IL CRISTALLO, 2008 L 1} | [stampa] |
Sapore d'altri tempi, di diversi costumi, di classi scolastiche piene di garruli bimbi, di poesia che sgorga dal cuore in onde musicali: è questa l'impressione immediata che si ha leggendo questa breve raccolta di liriche di Domitilla Pisani Giubilato, pubblicata postuma da una figlia, che vi ha apposto delle chiose a chiarimento di vicende umane. E per meglio fissarne la memoria il volumetto, che per il valore affettivo prescinde dalla sua modestia editoriale, presenta anche qualche fotografia dell'autrice.
Il poetare della Pisani Giubilato ha inizio nel 1942 a Venezia, dove lei è giovane maestrina e dove quattro anni dopo ha occasione di conoscere l'allora oscuro Goffredo Parise, il quale comincia a corteggiarla, senza però ottenere consensi e promesse da lei, che è già fidanzata col futuro marito, Piero: e lo scrittore per questa delusione diventa ironico con lei, adombrandone poi l'immagine in un suo romanzo. (Tra parentesi qui va osservato che il mese della morte dell'"intelligente vecchio amico-corteggiatore" in questo libretto risulta inesatto, in quanto che egli morì in agosto e non in maggio del 1986.)
Ecco dunque che in queste pagine sfilano ricordi, osservazioni, impressioni. Anzitutto c'è la scuola d'allora, ma traspare anche la figura del fidanzato, poi marito, con le sue traversie militari, l'angoscia per la guerra, e poi la serena vita familiare, l'assistenza ad un disabile in pellegrinaggio a Lourdes, il rimpianto per la fine della vita d'un tossicodipendente. L'autrice esprime il suo amore giovanile a volte con espressioni parossistiche che s'accostano al catulliano odi et amo. Qua e là ci sono pennellate di colore, scorci di paesaggi, aneliti dell'animo, espressioni di fede; e, se da una parte a volte il linguaggio è semplice e rispecchia un'innocenza nativa, dall'altra in molte composizioni, anch'esse ineccepibili dal punto di vista della correttezza linguistica, c'è una tecnica più elaborata e una musicalità sottesa, con versi che spesso trovano il loro fascino in rime e assonanze (anche interne), nella giusta misura e nell'opportuna collocazione delle parole.
Questo è un fascino che, coi suoi sogni e fantasticherie, ci riporta a certi poeti rimastici impressi dagli studi scolastici, quali Pascoli, Gozzano, Valeri, ecc.; e come loro l'autrice ama la natura, i paesaggi, le stelle, gli animali, gl'intimi sentimenti: tutte cose intrise di grandi significati. E a conclusione della sua parabola lei scrive: "Corolle improvvise sbocciate / infinite, danzanti, / sul piazzale d'asfalto / sorriso dal sole. / Ma la pioggia abbondante / di un incredibile rosa / non può rinverdire, qua dentro, / la mia rinsecchita mimosa."
Notevole è infine il testamento poetico-biologico dell'autrice, scritto nel 1980 e collocato in apertura del volumetto, a mo' d'epigrafe, quasi a condizionare la lettura dell'intero contesto, in un momento come il nostro in cui c'è un vivo dibattito al riguardo: "Quando verrà l'ora mia / lasciatemi morire, lasciatemi andar via. / Non prolungate il battito del cuore / ove non regna amore. / Se non c'è luce nel pensiero mio / lasciatemi volare in seno a Dio. // [...] / prego voi che mi amate: / non prolungate / la mia umana attesa. / Quando il giorno mio verrà, / voglio andarmene presto, / in dignità." E a ciò poi aggiunse esplicitamente: "Non voglio assolutamente l'accanimento terapeutico... Lasciatemi morire in pace, con dignità, con naturalità." Il che è avvenuto nel gennaio 2006, lasciando nei congiunti la foscoliana "eredità d'affetti" e in tutti i lettori la prova dell'afflato lirico e della competenza stilistica d'una fine poetessa.