IL CRISTALLO, 2008 L 1 | [stampa] |
L'epigrafe – in versione originale e tradotta – a firma di Gunter Eich, che Silvano Demarchi ha voluto in testa al suo ultimo lavoro poetico, recita così: "Io sono dove la ghiandaia / si aggira tra i rami / più vicino a un segreto / che non arriva alla coscienza". La scelta ci è sembrata molto di più di una semplice citazione: fatto proprio dal poeta, l'esergo costituisce – a nostro avviso – una didascalia che mira a fornire quelle coordinate che spronano il lettore a localizzare l'area entro cui si muove non soltanto questa determinata scrittura ma un'intera poetica, una Weltanschauung individuale solida e convinta.
Dov'è, allora, che dobbiamo rintracciarlo, dove si trova lo spazio vitale di un uomo che sente il mistero tanto a lui prossimo quanto sfuggente a qualsiasi tentativo di cattura da parte della consapevolezza? Alle nostre domande non tardano inequivocabilmente a rispondere sia il Prefatore dell'opera sia l'Autore della stessa.
Antonio Crecchia, con acume, rileva: "Si possono fare ipotesi, nutrire speranze, accogliere il messaggio di 'vita eterna' annunciato dai Vangeli per evitare che il cuore diventi 'una landa desolata... ', ma non possedere la divinazione del futuro, ossia la suprema virtù di penetrare l'occulto. In questa assenza di certezze definitive nascono l'inquietudine e l'angoscia, il travaglio senza fine che turba il pensiero e l'animo umano.". Silvano Demarchi, sconfortato, "stordito", dice in versi l'ascolto "di quelle voci profonde" provenienti dagli abissi oceanici, del gorgheggiare oracolare (forse sgraziato?) dell'uccello purpureo che ripete, come una condanna, il suo vaticinio: "- Chi si è inoltrato / nell'inesplicabile Notte, ai suoi cari, / agli amici d'un tempo / più non tornerà. / Duro è il destino dell'uomo / e più ancora / nulla sapere dell'Oltre.".
Ma le rispettive riflessioni non si esauriscono certo qui se, subito dopo, Crecchia prosegue affermando: "Eppure, a volte, basta uscire dall'immersione..., basta allontanarsi dalla ricerca del 'segreto perché delle cose', guardarsi intorno, afferrare l'incanto e l'armonia che dominano negli aspetti naturali, per scoprire la dimensione della quiete interiore, di quella pace che l'anima 'senza cercare ha trovato' ". Le citazioni presenti nel pensiero testé riportato sono tratte dalla splendida poesia attraverso la quale il poeta altoatesino esplicita liricamente le proprie sensazioni-convinzioni; da "Lago": "Lo specchio del lago / è limpido e terso questa mattina /.... / lenti navigano candidi cigni / e alzavole verdi-dorate..." e, dunque, la quartina finale – con i versi detti – che compie il prodigio, seppure circoscritto, seppure limitato alla breve durata, all'attimo fuggente dell'ispirazione, di sanare il dissidio tra cuore e ragione, d'esaudire il desiderio d'armonia del primo e di placare l'ansia di ricerca della seconda.
Su questa dicotomia – ricondotta ad unità dai vari "Momenti" creativi – tra philosophos e poiete's, s'incentra e si gioca l'excursus della silloge, per questo, tappa significativa di una scrittura. Non poteva scegliere titolo migliore, per il suo nuovo libro, il Nostro, perché è lì, esattamente lì, in quei momenti, a volte paradisiaci, altre più terreni, comunque estatici, che egli desidera essere incontrato. Ed è all'interno delle sue stesse rivelazioni che andremo a cercarlo, con la certezza di trovarlo a vivere il mistero quasi senza rendersene conto.
La raccolta è suddivisa in cinque sezioni ma le percorre tutte – facendone un corpo unico ed omogeneo – questo bisogno inesausto, quest'indagine (ci si passi il termine) preterintenzionale del trascendente. La prima, oltre a contenere le liriche di cui abbiamo disquisito, si apre con "lo stupito candore dell'alba" di cui sono colmi gli sguardi dei bambini, come se il poeta volesse avvisare il lettore che con quegli occhi si è sforzato di guardare il mondo e con quegli stessi occhi si deve vedere se si vuole penetrare nel suo universo poetico. È questa la frazione dei paesaggi, nei quali la Natura si contempla e risplende in tutta la sua misteriosa bellezza, ma anche quella delle figure (si pensi – per tutte – all'immagine di Marina Cvetaeva).
Il perseguimento di ciò che è esterno alla coscienza diviene in qualche maniera simbolo, nella seconda parte, del "nostro vivere quaggiù / fra una nascita certa / e un incerto destino", e "le ragioni del cuore" s'identificano nelle parole "difficili da intendere" di un dio cui ci si sente avvinti, de "l'Amato" finalmente ritrovato. Persino il registro realistico delle "Vicende", non perde lo spunto e s'innalza "nell'angelica grazia" del bimbo naturista, nella sua richiesta d'autenticità: "- Perché non mi vuoi vedere?".
Il tema del ricordo – vissuto malinconicamente in "Tristia" – rivela un'anima afflitta dal dolore e dalla solitudine e, dunque, sofferente, ma sempre viva, sempre presente, nel pensiero come nel sogno, nella memoria come nell'oblio, nella disillusione come nella speranza. Il richiamo della rimembranza non cessa, estendendosi anche ai versi dei "Risvegli", con una pacatezza ed una distensione, però, superiori, conformemente all'esortazione oraziana "Rapiamus, amici, occasionem de die. Deus nobis haec otia fecit".
Demarchi sembra essere approdato sulla sponda dove "...s'acquieta e tace ogni pensiero", "(riversato)" sulla sabbia avverte il mare sussultare in "un brivido incantato". Vogliamo incontrarlo? Seguiamo le sue indicazioni: riconosciamo "le note", quelle della sua gioia, del suo pianto. Ascoltiamo dentro di noi – da suoi amici – "non cosa / ma come (canta)".