IL CRISTALLO, 2008 L 1 | [stampa] |
Non sempre le vie di trasmissione delle decisioni prese a livello dell’Unione Europea (UE) raggiungono i cittadini e gli interessati, e così è probabile che qui o là siano sfuggite informazioni interessanti e ufficiali in materia di educazione linguistica e – negli ultimi anni –in materia di multilinguismo.
In questo contributo vorrei dare dapprima alcune indicazioni e valutazioni delle attività a livello europeo e, in una seconda parte, riferire di un lavoro svolto all’interno del gruppo di esperti sul multilinguismo della Commissione Europea. Terminerò nell’elencare alcune delle raccomandazioni che tale gruppo di esperti ha voluto dare.
1. Alcune tappe della politica linguistica europea: dall’apprendimento scolastico, alle abilità, al multilinguismo
Tracciando brevemente la storia delle politiche in materia di educazione linguistica e multilinguismo, si possono citare, fra i tanti, solo alcuni documenti fra i più significativi che danno prova delle discussioni e consultazioni intraprese. Viene da citare, p.es., il piano d’azione 2004-2006 dal titolo Promozione dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica che indica azioni per incoraggiare l’apprendimento delle lingue come “abilità di base di cui hanno bisogno tutti i cittadini europei”, così Viviane Redding, l’allora Responsabile per l’istruzione e la Cultura in seno alla Commissione Europea, nell’introduzione all’opuscolo1; e prosegue: “Se vogliamo trarre beneficio dalla libertà di circolazione all’interno del mercato unico, se vogliamo diventare più competitivi nell’economia basata sui saperi e avere una maggiore comprensione e consapevolezza gli uni degli altri in un’Europa allargata, noi europei dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per apprendere le lingue.” (p.3).
In queste brevi citazioni si possono intravedere i capisaldi della politica europea in materia di apprendimento linguistico. Si pone l’accento su
In precedenza, vi erano state importanti azioni di sensibilizzazione e segnali notevoli: ci si ricorderà, p.es., nel 2001, la proclamazione dell’Anno europeo delle lingue e non si potrà non notare, nel 2002, l’inclusione delle competenze linguistiche come punto importante in quanto è noto come “L’Agenda di Lisbona”. Da allora circola sempre più la formula “lingua madre + 2”, che esprime la necessità che in futuro ogni cittadino europeo dovrebbe idealmente conoscere accanto alla sua lingua madre due ulteriori lingue, possibilmente dell’UE. Ma decisamente, il documento che segna una svolta è dato dalla proposta di una strategia sul plurilinguismo comprensiva, approvata nel 2005 dal parlamento europeo (COM2005, 596).2 In esso si dà una visione di un’Europa intesa come mosaico, che fa della diversità linguistica e culturale il suo punto di forza. Da quest’ultimo documento vorrei trarre lo spunto per sviluppare la seconda parte di questo contributo.
In precedenza, per ricordarlo solo brevemente, vi sono stati importanti movimenti, tuttora attivi, come la creazione del Portofolio linguistico, ormai ampiamente implementato ed adattato alle singole realtà, a tutti i livelli scolastici. Esso dà la possibilità ad ogni allievo/studente di documentare passo per passo il raggiungimento delle sue specifiche abilità linguistiche in più lingue. Il portfolio linguistico, a sua volta, si fonda sul Quadro di riferimento delle lingue3, che descrive le maggiori abilità linguistiche (in termini di ‘che cosa so fare in quale lingua’) per le quattro abilità centrali (ascoltare, leggere, esprimersi, discutere). Ed è utile ricordare il movimento per un insegnamento CLIL (“Content and Language Integrated Learning”), sostenuto dall’UE, che è da leggere come risposta differenziata europea a programmi ritenuti inadeguati, di stampo immersivo canadese o statunitense.
In breve, il discorso a livello europeo si sposta decisamente verso una società intesa come comunità plurale, che incorpora più abilità linguistiche di individui e di gruppi; abilità che si possono estendere attraverso lingue nazionali, regionali, lingue di minoranze, e dialetti. Si tratta di una visione comprensiva, fondata su competenze funzionali alla comunicazione reale, che relativizza la perfezione totale ed equilibrata in tutte le lingue apprese o conosciute.
Sul versante della ricerca, alla quale la Commissione Europea presta grandi attenzioni (più precisamente attraverso i Programmi Quadro di ricerca) è da menzionare, fra le molte attività, che si è dato avvio ad ampi consorzi di ricerca che trattano in modo centrale la diversità linguistica nelle sue realtà variegate attraverso tutta l’Europa. Dopo un concorso e una selezione, dal 2005, sono p.es. attivi all’interno del VI Programma Quadro sia un “Network of Excellence” dal nome LINEE („Language in a Network of European Excellence“), sia un altrettanto ampio progetto di ricerca integrato „Dylan – Language Dynamics and the Management of Diversity“. Entrambi i progetti si occupano della gestione della diversità linguistica in una società fondata sul sapere e analizzano, in una stretta collaborazione consorziale fra trenta università-partner in Europa, il ruolo del multilinguismo in diversi contesti, confrontando e scambiando esperienze e risultati.4
Le raccomandazioni del gruppo di esperti per il multilinguismo (“High Level Group on Multilingualism”)
Premesse:
Vorrei passare ora a presentare alcune delle raccomandazioni per il multilinguismo a partire dal documento strategico menzionato brevemente sopra. Esso conteneva la proposta di formare un gruppo di esperti („High Level Group on Multilingualism“), chiamato a concretizzare tale documento strategico sul multilinguismo.
I dieci esperti avevano, oltre il compito di concretizzare le strategie-quadro, quello di proporre delle raccomandazioni ed esplicitamente di apportare „fresh ideas“. Dopo più di un anno di lavoro, il rapporto è stato consegnato ed ufficialmente presentato in occasione della giornata europea delle lingue, nel settembre de l 2007. Una versione succinta è scaricabile dal sito http://ec.europa.eu/education/policies/lang/doc/multireport_en.pdf, oppure dal sito del Centro di competenza lingue della Libera Università di Bolzano5. Ho avuto l’onore di essere chiamata a far parte di tale gruppo e in particolare sono stata incaricata di presentare le lacune nella ricerca inerente il multilinguismo.
Nel gruppo di esperti ci si è trovati ben presto concordi nel ritenere che l’Europa ha un vantaggio rispetto ad altre parti del mondo proprio grazie alla sua centenaria esperienza nella gestione delle diversità culturali, fra cui soprattutto nella gestione della ricchezza della varietà linguistica.
Ciononostante, le sfide non mancano; una delle maggiori che l’Europa dovrà affrontare nell’ambito del multilinguismo è lo sviluppo di strategie per avvicinare
Queste tre costellazioni, seppur in sé non omogenee, sono da vedere in collegamento tra di loro, dato che nella vita reale, in genere, si presentano contemporaneamente nello stesso ambito di apprendimento e contatto, come, ad esempio, nella scuola o in un quartiere cittadino, ecc. A seconda della costellazione, i maggiori quesiti che si pongono sono i seguenti:
Lo scopo di una strategia rivolta a valorizzare il multilinguismo dei cittadini europei parte dal rispetto delle sensibilità culturali di ogni regione. E nel contempo una strategia del multilinguismo deve tener conto delle chance insite in tutte le diverse combinazioni di capacità comunicative dei cittadini europei in vista di un mercato sempre più globalizzato. Rafforzare le competenze comunicative multilingui significa sostenere cittadini in grado di muoversi in modo più autonomo nel raccogliere informazioni, significa trattare con cittadini più competenti, significa vedere all’opera cittadini capaci di elaborare insieme soluzioni differenziate e dare contributi creativi grazie alle loro capacità di dialogo più ampie. Tutto ciò non servirà solo alla società civile in genere, ma anche allo sviluppo economico.
Si è passati decisamente, a livello europeo in genere, a vedere il multilinguismo come grande potenzialità. Su questa base, il gruppo di esperti ha formulato una serie di raccomandazioni che qui di seguito elencherò in modo selettivo, senza poter, in questa sede, approfondire ogni singolo punto.
Raccomandazioni
Come assunto di partenza, il gruppo ha voluto esprimere il pieno apprezzamento delle attività finora intraprese dalle diverse istanze europee, e ritiene che siano da ampliare. Così, una raccomandazione chiara e fondamentale è che gli attuali programmi di scambio e i programmi per il sostegno della formazione linguistica (Erasmus, Lingua, Quadro di riferimento per le lingue6, Portfolio Linguistico, Movimento CLIL, Piano d’Azione, ecc.) devono essere non solo mantenuti, ma rafforzati: la via intrapresa è giusta e va proseguita. Le raccomandazioni del gruppo di esperti hanno quindi più il carattere di ampliare tale via, spianandola o facendone una via maestra, o hanno il carattere di attività supplementari o aggiuntive.
In questo senso, notando in questa prima fase delle politiche linguistiche un forte affidamento all’insegnamento scolastico delle lingue per raggiungere l’obiettivo di avere cittadini capaci di usare due ulteriori lingue dell’Unione europea, si raccomanda ora, poiché le basi sono gettate, di ampliare lo sguardo: poiché è noto che l’insegnamento formale (in corsi, a scuola…) non costituisce l’unica via che porta all’acquisizione di più lingue, si consiglia, ora, in questa fase successiva, di pensare ad ulteriori contesti in cui le lingue possono essere acquisite e sostenute accanto all’apprendimento formale. Quindi una seconda raccomandazione è quella di allargare il campo di attività e dare maggiore importanza al contesto extrascolastico.
Allargando lo sguardo saranno da considerare, p.es., le varie attività legate alla lingua, ovvero quelle attività (didattiche) che non si concentrano unicamente sullo studio della struttura linguistica, ma nelle quali la lingua ha un ruolo di coordinamento e di mediazione rispetto ad altre attività. Nel concreto, si pensi p.es. all’organizzazione di attività con partner che parlano ‘l’altra lingua’, nelle quali è necessario costruire, raggiungere, progettare qualcosa, creando per questa via una spinta motivazionale che coinvolge diverse competenze sociali e sensoriali. Sono particolarmente indicate, ad esempio (e non ci si pensa spesso), le attività sportive o ludiche in genere, o manuali.
A livello sociale locale, un mirato approfondimento e una concretizzazione dei gemellaggi tra città potrebbe essere sfruttato maggiormente per rafforzare le abilità linguistiche da utilizzare concretamente.
Nello stesso ordine di idee, un maggior numero di programmi che prevedano stage professionali in un paese allofono (per apprendisti, per professionisti), includendovi mestieri artigianali, potrebbero essere maggiormente sostenuti.
È importante che si creino, nel corso di tali attività, contesti fortemente coinvolgenti e rapporti umani profondi che si possano ricollegare all’esperienza linguistica. Proprio ricerche neurobiologiche ci fanno insistere su tale punto, ossia sul coinvolgimento emozionale nell’acquisizione di conoscenze e abilità (linguistiche e non). Da questo punto di vista i progetti LINGUA e soprattutto ERASMUS sono iniziative di grande successo, avendo messo in vero contatto le giovani generazioni attraverso tutta l’Europa: parliamo oggi ormai di una ‘generazione Erasmus’ (e figli di seconda generazione di genitori ‘Erasmus’…) che ha creato, attraverso l’esperienza della mobilità, una buona rete di contatti che potenzialmente permette a tale generazione di fungere da mediatori privilegiati ed esempi viventi di un’identità a respiro europeo. Un allargamento ad apprendisti e professionisti, come appena detto, costituirebbe una concretizzazione di quell’ampliamento già auspicato sopra.
Il gruppo di esperti non sottovaluta un accorgimento pratico che in alcuni paesi fa parte della tradizione culturale e mediatica: i sottotitoli a film in lingua originale. Si possono trarre indicazioni di ‘buone pratiche’ da paesi che adottano da lungo i sottotitoli su ampia scala. Battistrada sono, in questo senso, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Finlandia; sarà un caso che sono paesi che si distinguono positivamente per quanto riguarda la conoscenza di altre lingue? Lungi dal voler suggerire una diretta correlazione, si vuole puntare sul fatto che la possibilità di sentire una banda sonora in lingua originale e di aiutarsi con i sottotitoli fa parte di una comprovata strategia di apprendimento individuale usata per interiorizzare meglio una lingua. È un’attività a sostegno delle competenze ricettive (che sono alla base delle competenze produttive, successive), e particolarmente utili per acuire la sensibilità fonetica.
Lo stesso ordine di idee – ossia mantenimento di attività pregresse e rafforzamento di esse –, si applica alle esperienze di apprendimento precoce delle lingue. Accanto all’ampliamento e approfondimento scientifico di queste attività già in atto ovunque in Europa, un’ulteriore raccomandazione è di ampliare ora lo sguardo anche verso altre fasce di età: può prendere ora, parallelamente, avvio la considerazione di un periodo della vita fino ad ora trascurato. Accanto al sostegno dell’apprendimento precoce delle lingue, in futuro si raccomanda di considerare anche l’apprendimento in età avanzata. Nulla impedisce l’apprendimento di lingue in età avanzata, anzi, chi è già multilingue è di solito più abile nell’adottare diverse strategie di apprendimento. Inoltre, fa bene alla salute mentale: vari studi hanno provato p.es. un effetto ritardante per il morbo di Alzheimer (è stato dimostrato, p.es., che nelle persone multilingui il morbo di Alzheimer si presenta in media 5 anni più tardi, cfr. http://www.health24.com/news/Alzheimers_and_dementia/1-890,38889.asp; 16/04/2007).
Può forse meravigliare questa raccomandazione, ma si consideri in genere il grande potenziale rappresentato, ad esempio, da pensionati non solo in funzione di apprendenti di lingue, ma soprattutto in funzione di ‘insegnanti’ o meglio di mediatori della propria lingua. Dato lo sviluppo demografico attuale, ciò potrebbe rivestire un grande potenziale sociale: si pensi soltanto al fatto che le persone anziane hanno la capacità di trasmettere la loro lingua/le loro lingue a partire da un contesto di vita più profondo, nel quale si uniscono la cultura quotidiana, l’esperienza e la saggezza acquisite. Sono esperienze che potrebbero essere di grande utilità per bambini e persone giovani con background linguistico bisognoso di sostegno (si pensi a figli i nuovi immigrati, ma non solo). Collegando la raccomandazione di cui sopra, ossia di sostenere anche le attività extrascolastiche – e in analogia al supporto tra vicini (o al modello dei „nonni vigili“ di Bolzano, che aiutano gli scolari nelle ore di punta ad attraversare la strada) –, si potrebbe pensare ad una sorta di ‘nonni adottivi’ che si occupano in modo non scolastico ma ‘naturale’ della trasmissione della loro lingua a bambini allofoni, adoperandosi ad offrire un contatto emozionalmente rassicurante, in ambito quotidiano semplice, familiare (p.es. offrendo regolarmente un pasto a mezzogiorno ecc.).
Lo studio del multilinguismo nella sua dimensione storica costituisce una lacuna nell’ambito della ricerca: ancora poco si sa come funzionava il contatto linguistico e l’uso bi- e multilingue concreto in secoli passati; e quello che si sa sinora dimostra che il multilinguismo è una costante, seppur in costellazioni diverse, attraverso tutte le società minimamente complesse, dai Sumeri a periodi più vicini ai nostri.
Similmente al movimento „scava dove ti trovi“ (conosciuto soprattutto in ambito germanofono attraverso la ricerca-azione “Grabe wo du stehst”), sondare in profondità le pratiche comunicative di secoli passati potrebbe portare, soprattutto in aree caratterizzate da contatti linguistici storici, ad una maggiore sensibilizzazione della popolazione locale nei confronti delle proprie pratiche.
La poca considerazione del multilinguismo presente in strati di popolazioni che hanno minore accesso alla formazione è un dato di fatto. Le competenze e abilità presenti e il potenziale non considerato è notevole: in tutta l’Europa ormai, in una classe elementare di un quartiere urbano medio si è in presenza di un repertorio spesso a dimensione mondiale, considerata la moltitudine di lingue di cui i bambini sono portatori, magari ancora labili nelle loro competenze. Non la cancellazione di tali competenze, ma la considerazione in un quadro che sostiene il multilinguismo porterebbe ad un’integrazione socialmente utile… e potrebbe tornare utile, vista la crescente globalizzazione, anche economicamente, da più parti.
È un tema molto dibattuto – ossia l’accesso equo al sistema scolastico e il sostegno a gruppi di persone con condizioni di partenza svantaggiate –, e fuoriesce dal mero ambito della considerazione delle competenze linguistiche di figli di immigrati. Vi sono forti argomenti di carattere psico-sociologico a sostegno della considerazione della prima lingua, di qualsiasi bambino: se si sostiene la prima lingua, conferendole p.es. valore istituzionale, visibilità, considerazione, si aumenta l’autostima dei bambini, rendendoli più sicuri. Così facendo, si istaura un effetto di ritorno: ove ci si sente presi sul serio si vuole restare e sentirsi a casa, infine integrarsi socialmente.
Un approccio che prende in considerazione l’intero sistema (tenendo in considerazione la cultura della famiglia, le condizioni abitative, l’urbanistica che permette o ostacola contatti con parlanti della lingua locale, la scuola, il tempo libero e anche il contesto sociale ecc.) ha finora mostrato migliori possibilità di successo complessivo rispetto ad approcci centrati sul recupero nel solo individuo, nella fattispecie sul bambino o sull’adolescente.
Vi è poi, come appena accennato, un secondo approccio, più economico, all’argomento, che non vorrei sottacere e che al momento desta particolare interesse, come indicato sopra, nel quadro dell’Agenda di Lisbona. L’economia si rende sempre più conto che le lingue dei migranti, ove adeguatamente sostenute e non radicate, potrebbero creare collegamenti tra aziende su scala mondiale: con l’aiuto di queste persone, appunto se adeguatamente formate, si potrebbero creare collegamenti e mediazioni culturali con uno svariato numero di paesi – in termini economici: con potenziali clienti. Ci si ricorderà che l’economia ha precocemente sostenuto che vi è bisogno di maggiori competenze dell’inglese; ora il discorso si è ampliato, e ci si accorge che è la terza lingua che costituisce un valore aggiunto, dacché l’inglese è ormai posseduto dalla maggioranza delle giovani leve.
Valorizzare le competenze linguistiche di migranti nelle scuole e nelle aziende non è, lo ripeto, da vedere soltanto in termini economici, ma anche in termini di considerazione personale; è pressoché un truismo che un’alta considerazione della persona facilita un’integrazione positiva, costruttiva. E così, per converso, non si può quindi negare che un’integrazione economicamente utile ha risvolti per un’integrazione sociale positiva del singolo, da cui, alla fine, trae profitto di nuovo l’intera comunità sociale.
Rispetto a programmi di apprendimento di lingue seconde (e terze) precoce nelle scuole (o già a livello di scuole materna), si consta che si sa ancora troppo poco sugli effetti a lungo termine di tali iniziative, spesso ancora sperimentali. È quindi necessario sostenere, in un primo passo, dapprima ricerche che confrontino in modo incondizionato e aperto a qualsiasi risultato (positivo o negativo che esso poi sia) programmi di questo tipo in diverse realtà europee. Esse dovrebbero confrontare le aspettative da un lato, stabilire gli standard e dall’altro e misurare gli obiettivi raggiunti, confrontando le abilità acquisite. Da più parti, si nota la richiesta di sviluppare una didattica adatta con materiali adeguati.
La raccomandazione è di sostenere, appunto, ricerche su queste iniziative di insegnamento precoce, e di prepararsi sin d’ora a misurare l’effetto a lungo termine dei diversi programmi.
Fra le abilità multilingui ancora poco sostenute e studiate, sono quelle che mirano ad ampliare le competenze di comprensione, ossia il multilinguismo ricettivo. Si è di fronte ad un multilinguismo ricettivo quando si capisce una seconda, terza… lingua parlata e scritta, ma non si è in grado di produrla fluentemente. Va da sé che le competenze ricettive superano sempre le capacità produttive, in qualsiasi lingua. Come strategia comunicativa il multilinguismo ricettivo torna utile in comunicazioni fra parlanti con competenze sbilanciate: ognuno parla la sua madrelingua, sapendo che l’interlocutore la capisce ma risponderà nella propria lingua madre. A volte si usa tale strategia senza avvertirsene o senza concordarla esplicitamente (è una strategia che sento più adottata in Svizzera che non in Alto Adige). Sviluppare in modo particolare poi le competenze di lettura di altre lingue della comunità europea, o di lingue consimili, sarebbe utile anche p.es. per la pratica sempre più diffusa di acquisire informazioni da pagine web.
Secondo l’avviso appunto degli esperti, il potenziale del multilinguismo ricettivo non viene ancora adeguatamente sfruttato a livello europeo. Proprio laddove le lingue sono fra di loro imparentate e mostrano quindi una trasparenza maggiore (lingue scandinave, lingue slave, ma anche le lingue romanze), la pratica basata su tale capacità potrebbe essere sostenuta maggiormente.
Osservazioni finali
Ogni acquisizione linguistica è legata ad una situazione sociale, è legata alla storia ed a tradizioni centenarie. L’apprendimento linguistico in regioni di confine o in situazioni di minoranza linguistica è raramente un fatto neutrale e non comportata solo l’acquisizione di un ulteriore strumento per motivi di utilità o curiosità. L’apprendimento linguistico in regioni di confine e in situazioni di minoranza linguistica comporta un maggiore confronto con l’altro, con il vicino, a volte con una diversità che incute timore.
Sono convinta del fatto che in regioni di confine siano necessari insegnanti di lingue, tutor come veri accompagnatori di un processo di apprendimento linguistico e di comprensione culturale, mediatori, con una specifica formazione. Essi dovrebbero idealmente fungere da etnografi di una particolare situazione storica, dovrebbero essere in grado di leggere le tracce e i segni per aiutare a superare, ad un’utenza differenziata, eventuali barriere – linguistiche o culturali che siano. Questi insegnanti o tutor o mediatori dovrebbero trovare il modo di favorire un contatto in situazioni naturali, per sfruttarne le potenzialità, seguendo il principio „imparo perché desidero avere contatti e perché il nuovo mi attrae nella sua diversità, perché tengo in considerazione gli altri e voglio crescere.“
La considerazione dell’altro e accettare la sua diversità possono sembrare degli slogan, ma definiscono la sostanza di ciò che nel contatto linguistico contribuisce ad un apprendimento linguistico positivo, ovvero una empatia realmente vissuta ed un confronto con il modo di pensare e vedere dell’altro. E ciò può arricchire. Proprio con questo intento alla Libera Università di Bolzano sfruttiamo il confronto con la diversità culturale. La diversità fa sembrare un sistema meno omogeneo, intaccandone la superficie piatta, la diversità rende un sistema più complesso, ovvero più ricco e ne fa una palestra per affrontare il vasto mondo. Come la biodiversità, la varietà linguistica ci protegge da una visione troppo ingenua.
Le politiche linguistiche europee sono favorevoli ad uno sviluppo in direzione di un multilinguismo funzionale e culturalmente sensibile. Con l’Agenda di Lisbona l’aspetto economico è stato spostato notevolmente al centro delle considerazioni, anche delle considerazioni sulle competenze linguistiche. Sta a chi è interessato alla trasmissione culturale di accentuare l’apporto che le lingue hanno sempre avuto: di mettere in contatto saperi e sapori diversi, ed aprire l’accesso a culture e società diverse, che si posso poi scoprire essere più simili di quello che si presumeva.
NOTE
1 Consultabile al sito: http://bookshop.europa.eu/eubookshop/FileCache/PUBPDF/NC5503916ITC/NC5503916ITC_002.pdf
2
Viene da citare, per memoria quasi storica, anche i seguenti documenti:
– Council Resolution of 31 March 1995 on improving and diversifying
language learning and teaching within the education systems of the European
Union (Document 395Y0812(01));
– Council Resolution of 16 December 1997 on the early teaching of European
Union Languages
– White Paper on Education and Training – Teaching and Learning
(1995, European Commission);
Importanti sono anche
– Recommandations of the European Parliament and of the Council on key
competences for lifelong learning (2006/962/EC).
L’agenda sul multilinguismo può essere agilmente seguita sulla
pagine web del commissario incaricato, Leonard Orban:
http://europa.eu80/languages//en/document/99
3
Cfr. sito
http://www.pubblica.istruzione.it/argomenti/portfolio/pelquadro.shtml
e http://www.pubblica.istruzione.it/argomenti/portfolio/allegati/griglia_pel.pdf
4 In questa sede non è possibile esporre questi progetti. Si può seguire il decorso dei lavori consultando i siti di LINEE: http://www.linee.info e di DYLAN: http://www.dylan-project.org/Dylan_en/). Mi sia concesso in questa sede menzionare che la Libera Università di Bolzano, nella fattispecie il Centro di Competenza lingue attivo dal 2004 (di cui la scrivente è la direttrice), è parte attiva in ambedue le iniziative di ricerca (cfr. il sito http://www.languagestudies.unibz.it/projects.html).
5 Cfr. il sito http://www.languagestudies.unibz.it/projects.html