IL CRISTALLO, 1960 II 1 [stampa]

MINIMA (sud)TIROLENSIA

di TINO TOMASI

I Tirolesi del sud non sono una entità astratta che si possa descrivere a tavolino. E viverci a contatto intimo non è sempre possibile (né agevole). Tuttavia chi li osserva deve porsi in una prospettiva imparziale che sia congiunta a una totale comprensione e a una infallibile sicurezza di caratterizzazione nonché scevra da stimoli irrazionali e capricciosi. L'analisi esposta in queste pagine (che potrebbe forse rivelarsi contaminata da dati simpatetici, certo incompleta) tenta una puntualizzazione di giudizi — molti dei quali espressi in tacita e sottintesa comparazione — e di note di costume accessibili a quanti conoscono questa bella contrada e vogliono tenersi lontani sia dal malvezzo di definizioni chiuse e semplicistiche, sia dalla virulenza e dalle asprezze polemiche, sia dai modi meramente descrittivi e dunque fatalmente moralistici.

Per rendersi conto del costume, cioè del tipo di cultura che definisce i Tirolesi, bisogna esaminarne le categorie intellettuali, la loro formazione e la loro elaborazione.

Essendo quella tirolese una società prevalentemente contadina, esprime negli ecclesiastici la sua più tipica categoria di intellettuali. Questi accentrano, ancora oggi, alcuni servizi importanti, perché il loro gruppo è il detentore delle sovrastrutture in genere, ossia dei principi ideologici che ispirano la società stessa: l'istruzione, la morale, l'assistenza, la beneficienza (tuttavia assistenza e beneficienza sono poco sentite dai tirolesi che sono inclini a un certo atteggiamento di autosufficienza).

Nel Tirolo del sud il clero, come classe, accetta gli schemi della società medioevale e, come casta, gode di enormi condizioni di favore così che detiene il potere reale, anche se non ne dispone direttamente. Dal punto di vista dottrinario, i preti tirolesi accettano formalmente il rigore dogmatico della gerarchia.

Sono dunque più cattolici che cristiani.

I membri dei numerosi ordini religiosi, qui, come ovunque, non appartengono al destino mondano (almeno come scelta dichiarata). Pure influiscono sulla società con una forte curva di incidenza mantenendo inalterata la loro impermeabilità all'ambiente «nuovo» : il che significa preclusione pressoché totale di rapporti coi cristiani che non sono di lingua tedesca.

I maestri elementari, che sono espressione dello stesso spirito, esercitano nell'area scolastica messa a loro disposizione una notevole egemonia. Non avendo ancora perduto il prestigio che godevano nella società absburgica, adempiono efficacemente la loro funzione di «custodi». E sia detto senza ironia. A quella del prete e del maestro si associa ancora adesso la funzione del medico. La collaborazione tra queste categorie è evidente.

La grande e media borghesia commerciale non esprime intellettuali ecclesiastici e neppure maestri: la borghesia è piuttosto agnostica di fronte alle regole e alle interpretazioni ideologiche della vita; qui, come in tutto il mondo, il profitto è il dio immanente e unico.

Il tipo di istruzione si sceglie secondo la divisione tradizionale della scuola in classica e professionale: la prima per le classi dominanti e per gli intellettuali, la seconda per le classi strumentali.

Il servizio di diffusione della lettura è monopolizzato dal clero e dalle organizzazioni religiose. Per il teatro che superi il livello parrocchiale e per il cinema in lingua tedesca, i Tirolesi sono evidentemente tributari. Vanno spesso a vedere dolciastri ed inverosimili fumetti naturistico-folcloristici.

La classe media legge i periodici illustrati che diffondono la solita informazione, il solito conformismo, gli ideali borghesi normali, col tono moralistico che non va oltre il luogo comune e la tendenza filistea. Le classi colte hanno letto e leggono indifferentemente in italiano e in tedesco e anche in inglese (preferibilmente che in francese). Una recente indagine dà per conosciuti

(ma non troppo) nel mondo «laico» i nomi più diffusi della letteratura tedesca moderna e contemporanea: Zweig, Mann, Remarque, Frank, Kafka, Rilke, Musil, Brecht, Adorno, e, in genere, la letteratura classica mitteleuropea.

La grande massa contadina non oltrepassa la barriera dei libri edificanti, secondo le indicazioni dei fogli parrocchiali.

È facile perciò arguire che l'espressione stessa dell'esigenza religiosa — che è assai raramente bigottismo o untuosità — si confonde con l'ossequio agli ecclesiastici, la cui oligarchia decide il governo delle coscienze: i Tirolesi non hanno una vita interiore segreta, complessa, problematica, men che meno drammatica. Dei due pilastri dell'Austria absburgica paternalistica e reazionaria, il clericalismo e il militarismo, il primo è sopravvissuto rigoglioso e persegue — anche sotto le spoglie di una effimera praxis democratica — il risultato di conservazione proprio delle società fondate sul principio della teocrazia.

Del resto i contadini non sono stati condannati dalla storia a una funzione conservatrice?

Se si aggiunge l'avversione profonda a ogni dilettantismo o alle consorterie, il netto contrasto con ogni forma di esterodossia e il facile ideale di un partito unico (che è sempre stato il sogno mediocre dei regimi, appunto, teocratici) ci si renderà conto di come le patriarcali tradizioni possano aver qui profonde radici.

A prescindere dalle analisi di settore (contadini, artigiani, servi agricoli, commercianti, albergatori, professionisti, impiegati) si può tentare una analisi più generica e più concreta, fatta di constatazioni, anche minime, di quei tratti di costume che si rivelano come peculiari e tipici, aderenti alla cronaca, che è più vera della storia.

I Tirolesi sono tutti molto laboriosi. E dunque si alzano molto presto alla mattina. Certo conoscono poco la noia (e meno ancora, forse, la malinconia, come quelli in cui la tentazione poetica è quasi inesistente).

Presso queste genti non è concepibile il parassitismo (se si esclude, evidentemente, quello implicito nel sistema borghese).

Quei pochissimi mendicanti tirolesi che suonano alla porta, sono bisognosi di esporre le ragioni e le scuse della loro condizione come per rinnegare la loro qualità di mendicante nell'atto stesso di chiedere l'elemosina.

In questa società capitalistico-conservatrice, i singoli sono governati dalla moralità calvinistica della ricchezza e del benessere. Non esiste la professione del fannullone, né quella del figlio di papà. Ed è sconosciuta, anche alle signore della borghesia, la ciarliera poltroneria e il vero e il falso intellettualismo.

Questa laboriosità è mossa, quasi esclusivamente, dall'ideologia utilitaria, propria qui non solo della borghesia, ma di ogni ceto.

Così è assai difficile, per i Tirolesi, ammettere l'esistenza di uno di quei gruppi di sottoproletari che hanno stanza alla periferia dei centri urbani: da buoni moralisti non arrivano a comprendere il quadro generale della società e a sistemarvi storicamente l'esistenza di nullatenenti o di proletari.

La violenza di questa ripulsa certo ha, ancora, origine calvinista. Del resto non è concepibile qui, tra le virtù cristiane, la carità. Un certo standard di vita tradizionale, forse, ha reso i Tirolesi sicuri fino all'aridezza e in buona parte insensibili al contenuto drammatico della vita, fondata per loro su un gretto rigorismo incapace di pesare le sfumature (e non solo quelle...).

I sudtirolesi, essendo volitivi, sono naturalmente anche diligenti, costanti, metodici, esatti. Non conoscono (o quasi) quella vecchia malattia che è il favoritismo e meno vistoso è presso di loro l'uso della raccomandazione e il gusto diffuso di imbrogliare il governo ... In fondo non sono né scettici, né disfattisti.

Sentono, oltre alla dignità individuale, quella dell'organismo al quale vogliono appartenere, anche se nelle manifestazioni corali, negli incontri collettivi, non riescono quasi mai a superare la linea del pittoresco.

Non sono scaltri e sono coscienti che la scaltrezza non è una qualità, ma un espediente.

Quelli che per secoli sono stati i sudditi della imperial-real casa absburgica, hanno radicato il senso del rispetto e forse (ma oggi evidentemente non più) della devozione per l'autorità costituita: eppure non conoscevano il servilismo che si sarebbe potuto accompagnare alla condizione, appunto, di sudditi. E adesso conoscono, per altro verso, l'ubbidienza.

A diretto confronto con una società pettegola, irriverente, e spesso triviale, sempre pronta all'abbandono e alla confidenza, i Tirolesi si mostrano, e sono, discreti, pieni di tatto e di cortesia: dati che possono essere sovente frutto di aridità sentimentale, ma che indicano anche dominio di sé, forza di carattere, rispetto della persona propria e di quella altrui.

Anche i più superficiali osservatori, quando capitano qui, magari per qualche giorno di ferie, scoprono alcune cose che non si erano mai neppure immaginate, immersi come erano nelle abitudini deteriori. Chi entra in un caffè o, meglio, in uno di quei locali che si chiamano «Konditorei» o in un albergo, può constatare come sopravvive, in questa terra, lo stile degli autentici camerieri, formatisi in quelle accademie di urbanità che erano i famosi caffè viennesi (o meranesi) nel clima anteriore alle guerre mondiali.

In quella Merano dispendiosa, popolata di principi decadenti, di mondane famose in mezza Europa, in quella città i camerieri affinavano la loro classe, assorbendo la signorilità del mondo a cui servivano. Tuttora il galateo di questi camerieri raggiunge — relativamente ad altri popoli — il culmine della perfezione.

Questa estrema discrezione, questo stile, poco si accordano oggi con la grossolanità dei frettolosi, degli svagati ... in mezzo a questa falsa America dei bar con fonografi automatici.

Del resto il tatto e la cortesia hanno avuto il loro momento storico preciso: che è stato quello in cui l'individuo borghese si era appena liberato dalla costrizione assolutistica. Così al rispetto e alla considerazione gerarchica (elaborata dall'assolutismo), si sostituì la discrezione voluta dai nuovi criteri borghesi.

In questa società tirolese ci fu e c'è, perciò, un paradossale incontro di assolutismo e di liberalità. Certo bisogna dire che sono molto convenzionali: essendo appunto la convenzione il presupposto del tatto. Accettata la convenzione, si cade nella cieca conformità. Così il tatto si trasforma in formalismo, in cerimonia, in liturgia. Alla fine diventa pura e semplice disciplina (o menzogna?). Ecco perciò la fanatica osservanza degli anniversari, delle ricorrenze codificate, delle scadenze indilazionabili (perfino «la giornata della madre»!) di cui non si capisce quale sia la molla: se un infantilismo ingenuo e genuino o un meccanismo programmatico e indisponente.

Però non sono quasi mai verificabili presso i Tirolesi gli atteggiamenti esibizionistici o plateali che sottintendono il rapporto di forza. Il Tirolese non è né il compagnone, né il «parvenu» che ha bisogno di mostrare la sua casa o i suoi quadri o la sua automobile.

Eppure è largamente ospitale. È parsimonioso discreto riservato, non indulge al racconto intimo o autobiografico.

Ma quando accetta un'amicizia è fedele fino in fondo, come alla parola data. È sufficientemente dignitoso per non permettere che l'amicizia degradi a livello utilitaristico.

Il tirolese, essendo egli stesso serio, esatto, scrupoloso, accetta per date, come un assioma, le sue stesse qualità negli altri. Perciò non conosce l'irriverenza o la maldicenza. Piuttosto si metterà dalla parte del moralismo, della riprovazione, non raramente si abbandonerà a punte di manicheismo. Ben inteso, molto spesso le sue qualità si trasformano, per esasperazione, in difetti indisponenti. Allora la «Wohnkultur» vanto comune a tutti i nordici, diventa una idolatria. Allora dal gusto per il pulito, dalla infinita minuzia con cui adempie i suoi compiti, la massaia tirolese passerà all'igienismo perentorio e persecutorio: e il marito dovrà comportarsi in casa come in una chiesa. Non gli sarà concesso sovente di rovesciare una goccia di vino sulla tovaglia di bucato (perfetto) o di lasciar cadere dal cucchiaino un milligrammo di zucchero nel tragitto dalla zuccheriera alla tazza: lo si guarderà con malcelato furore come se fosse un iconoclasta.

Così il gusto per l'esattezza molte volte diventa, specialmente agli occhi dei più irrequieti, una manifestazione di pedanteria esasperante.

L'accesso alle case dei Tirolesi è assai difficile. Neppure fra di loro si frequentano molto. Non è concepibile la confidenza, la libertà, l'«apertura» con cui gli italiani, specialmente tra i giovani, frequentano gli uni le case degli altri.

I Tirolesi difendono con estrema gelosia il proprio mondo privato: forse perché sono sorretti da una notevole freddezza di calore umano. I Tirolesi sanno stare e essere soli.

Questa riservatezza (questa freddezza) vale, evidentemente, non solo nei rapporti con gli estranei, ma anche nei rapporti tra intimi, tra parenti, tra consanguinei.

Se la reciproca indipendenza degli elementi che costituiscono un gruppo familiare è, da una parte, indice di maturità e dunque di autosufficienza, per altro verso è espressione di un agnosticismo che arriva alla brutalità.

Non è affatto raro, anzi è nella norma, il caso di vecchiette che, rimaste vedove, continuano a vivere da sole, nella loro casa. Non vengono accolte dai figli, non vanno a vivere nelle loro case: gelosia della propria libertà — una libertà che si riassume nella solitudine — rispetto per quella altrui discrezione, coraggio di vivere o indifferenza sentimentale?

Certo il caso delle nonne-nurse, delle nonne-surrogato di donna di servizio, qui è del tutto improbabile e improponibile.

All'estremo opposto, le giovinette vengono messe molto per tempo in grado di esercitare totalmente la loro autonomia spirituale e fisica.

Qui, giusto il costume nordico, quello che per altri è il grande peccato, il peccato principe, l'unico peccato, rientra nelle sue giuste proporzioni. Così l'iniziazione alla vita sentimentale (e a quella erotica) è vista dagli anziani con occhio meno ipocrita, meno persecutorio. insomma più civile. Non si può dire che in proposito ci sia indifferenza, ma e'è ripugnanza innata per gli atteggiamenti di sfiducia e di sospetto verso una presunta fraudolenza.

Meno lugubre è perciò l'atmosfera di colpevolezza, di dileggio che avvelena la vita erotica, nel cui equilibrio si vede un fattore notevole per la serenità interiore. E meno violenta è l'insorgenza di angosce, di sentimenti di colpevolezza nei riguardi del sesso. Meno esplicite, meno evidenti sono l'etica e la prassi sessuofobiche.

Né la madre è addetta al poco decoroso officio di inflessibile gendarme e custode della virtù (univocamente intesa) della figlia, considerata come un capitale da conservare fino a quando non sia arrivato il migliore dei partiti possibili per investirlo ... Non che i Tirolesi nella scelta dei matrimoni vadano a casaccio: no, no! Il criterio borghese, anche qui, non disdegna di sovrapporsi all'amore. Un proverbio poco romantico dice testualmente: «Die Liebe geht durch den Magen» ...

Bisogna dire che presso i Tirolesi non è molto accentuato il disquilibrio dovuto al rifiuto del corpo: molta libertà, molta spontaneità, anche nella classe sociale più «chiusa», stanno all'origine degli atteggiamenti igienistici di un diffuso naturismo.

Questa costante e tenace immersione nel mondo pratico li porta piuttosto a una banalità di atteggiamenti, con conseguente povertà di componenti fantastiche, ironiche, alla destituzione dal senso dell'humor, che certamente male si concilia con questo mondo in cui la rigidità morale sommerge la possibile plasticità delle componenti estetiche. Eppure hanno espresso un loro stile nelle arti figurative e appassionata è l'applicazione alla musica, nelle chiese, nelle case private.

In nome del folclore, si respingono qui le sollecitazioni del mondo moderno, che va cancellando inesorabilmente le indulgenze al pittoresco.

L'uomo moderno, se raffinato, si vergogna delle insegne, delle livree e delle uniformi. I Tirolesi invece ci sono attaccati con il deteriore schematismo della mentalità corporativa. Perciò non avvertono il grottesco, il «pompieristico» di certe manifestazioni collettive. Ecco dunque il «Bàcher-Ball» il «Metzger-Ball», il «Feuerwehr-Ball» e — incredibile dictu! — l'«Akademiker-Ball» ...

In questo paese dove l'affermazione della personalità individuale è portata ad un alto grado, l'individuo stesso — solo apparentemente in modo paradossale — tende a farsi assorbire dalla sua funzione, da un emblema.

È dunque una società che vive di protocolli e di forma, che si identifica non solo col proprio mestiere, ma, e soprattutto, con le insegne di esso. È ovvio che ciò significa anche fede nel proprio lavoro e orgoglio di eseguirlo come un compito degno e utile a qualsiasi livello.

Nelle strade del centro l'artigiano circola con il grembiule o col camice: questa non è una infrazione alla decenza, alla tenace prassi piccolo borghese, secondo la quale non ci si può presentare mai se non «korrekt in jeder Situation», ma è l'estrinsecazione del più coltivato, tenace e patetico orgoglio municipale (queste bandiere, questi stendardi, questi labari ... queste «piume sul cappello!» ...).

Derivano da qui la fiducia e l'ottimismo, perfino la cautela o la sicurezza quotidiana: da questa assenza di respiro universale, di passioni scomposte e incontrollate. I Tirolesi, in verità, non vivono agli ordini dell'impazienza e neppure nella notte della disperazione. Certo, anche per loro, si può dire che non sempre la saggezza è gradevole: e i loro «intellettuali» non sono sicuramente i chierici di una società ideale.

Eppure questa loro società vive la sua minore epopea quotidiana, che non conosce noia o insofferenza, proteste o evasioni. Che c'è di più eternamente immobile, di più puntualmente ricorrente di una festa campestre, così che oltre un melo fiorito o una vite ricurva non si possa sospettare un altro orizzonte?

Dopo tutto anche l'«Arcadia» è stata una visione del mondo.