IL CRISTALLO, 2008 L 1 | [stampa] |
Forse per l'Europa è questo il momento di un impegno massimo per realizzare l'unità politica in forme più compiute che quelle attuali.
Certamente le difficoltà sono sempre grandi, si può dubitare della capacità degli europei di pensare e di agire in maniera efficace, sono possibili discorsi che insistono sulla crisi di una cultura e di una civiltà che va verso la perdita di un ruolo di guida nel divenire storico. È innegabile che alcuni paesi non accettano neppure il compromesso raggiunto a Lisbona dopo il fallimento del progetto costituzionale.
Dobbiamo però, mi sembra, ricordare che la tragedia della seconda guerra mondiale mise in dubbio persino la sopravvivenza politica e culturale del nostro continente. Ci furono allora menti che seppero proprio nei momenti più bui credere in una rinascita dell'Europa attraverso il superamento del nazionalismo e della sua espressione imperialistica, realizzando una federazione come unità di elementi indissolubilmente solidali.
Una di queste menti fu Umberto Campagnolo che sempre agì, anche con la Società europea di cultura, con ferma convinzione per valorizzare l'unità profonda di cui sono partecipi le nazioni pur nelle loro differenziazioni.
Si vuole qui ricordare e riprendere in particolare uno scritto di Campagnolo che, pensato nel febbraio e pubblicato nel luglio del 1945, espone il programma del suo movimento federalista.1 Espressivo è già l'esordio di questo scritto nell'enunciazione di propositi e principi: "Si è costituito in Italia il nucleo di un Movimento, che, unendo il proprio ad ogni analogo sforzo, mira a favorire la formazione di una coscienza e di una volontà europee sempre più adeguate alle manifeste esigenze dell'ora presente, annunciante per chiari segni che un profondo mutamento si sta compiendo in quelle intime strutture dell'Europa, su cui poggia l'esistenza stessa di tutte le nazioni.
Essa crede infatti che l'Europa, nonostante le sue profonde divisioni interne, costituisce un'unità spirituale e morale; crede che fra le nazioni europee sia divenuto ormai impossibile mantenere quell'equilibrio che aveva finora reso feconda la loro convivenza ; crede quindi che per l'Europa sia giunto il momento di darsi un assetto nuovo, in cui gli antagonismi esacerbati si plachino e le particolari vocazioni e aspirazioni nazionali tornino ad ordinarsi al supremo fine della difesa di quei valori da tutti ritenuti ugualmente fondamentali, e ora minacciati di distruzione dalla incontenibile violenza dei conflitti; crede che questo assetto nuovo, destinato a surrogare l'antico equilibrio irrimediabilmente crollato, deve poter fare della comunità europea, una per civiltà e per destino, una vera società politica, che, pur riconoscendo la preziosa intangibilità dei caratteri propri di ciascuna nazione, le abbracci tutte in un solo ordine giuridico;esso crede che soltanto la costituzione di una simile società possa ormai evitare all'Europa un'altra tremenda crisi…"2
È un discorso che poggia su una fede nell'unità della cultura europea: "Tale unità … è determinata da un principio ideale unico, che, a causa della sua universalità, è penetrato ugualmente in tutte le nazioni, provocando in esse una profonda metamorfosi spirituale, che le ha rese atte tutte a trasmettersi reciprocamente e a fondere insieme i frutti particolari della propria attività.. Questo principio, qualunque sia la forma da esso presa, è sempre infatti una affermazione, più o meno profonda e adeguata, di un valore di umanità, capace di creare un linguaggio e una legge universali. La civiltà europea è, invero, nella sua sostanza, questo linguaggio e questa legge, di cultura e di vita, comune retaggio di tutte le nazioni europee; grazie a cui esse poterono, possono e, finché sapranno conservarlo e trasmetterlo, potranno, senza limiti, mutualmente arricchirsi ed espandersi nel mondo, e riempirne la storia".3
Riportiamo questi passi, lo ammettiamo, con una certa commozione perché in quel tragico 1945 si poteva avere la forza, che ora ci sta mancando, di pensare così. Le vicende storiche della seconda metà del Novecento hanno solo in piccola parte corrisposto a questa speranza, eppure in qualche misura l'Europa può credere ancora in sé stessa e affrontare con più coraggio il problema dei suoi ordinamenti.
Giustamente Campagnolo insisteva allora, sulla base anche delle sue riflessioni espresse in Nations et droit4 sulla necessità di costituire "un ordine giuridico veramente capace di unire le genti europee sotto un solo diritto, facendo di esse una vera società politica".
A suo giudizio noi saremmo oggi soltanto alle soglie di una vera unione europea. Una federazione economica "è lungi dal poter rappresentare il vero fondamento della federazione europea". In effetti siamo consapevoli che il nostro cammino è pieno di incertezze, che molte sono le riserve opposte dagli stati nazionali, ma abbiamo ancora la speranza di arrivare là dove Campagnolo, in un momento in cui il conflitto ancora non era terminato, riteneva si potesse arrivare mediante un radicale, rivoluzionario superamento degli stati nazionali.
Condividiamo sempre la tesi che l'unificazione dell'Europa è necessariamente federativa. Sono molto chiare le sue considerazioni sulle nazioni in rapporto all'unione europea. Superate le barriere interstatali il diretto contatto fra le nazioni favorirà i reciproci adattamenti, renderà facile la mutua trasfusione delle loro energie. "La nazione è infatti espansiva, ma pacifica e assimilatrice; lo Stato, invece, in quanto è volto, per sua natura, all'autarchia, è conquistatore e bellicoso; ché solo attraverso la subordinazione e la conquista può raggiungere il suo fine. Lo Stato è norma sovrana, entità oggettiva, stabile, rigida, e l'imperio è la via ond'esso si adegua all'idea di sé; la nazione è vita, divenire, mutamento, e l'assimilazione è il processo normale del suo sviluppo.
Fu perciò che in Europa tutti i tentativi di ridurre a unità le nazioni sotto lo scettro di uno Stato particolare hanno sempre provocato la coalizione di esse in un comune sforzo di resistenza, e sono sempre falliti. Fallirono perché contraddicevano alla geografia, alla storia e alla essenza stessa della civiltà dell'Europa, che non può rinunziare alla molteplicità delle sue forze nazionali, senza rinnegarsi".
Nel 1945, a guerra ancora in corso, non era dato ancora di prevedere la lunga "guerra fredda" che avrebbe condizionato la libertà stessa di iniziativa delle nazioni europee. Noi che siamo usciti anche da questa guerra, possiamo finalmente proporci il disegno di un'Europa che sia stato federale.
Eppure proprio in questo momento sembra, nel contesto di grandi mutamenti nei rapporti internazionali entro un orizzonte globale, che l'Europa perda la certezza della sua identità.
Nel 1945 Campagnolo, esaminando i rapporti dell'Inghilterra e della Russia con gli altri paesi europei, sapendo che c'è addirittura chi contesta il carattere europeo di queste due nazioni, precisava che "ciò che conferisce a una nazione il carattere europeo è il suo possesso di certi elementi etici e culturali che danno luogo a una visione sostanzialmente cristiana della vita, e generano una capacità di comprensione universale dei suoi problemi e dei suoi valori". Forse oggi si può riconoscere molto meglio che durante la "guerra fredda" l'identità anche della Russia con le altre nazioni europee.
Ciò che adesso indebolisce l'ispirazione europeista è però il timore che l'affermazione di questa identità sia in contrasto con un compito di apertura universale che è ritenuto proprio della stessa civiltà europea.
NOTE
(1) UMBERTO CAMPAGNOLO, Repubblica federale europea, L'Europa unita, Milano 1945
(2) ivi, pag. 14
(3) ivi, pag.16
(4) Nation et droit (Le développement du doit international entendue comme développement de l'-tat).Alcan, Paris, 1938.