutela non pili transitorie o legate alle circostanze avverse ed agli effetti duraturi e profondi di politiche sbagliate del passato. In sintesi, il problema etnico deve diventare un elemento costante, insostituibile e socialmente positivo della realtà sudtirolese, progressivamente liberata dalle situazioni difficili e dai ritardi che si fanno sentire e che rendono precaria soprattutto la situazione di alcuni gruppi o classi sociali minoritarie.
Il «pacchetto» è stato considerato spesso come una premessa indispensabile per poter lavorare attorno ai problemi sociali ed economici della provincia di Bolzano. In realtà, non è tanto il «pacchetto» ad essere una condizione indispensabile quanto i rapporti etnici stessi, di cui il «pacchetto» non fa altro che dichiararne il ruolo sostanziale e le forme ed i modi in cui alla realtà che essi sottendono può essere data dignità costituzionale, istituzionale e politica. Le ragioni che ora, più che mai, giustificano la ricerca della reciproca «lealtà» nella applicazione dei contenuti del «pacchetto» sono ancora una volta legate alla condizione particolare in cui si trovano delle minoranze, non più etniche, ma sociali ed economiche. La risoluzione dei problemi che riguardano questi gruppi minoritari e queste classi sociali può essere posta all'interno di un quadro e di un'azione politica, le cui caratteristiche possono essere valide per tutte le forze progressiste e democratiche indipendentemente dal loro colore etnico, e che ha le seguenti ragioni per essere comune: il decentramento politico, economico e l'autonomia delle varie istanze sociali non può coesistere con l'accentramento; l'affermazione del principio della partecipazione non può coesistere a lungo andare con situazioni di palese sperequazione e di ingiustizia, perché l'ingiustizia si accompagna sempre ad una distribuzione squilibrata del potere e della possibilità di incidere sul corso delle cose e quindi tale da negare, nella realtà, la possibilità stessa della partecipazione; infine, l'isolamento spaziale e la emarginazione economica non possono che essere una verifica negativa di ogni programmazione economica e sociale e dimostrano l'incapacità nel trasformare i valori sociali in costi sociali.
NOTE
1 Agli italiani
che risiedono nel territorio rurale della Provincia sono rimasti i compiti
e le funzioni che i metodi di organizzazione della compagine sociale propri
del fascismo avevano legato alla centralizzazione ed in definitiva alla negazione
dell'autonomia e del rispetto delle capacità politi-che ed amministrative
delle popolazioni locali; questi compiti erano di controllo di tutti i servizi
pubblici ed amministrativi e di mantenimento dell'ordine pubblico.
Anche se la situazione è ora in parte cambiata, gli italiani diffusi
in periferia non sono nella condizione di chiedere e di ottenere — nella
maggior parte delle situazioni, cui fa eccezione la zona della Bassa Atesina
— un completo inserimento nel tessuto sociale locale e manca loro la
legittimazione ed il riconoscimento delle popolazioni di lingua tedesca alle
funzioni sociali ed amministrative che essi esercitano. Ben inteso, questa
osservazione non vuole toglier nulla ai passi positivi che si son fatti sul
piano della reciproca conoscenza e comprensione.
2 Questo modello è riportato a conclusione di una ricerca condotta da un'équipe di antropologi americani in due paesini che si trovano a cavallo del confine etnico fra la provincia di Trento e quella di Bolzano. Essi avevano osservato che mentre la condizione economica non presentava significative differenze, nel tipo e nel grado di sviluppo, era la struttura sociale complessiva ad essere notevolmente differente e caratterizzata. A conclusione della ricerca è detto: «I due esempi rappresentati da Tret (il paese trentino) e St. Felix (il paese sudtirolese) somigliano ai gruppi esposti da Alex Bavelas nel suo libro Comunications Patterns in Task-Oriented Groups. St. Felix assomiglia al gruppo chiamato ruota, nel quale i messaggi tra i membri devono passare attraverso un capo distinto ed attivo. A St. Felix i membri sarebbero le unità lineari ed il capo sarebbe rappresentato dai gruppi ideologici organizzati gerarchicamente (la chiesa, il partito, le organizzazioni paramilitari). Tret assomiglia al gruppo chiamato cerchio, nel quale ognuno è ugualmente centro e tutti possono scambiarsi messaggi. I segni cerchio e ruota simboleggiano rispettivamente un processo autoritario e democratico. Evitando classificazioni piuttosto pesanti,... parleremo di St. Felix come di un paese marcato da ordine, autorità e tendenze militarizzanti e di Tret come di un paese marcatamente egualitario, antimilitare e più aleatorio. Questa situazione si manifesta a St. Felix soprattutto nell'incapacità del contadino nel trovare un punto di raccordo con la realtà industriale del mondo moderno». E. Wolf, «Cultural Dissonances in the Italian Alps», in «Comparatives Studies in Society and History», V (1962), p. 12.
3 Qualcosa di simile è accaduto per la questione meridionale. Sono ormai concordi gli studiosi del problema nel negare la validità di un'impostazione che dava al meridione d'Italia le caratteristiche della regione sotto-sviluppata, con la miseria e l'arretratezza sociale e culturale ad impedire il suo riscatto, che non si era ancora messa in moto secondo le linee di quel processo di sviluppo maturato nel resto della penisola. Questa può esser tutt'al più una fotografia non un'analisi, perché nessuno è ormai disposto a credere che i mali del meridione si trovino confinati soltanto nel meridione stesso senza essere determinati prevalentemente o quanto meno condizionati dai rapporti che il meridione ha con il resto del paese. Tutti i meridionalisti concordano oggi nel ritenere il problema come un problema nazionale e quindi non regionale e geograficamente limitabile; esso è un nodo di problemi che investe e condiziona tutto lo stato italiano a tutti i livelli di vita. In questa stessa situazione si trovano, secondo noi, anche tut-te le regioni o le zone marginali e sottosviluppate, fra le quali vi è, pur con problemi particolari, anche il Sudtirolo.