IL CRISTALLO, 2008 L 1 | [stampa] |
Quarant'anni dal 1968, ossia dall'anno "topico", anzi "topicizzato" per divenire l'emblema della Rivoluzione studentesca, ma non solo, di una "rivoluzione del costume", di una rivoluzione politica, sociale, di un cambiamento radicale dei paradigmi nella maniera di pensare-agire-vedere il mondo e quant'altro... Ecco, probabilmente, "cambiamento radicale", mutamento di parametri sarebbe più adeguata come espressione rispetto a "rivoluzione", sia nel senso accreditato della/dalla politologia e dalla teoria politica, sia anche in quello più etimologico, dato che sappiamo che "rivoluzione" deriva dal tardo-quattrocentesco copernicano "De revolutionibus orbium coelestium" (nel latino classico la parola è praticamente assente). Certo è che, forse a differenza che dopo l'11.09.2001, "dopo il Sessantotto nulla fu più come prima" (o quasi). Un errore, certamente, è stato quello di cristallizzare tutto il disastro o la positività del"dopo"in un anno; storicamente, lo sappiamo (Braudel, ma non da solo, docet) vale la"lunga durata", quindi in molti luoghi il cambiamento di parametri culturali etc. non avvenne subito. Politicamente, poi, in nessuno dei paesi "coinvolti" dal Sessantotto e dintorni vi fu una"rivoluzione" né sociale né politica: negli States vinse il conservatore moderato Richard M. Nixon, in Francia fu confermato (anzi ne uscì rafforzato) il generale Charles De Gaulle, in Italia rimasero i governi di centro-sinistra (anzi, con alcuni"rinculi", con un governo di centrodestra nel 1972, vari monocolori, oltre ai primi "vagiti" di terrorismo, violenza contro lo Stato e di "Stato"), in Germania idem. A livello salariale nessuna significativa variazione, salvo un affermarsi della "soziale Partnerschaft" (contrattazione sociale), d'origine socialdemocratica (ma fatta propria-accettata dalla CDU e in parte dalla CSU bavarese). Semmai, a livello di costume vi furono significative variazioni: "Il marxismo si presentò come la rivoluzione degli oppressi, il 68 invece fu la rivoluzione dei repressi. Non liberò dai padroni ma dai padri. Marx, corretto da Freud e da Lacan, finì in minigonna e jeans" (da Marcello Veneziani, "Rovesciare il 68", Mondadori, Milano). Ecco, con Veneziani, intellettuale della "nuova destra", da anni sulla cresta dell'onda, precisamente da inizio anni 1980, quando fu pubblicata la sua interessantissima tesi su Julius Evola, un giudizio icastico, ironico e a tratti grottesco sul "Sessantotto", dove vale ancora una volta il "prendere o lasciare", che vale anche sull'anno e la "costellazione culturale" che rappresenta. Sarà difficile mettere d'accordo nemici e apologeti del Sessantotto, come sostenitori-aficionados di Veneziani e suoi detrattori, certo non escludendo posizioni mediane, più critiche e "mediane" (chi scrive, di calcio non capisce nulla, quindi la metafora è spaziale, non sportiva), comunque disposte al dialogo. Rovesciando lo slogan del "Mai 68" parigino "L'imagination au pouvoir", Veneziani dice: "La fantasia non andò al potere, ma il potere andò a chi ne usò lo slogan". Secondo il pensatore e opinionista italiano, poi, di Sessantotto ce ne furono almeno tre, quello "americano, hippie e pacifista, quello francese, gauchista e sartriano e quello dell'Est, forse l'unico davvero libertario", con "Jan Palach (studente cecoslovacco, e.g.) l'unico sessantottino che scontò la protesta sulla propria pelle. Gli altri incendiarono il mondo pensando a se stessi, lui incendiò se stesso pensando al mondo. Entrambi amarono la libertà, ma in modo diverso. Lui affrontò i carri, gli altri carriera". Con il gusto della provocazione, il questo libro dallo stile a-sistematico, aforistico, "rapsodico e intermittente" (questi ultimi due aggettivi sono dello stesso Veneziani), sulle orme degli amati Nietzsche e Cioran, a tratti dell'Evola di "Cavalcare la tigre"), Veneziani scombussola le certezze dell'"ex" e magari anche dei "post"che del 1968 si sono innamorati comunque, siano le cose come sono, stiano come stanno... Ancora: "il Primato del Nuovo, il culto giovanilista, la priorità dell'agire sul pensare e sullo studiare, dello spettacolo sulla riflessione, portano un marchio di fabbrica:made in USA. Sognavano Mao e praticavano Bob Dylan. L'internazionalizzazione si tradusse in globalizzazione". Aforismi, s'è detto, calembours, anche. Ma che lo studiare, dal Sessantotto in poi, sia in ribasso è vero (per la verità i contraccolpi si vedono più che altro oggi, con il 3+2 all'Università, ma non solo...), che si sia affermata la "società dello spettacolo" lo si vede dai reality shows alla politica/spettacolo, anzi, ciò è sempre più vero. Con gli ironici ringraziamenti a "padroni del pensiero" variamente targati, ma senza entrare nel dettaglio: se guardiamo ai "protagonisti" del 1968 (ripeto: a prescindere dal giudizio di fondo e complessivo), dalla Francia Dany le rouge (Daniel Cohn-Bendit) scappò in Germania, divenendo politologo, politico professionista (della "destra" verde/ecologista), molto attaccato al potere, autore con Thomas Schmidt di un pamphlet ("Heimat Babylon") certo per nulla socialista né libertario verso gli emigrati, Mario Capanna fu transfuga politico molte volte, Grace Slick negli States (poetessa e cantante dei "Jefferson Airplane", "leader sessantottina" nella cultura e nello spettacolo) transita da un manicomio all'altro, avendo abusato di LSD (una delle più coerenti, diremmo), Joschka Fischer, dal canto suo, è divenuto un politico di regime... Dopo di che, ma anche dopo la lettura del libro di Veneziani, forse tutti rimarranno della loro opinione, confermando il proprio giudizio, ma... almeno in qualcuno, "scatterà il demonietto" del pensiero autonomo... senza divenire "automa", per citare un altro aforisma dell'autore.